Turismo esperienziale rurale, zootecnia e produzioni artigianali lattiero-casearie e della salumeria in Cilento

Walter Tocco, biologo abilitato alla certificazione della sicurezza alimentare, negli ultimi 5 anni ha lavorato come responsabile della produzione in due delle maggiori aziende del settore zootecnico cilentane che svolgono anche attività di trasformazione. Walter riflette sulla sua esperienza, inquadrando le tematiche del settore zootecnico all’interno di uno scenario di sviluppo locale più ampio che comprende la trasformazione dei prodotti, il turismo rurale ed esperienziale e la ristorazione di territorio, sostenendo che il futuro delle imprese zootecniche cilentane sta nel saper diventare delle aziende turistiche delle esperienze.

Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Siamo con Walter Tocco che è un biologo abilitato alla certificazione della sicurezza alimentare. L’ho conosciuto nel 2016-17 quando ha partecipato a un corso alla Fondazione Alario di “Analisi e progettazione di filiere agroalimentari e turismo rurale”, in cui sono stato coinvolto anch’io come docente. Dopo il corso, Walter è rimasto sul territorio (lui è del comune di Campagna, sempre in provincia di Salerno, ma fuori dal Cilento) e ha lavorato, facendo due esperienze molto significative nella filiera zootecnica. Ha lavorato come responsabile della produzione presso la Tenuta Chirico di Ascea per due anni e poi presso il Salumificio Tomeo di Perito per tre anni.

Walter è giovane, è un “ragazzo” del 1987 che ha fatto queste esperienze di studio e lavoro, con lui vorrei dialogare su quali sono i punti di forza e i punti di debolezza del settore della zootecnia. Lui è stato sia in allevamenti bovini che suini, in aziende che avevano anche il caseificio aziendale per i formaggi e il laboratorio per la produzione di salumi, per cui ha un punto di vista quasi completo rispetto alle tematiche della filiera zotecnica. Walter ragiona un po’ su queste esperienze che hai fatto, partendo dalle cose che più ti hanno colpito.

Walter Tocco (WT): Per me sono stati cinque anni molto importanti. Ho avuto modo di vedere da vicino quali erano i punti di forza di un territorio che, apparentemente, ma forse anche nella sostanza, risulta svantaggiato dal punto di vista territoriale, dei collegamenti. E’ lontano dai grossi centri e questo si sente molto, pesa molto sulle spalle di chi opera, degli imprenditori che operano nel territorio, ma d’altro canto ho avuto la fortuna di poter vivere l’esperienza sia produttiva sia commerciale di queste aziende. Ho potuto capire dove e come fare per emergere da tutto un carrozzone di situazioni problematiche che non sono solo locali, ma anche nazionali ed internazionali, e che investono il settore zootecnico e l’agricoltura in generale. Ci sono forze potenti che influiscono sui prezzi delle materie prime e quindi tutti gli andamenti nazionali ed europei che vanno a cambiare di volta in volta le condizioni economiche della produzione e non sempre soprattutto i piccoli imprenditori riescono a starci dietro e dentro, ad adeguarsi a tutte questi cambiamenti. Basti pensare al costo del latte o al costo dei suini. Ci sono dei bollettini nazionali che di settimana in settimana, riflettendo gli andamenti mondiali ed europei, vanno a determinare il prezzo dei prodotti. Mentre i costi sono sempre gli stessi e l’imprenditore si trova a dovere fare i conti con prezzi spesso in discesa, soprattutto se si vuole confrontare con il mercato fuori dal Cilento.

Andare in questa direzione per quanto riguarda un’impresa che sta in un territorio come quello del Cilento non si è rivelata e non si rivela una scelta corretta, in