Il Metodo Nobile, le sue motivazioni ed implicazioni spiegate dal suo ideatore: Roberto Rubino

Roberto Rubino ci racconta cosa è il Metodo Nobile e quali implicazioni potrebbe avere la sua applicazione nel territorio del GAL Casacastra e in Cilento. Rubino ha diretto per oltre trenta anni il CRAE – Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria di Bella (PZ). Si è occupato di sistemi pastorali in particolare ha studiato la relazione fra erba e qualità del latte e dei formaggi. Ha fondato Anfosc, Associazione nazionale formaggi sotto il cielo, di cui è oggi Presidente, che è direttamente coinvolta nel progetto Nobili Cilentani, e la rivista Caseus.

Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Siamo con Roberto Rubino, una persona importante per il progetto Nobili Cilentani, perché il progetto ha questo nome dato che stiamo cercando di fare delle verifiche, anche scientifiche in laboratorio, di comparazione per dimostrare che il Metodo Nobile che Roberto ha sviluppato in questi anni, porta ad avere dei prodotti – latte, carne, formaggi, uova – che sono qualitativamente diversi dai prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento intensivi.

Roberto Rubino ha diretto per oltre 30 anni il CRAE di Bella (PZ), il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria, un centro importante di ricerca del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Roberto ha fondato anche l’Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo (Anfosc), di cui è presidente, e anche la rivista Caesus.

Roberto partiamo dal Metodo Nobile. Vorrei che tu ne parlassi e cercassi di spiegare cosa c’è sotto dal punto di vista scientifico e del rapporto tra qualità delle erbe e qualità dei prodotti che ne derivano.

Roberto Rubino (RR): Partiamo da quello che secondo me è il problema che oggi investe l’agricoltura, non solo cilentana, ma anche in ambito globale. Cioè, partiamo dal fatto che il prezzo delle materie prime è uguale per tutti e viene deciso dalla Borsa merci. Quindi, il mercato non riconosce il legame col territorio, perché se lo riconoscesse, i prezzi sarebbero diversi. Il problema poi è che a cascata, alla fine, ci siamo convinti che tutto è uguale, che tutto il latte è uguale, che tutto il pane è uguale, che tutto il grano è uguale e che tutta la carne è uguale, tanto il prezzo della carne è uguale tutto l’anno e in tutte le macellerie della città, e per diversi anni, sempre lì irremovibile come se la qualità fosse tutta uguale e perenne. E così il caffè, e così tutti i prodotti agricoli.

In sostanza, verrebbe da rassegnarsi, se tutto è uguale, funziona tutto bene e, quindi, deve sopravvivere chi produce a costi più bassi. Ma, produrre a costi più bassi significa che per reggere il mercato, visto che la produzione mondiale aumenta sempre leggermente in più del dell’aumento del consumo, in qualche modo ogni anno per forza devono chiudere delle aziende. Non si discute. Paradossalmente, più il numero delle aziende si riduce e più aumenta la produzione, perché i grandi diventano sempre più grandi.

La produzione aumenta sempre di più e la qualità diminuisce. Non dobbiamo disturbare la scienza per capire che questa è la deriva a cui noi non solo assistiamo, quasi in maniera indifferente, ma continuamente siamo lì ad esaltare la nostra gastronomia. Mentre la qualità per forza diminuisce, tutti gli anni diciamo: “ma come siamo bravi, abbiamo la migliore gastronomia al mondo! siamo i migliori!

Il Latte Nobile nacque perché ad un certo punto mi sono detto che è vero che non sappiamo da cosa dipende la qualità del latte, ma nemmeno il latte possiamo scegliere. C’era il latte di alta qualità e sapevo, perché avevamo iniziato a fare delle ricerche in questa direzione, che quel latte veniva dai sistemi intensivi di allevamento, per cui per antonomasia doveva essere il più scadente, non c’erano santi.

Il ragionamento è molto semplice, o diciamo che tutto è uguale e va bene, ma se diciamo che tutto è diverso, che non è uguale, vuol dire che saranno diversi il latte, la carne, il caffè, il grano. Se sono diversi, ci sarà un minimo e ci sarà un massimo. Quant’è la differenza fra il minimo e il massimo? Già questo è importante saperlo. Nel vino lo sappiamo. Tu puoi avere una bottiglia di Aglianico da un euro e una bottiglia di Aglianico da 100-200 euro. In Spagna e in Francia si parla di bottiglie di vino da mille euro a diecimila euro. Nel caso del vino ci sono centinaia di volte in più, ma nel resto, nel caso dei formaggi, nel caso della carne?

Quindi, il nostro compito è quello di capire quanto è questa forbice, ma non solo. Dobbiamo capire poi da che cosa dipende, altrimenti siamo sempre lì. Per sapere da che dipende dovremmo sapere quali sono i composti chimici implicati, altrimenti non puoi misurare quel fattore. Ma, che analisi fai? E’ come se noi ci andiamo a fare l’analisi del sangue senza saper che cosa vogliamo trovare e misurare. Noi, attualmente non sappiamo, per esempio, come misurare la qualità del grano. Non sappiamo come misurare la qualità della carne, perché non ne conosciamo le molecole o la gran parte delle molecole implicate.

Siccome nel latte avevo incominciato a capire che l’alimentazione influiva molto sulla qualità, bisognava trovare i composti responsabili. I composti volatili, cioè quelli che danno odore ce l’avevamo. Per la verità, i francesi ci lavoravano da 20 anni e quindi bene o male si sapeva. Avevo capito che dipendeva dalle erbe, soprattutto da quante erbe c’erano nella razione, e da quanto concentrato in mangimi vengono dati. I concentrati, praticamente, hanno un effetto di diluizione, fanno aumentare la quantità, ma chiaramente diluiscono le molecole che ci sono dentro il latte.

Facemmo un disciplinate prestabilito che doveva essere almeno 70% di erbe e 30% di mangimi. Perché stabilimmo quel discipline in quelle quote? Perché sapevo che il Parmigiano Reggiano ha una quota del 50-50. Ora, il Parmigiano Reggiano, nonostante la sua fama e con quel tipo di alimentazione, devi aspettare due anni se vuoi un formaggio che abbia un sapore. Invece, noi avevamo bisogno di un latte alimentare che tu avresti dovuto percepire subito che il latte è fresco, ma anche pieno d’acqua, per cui ci doveva essere quell’in più che ti permette di chiedere anche un prezzo superiore ai consumatori. Il consumatore se ne deve accorgere e pagare di più. Se non si fosse riusciti a far pagare di più il Latte Nobile, sarebbe stato inutile parlare di qualità. La qualità si paga. Chi la vuole, la deve pagare, altrimenti si compra quello che c’è.

Fummo fortunati, perché a quel tempo nessuno le sapeva queste cose. Sto parlando di 11-12 anni fa. Dopo che il Latte Nobile era partito e si vendeva, venni a sapere da mio figlio che è in Germania e parla tedesco che aveva letto di questo EUMilch, cioè del latte fieno di cui l’Austria aveva chiesto l’STG all’Unione Europea. Andai a leggere il disciplinare e vidi che era praticamente uguale al nostro. Però, in Austria lo avevano fatto gli allevatori, qui invece lo avevo fatto io. Ecco la differenza, nel senso che gli allevatori lì già facevano quel buon latte e quindi non hanno fatto altro che fare un disciplinare tarato su quello che facevano, mentre io me lo sono dovuto inventare, perché qui gli allevatori, se va bene fanno, il 50-50, ma spesso fanno 60% mangimi e 40% di erbe. Il migliore allevatore nostro fa il 50-50, se va bene. Peraltro, il fieno è quasi sempre scadente, quindi c’è un livello di qualità del latte abbastanza basso.

In sostanza, il Metodo Nobile parte dal presupposto che se tu sai da che dipende la qualità, il livello qualitativo, cioè l’alimentazione, e se conosci le molecole che sono responsabili puoi anche misurare il livello. A quel tempo avevamo stabilito di misurare il rapporto omega6 e omega3, perché avevamo studiato che scendeva abbondantemente sotto 4, mentre nei sistemi intensivi può arrivare fino a 15. La FAO raccomanda livelli al di sotto di 5, mentre noi stavamo a 4-3-2. Con gli animali al pascolo si arriva addirittura sotto 1.

Dopo ho capito che quello è uno dei tanti indicatori. Questo anche perché nel frattempo avevamo capito che i polifenoli hanno un ruolo importante, soprattutto nel gusto. Non lo abbiamo ancora dimostrato, ma i dati cominciano a darci conferma di questo.

Questa logica, questa filosofia l’abbiamo applicata a tutte le altre produzioni. Per la carne è esattamente la stessa cosa, cioè se l’animale mangia l’erba, quelle molecole, le note odorose e i polifenoli, devono essere nella carne e, quindi, la carne avrà sapori e profumi. Lo stesso ragionamento lo abbiamo applicato ai vegetali, partendo dal presupposto – come nel vino – che è la resa in qualche modo che determina un certo livello. Poi, è chiaro che all’interno della resa c’è il terreno, l’annata e tante altre cose, ma questo vale per tutti e in tutti i luoghi della terra. Ma, secondo me, la grande differenza la fa la resa.

Però, tutto questo non è stato ancora dimostrato, come nessuno ancora ha dimostrato la relazione fra polifenoli e gusto. Per cui, in questo modello, soprattutto per latte e carne, c’è molta scienza, nel senso che ormai resta solo da vedere il ruolo dei polifenoli, ma non c’è discussione, cioè se vuoi fare una grande carne e un grande latte, sappiamo come si fa. Puoi scegliere il livello qualitativo a tavolino. Lo decidi senza andare in stalla.

Nei vegetali stiamo lavorando. Stiamo cercando e abbiamo diversi progetti in giro per l’italia, Ci arriveremo col tempo e la ricerca.

AS: Noi, con il progetto Nobili Cilentani che passo in avanti possiamo fare rispetto a queste problematiche? Parlo, ovviamente, per la parte scientifica del progetto.

RR: Per la parte scientifica lavoreremo sia sul latte sia sulla carne. Sulla carne si sa molto poco. Mi sono accorto che persino i prosciutti spagnoli – ne ho comprato uno che costa 350 euro al kg – fanno un grande prodotto, ma non sanno perché. Addebitano tutta questa grande differenza alle ghiande, ma la ghianda di suo non può darti quella differenza. Anche a livello scientifico, secondo me, c’è proprio una carenza di informazioni pertinenti all’obiettivo che ci poniamo. Per cui qui noi faremo sia sulla carne sia sul latte, e spero che potremo farlo pure sulle uova, andremo più a fondo, cioè cercheremo di avere una risposta sul ruolo che i polifenoli possano avere nella carne, nel latte e nelle uova.

Se riusciamo a fare tutto quello che abbiamo programmato, dovrebbe venire un messaggio importante a livello scientifico. Questo è importante per chi fa scienza e per il settore. Invece, per il territorio quello che stiamo cercando di fare non è tanto la parte scientifica – perché l’allevatore dice vabbè sapremo dei polifenoli, ma io il problema ce l’ho di come operare domani mattina – quanto la parte di innovazione e miglioramento della qualità del prodotto. Gli allevatori che producono carne, latte, formaggi e uova, stiamo cercando di aiutarli ad aumentare la qualità.

Uno dei problemi che c’è nel settore dei formaggi è che c’è ancora troppo empirismo, anzi oserei dire che c’è quasi solo empirismo, cioè, c’è poca teoria. La qualità è un fatto casuale, anche perché oggi con i cambiamenti climatici bisogna essere molto rigorosi, ma se non conosci la teoria, il rigore non serve. Stiamo provando – nell’area di Casaletto Spartano e nell’area del Bulgheria – a ragionare con gli allevatori per avere dei prodotti che si presentino meglio e che abbiano una qualità più costante. La qualità della materia prima è indiscutibile e anche nella carne tutto sommato lo è. Però, da questo momento in poi, l’allevatore sa perché il suo latte è migliore, sa perché la sua carne è migliore, ma non basta saperlo, devi presentarli bene. Questo è un lavoro che stiamo facendo anche d’accordo con gli albergatori e i ristoratori della zona. C’è un grande turismo, dobbiamo vendere bene un grande prodotto.

AS: Da un po’ delle interviste che ho fatto, in relazione alla questione dei cambiamenti climatici viene sottolineato il fatto che queste estati siccitose stanno mettendo in discussione le basi dell’allevamento semi brado per il fatto che la mancanza d’acqua e l’eccessivo caldo, fanno sì che anche andare in montagna o in alta collina non risolva la questione della disponibilità di pascoli se non per brevi periodi, perché già a metà di giugno manca l’acqua e i pascoli sono secchi. Come facciamo a ragionare anche su questo a parte? Bisognerebbe realizzare una rete di fontanili e dei laghetti che potrebbero essere utilizzati sia per abbeverare gli animali sia per l’antincendio.

RR: E’ un po’ tutto relativo, nel senso che siamo sempre a guardare se il bicchiere è mezzo pieno o è mezzo vuoto, Nelle Alpi il pascolo dura tre mesi. Io sto a Potenza e gli allevatori che vanno al pascolo fanno maggio, giugno e luglio, perché ad agosto non c’è più niente. Nel Cilento, si pascola 9-10 mesi. Dalle prime piogge di settembre fino a giugno è tutto un pascolo, perché lì non c’è neve e non c’è freddo, per cui l’animale può stare fuori. Secondo me, sono pochi i territori in cui c’è tanto pascolo che dura tanto tempo ed è anche un pascolo apparentemente degradato, ma invece è ricco perché ci sono molte erbe diverse, molto erbe aromatiche, quindi il latte, i formaggi e la carne hanno o dovrebbero avere un sapore importante.

Poi, è chiaro che durante la siccità, da che mondo è mondo, due sono le soluzioni: o vai in transumanza e o ti fai il fieno. Devi fare il fieno. La zootecnia è quel mestiere oppure lo compri. Il problema è che il fieno non lo sanno fare. Questo è un altro dramma, ma non solo nel Cilento. Nel centro-sud il fieno è un fienaccio. Perché è un fienaccio? Perché purtroppo l’assistenza tecnica che è stata fatta a questi pastori e allevatori è stata impostata praticamente dai mangimifici che avevano interesse a vendere i mangimi, per cui quelli ti dicono di non preoccuparti del fieno perché poi risolviamo tutto con i mangimi.

Un poco della colpa è anche del mondo della ricerca, perché si è preoccupato di perfezionare la tecnica di alimentazione solo in funzione dei livelli produttivi dell’animale. Se tu vuoi produrre molto latte devi fare questo tipo di alimentazione, per cui i fieni non venivano e non vengono ancora adesso valutati in funzione del loro profumo, della loro qualità, anche se c’è molta erba verde o se è secca, ma in funzione della proteina e della fibra, che non ci azzeccano niente con i profumi e con l’aroma.

Siccome viene tutto da lì, noi abbiamo perso profumo senza accorgercene, tant’è che siamo arrivati all’assurdo che ancora adesso un caseificio del nord fa la pubblicità sostenendo che la mozzarella deve essere bianca e siamo contenti. Ma, noi sappiamo che il latte di qualità è giallo. Anche il latte di bufala non era bianco a suo tempo, era giallo. Il latte di capra è bianco anche adesso, ché ché se ne dica, perché se le capre mangiano i cespugli il latte non è bianco. La mozzarella di bufala non dovrebbe essere bianca, è bianca perché gli animali mangiano mangimi e fienacci o fieni buoni, ma pochi. Se gli dai i mangimi il latte esce bianco. Abbiamo sovvertito i canoni della qualità, per cui se il latte è giallo non lo si compra, mentre se è bianco sì. La carne deve essere chiara e non scura, invece la carne deve essere scura e se è chiara vuol dire che l’animale ha mangiato mangimi.

AS: Scusa per chiudere questa questione dei pascoli. Dobbiamo tenere conto che nel Cilento non ci sono tanti terreni di pianura – se togliamo la piana dell’Alento che tra l’altro ha la fortuna di avere l’acqua, per cui chi sta in quella zona i suoi foraggi potrebbe farseli anche utilizzando l’acqua – per cui come si fa? Non ci sono grandi spazi per coltivare questi foraggi e fare i fieni. Il rischio è che gli allevatori si trovino a dover comprare i fieni sul mercato.

RR: Però, per fare la zootecnia, anche quella intensiva, è scontato che ci vuole molta terra. Ci sono anche le leggi, per cui devi avere una vacca per ettaro. Non può essere che tu tieni le vacche e non tieni la terra. La terra ci vuole.

AS: Certo, ma tu sai che buona parte dei terreni a pascolo in Cilento sono in realtà dati in fida pascolo e che in Cilento abbiamo anche l’ulteriore problema che essendo questi terreni beni demaniali e in area Parco, non possono essere migliorati, ossia lavorati. Non si può fare nulla, nessun tipo di miglioramento. In realtà, non puoi neanche tagliare il fieno, puoi solo far pascolare mucche, pecore e capre.

RR: Distinguiamo, se i pascoli sono demaniali, allora le regole le decide il demanio, cioè le decide il comune. Al nord i pascoli vengono falciati e quando si va al nord si vede l’erba tutta tagliata e c’è anche l’incentivo di Regioni e comuni a farlo.

In sostanza, per avere un buon pascolo bisogna anche pulirlo, falciarlo. Quindi, almeno al nord non solo non è vietato, è consentito, e il pascolo lo devi falciare, pulire perché sennò si riempie di infestanti.

AS: A prescindere dal fatto che magari gli allevatori cilentani non sono sensibilizzati su questo, però ci sono anche dei vincoli legati al fatto che tu non puoi fare alcun miglioramento e quindi non li puoi toccare. Chiederò al presidente del Parco su questo.

RR: In questo non c’è nessuna logica. Anzi, se una colpa potesse essere imputata agli allevatori nel passato è che i pascoli collettivi non venivano migliorati e quindi sono tutti degradati. Questo perché l’idea è che tanto il pascolo non è loro. Non c’è qui al sud la cultura del prato e del pascolo, nel senso che mandi gli animali a pascolare, punto e basta. Ma, se quei pascoli tu li sfrutti bene, li coltivi, nel senso che fai uno sfalcio di pulizia oppure anche anche il fieno, ottieni un ottimo fieno. Noi avevamo dei pascoli a 1200 metri all’istituto, in metà azienda facevamo il fieno un anno e l’anno successivo sull’altra metà, in modo da pulire le infestanti continuamente e l’erba era un prato spettacolare e facevamo un fieno spettacolare.

AS: Si potrebbero anche usare delle rotazioni tra bovini, ovini e caprini, perché le capre si mangiano anche i rovi, mentre mucche e pecore no.

RR: Si può fare ma, ripeto, il pascolo va coltivato, nel senso che necessita di una cura. Va curato. Puoi avere grandi pascoli e quindi erba di grande livello, ma questi sono problemi che il Parco, per esempio, potrebbe fare un lavoro serio per ripristinare le cotiche erbose in maniera tale che gli animali possono pascolare bene.

AS: Tra l’altro mi è stato detto che sul Monte Cervati che è un luogo importante per il pascolo, in questi anni sono arrivate molto infestanti, in particolare, l’asfodelo…

RR: L’asfodelo è un classico. Se vai in Abruzzo l’asfodelo è dominante per questo motivo, perché tu mandi gli animali e loro si mangiano solo quello che gli fa comodo o gli piace, l’asfodelo no e neanche tutti gli arbusti vari. Ci vorrebbe una politica di lungo respiro. Tante volte ho detto e pure scritto che ci sono gli operai forestali che potrebbero essere messi a fare anche questo. Non ci vuole molto a pulire un pascolo con una barra falciante o con altri attrezzi. Dove ci sono pietre falciare col decespugliatore. Le infestanti vanno tolte al momento giusto, cioè prima che facciano il seme. Sono piante annuali e bisognerebbe anticipare lo sfalcio. C’è una tecnica e soprattutto non vanno tagliate quando hanno già fatto il seme.

AS: Tornando ad un punto che tu hai toccato che è quello del lavoro da fare per mettere in rete gli allevatori con i ristoratori e gli albergatori dalla costa, questo è un lavoro importante per dare un mercato a queste piccole imprese. Che tipo di difficoltà ci sono da parte degli operatori della ristorazione e degli alberghi?

RR: Secondo me non ce ne sono, nel senso che viene tanta gente nel Cilento e vorrebbe mangiare cilentano, ma di fatto di cilentano non mangia niente, solo i fichi e il vino. Per cui, il problema qual è? Che alcuni di questi allevatori non sono a norma, perché per vendere al ristorante devi avere il bollino. C’è tutto un lavoro da fare, ma questo è un fatto anche culturale, cioè se si crea un minimo di dinamismo all’interno di questo settore, poi si crea la domanda e l’offerta. In sostanza, è più un fatto culturale e qui che bisogna intervenire. Ecco perché noi li dobbiamo mettere insieme e far capire che si possono  avere dei grandi formaggi, che veramente sono seri se vengono presentati bene.

Spesso i caciocavalli sono troppo secchi perché non hanno i locali di stagionatura. Bisogna trovare un locale di stagionatura perché si presentino bene. Anche i caprini, fare dei caprini come i francesi, in modo da avere un carrello dei formaggi, in cui ci puoi mettere 10-15 formaggi. Ora, in Cilento cosa ci metti, un caciocavallo, un cacioricotta, la mozzarella nel mirto, e non lo fai un carrello. Dobbiamo anche arricchire l’offerta in modo che il ristoratore può presentare un carrello che è un incanto.

AS: Per concludere, ti volevo chiedere una riflessione sul tema di mettere assieme gli allevatori. C’è una nuova generazione che si affaccia, secondo te si possono fare delle operazioni che hanno alla base un po’ di cooperazione rispetto ad un marchio di territorio?

RR: Secondo me, la cooperazione come l’abbiamo concepita negli anni ’50 in poi è stata un errore. Niente cooperazione. Quello che devono fare, non solo nel Cilento, verrebbe da dire, è stare insieme soprattutto al bar per discutere dei problemi. Ossia, devono incontrarsi al bar. Siamo produttori di formaggi, bene una volta al mese ci vediamo e ognuno porti il suo formaggio, lo assaggiamo, vediamo quali sono i problemi, vediamo come lo possiamo migliorare. Questo significa cooperazione, no cooperativa, cooperazione cioè che tutti si riuniscono e cercano di capire perché quel formaggio è eccellente o è difettato. Magari, farsi aiutare da qualche specialista assaggiatore di formaggi. Questo lo fanno tutti i produttori. Quelli del vino si riuniscono ogni tanto e assaggiano i prodotti, valutano come sono e come possono essere migliorati. Questo bisogna fare.

L’unica cosa che io farei insieme, ma mai in cooperativa, è la stagionatura collettiva, perché nessuno ha i locali di stagionatura, altrimenti ognuno se la può fare per conto proprio. Una stagionatura collettiva fatta in un posto adatto, in una grotta naturale o in una cantina di un castello o palazzo antico. Potrebbe anche diventare un modo per creare un punto di accoglienza e di divulgazione di tutto il lavoro che si fa, un luogo di degustazione e promozione. Tanta gente sta al mare e la sera può andare nell’interno dove ci sono questi locali in posti strategici – antichi palazzi e castelli – dove è possibile degustare grandi prodotti, salumi, formaggi e vini cilentani. Diventa tutta un’altra cosa.

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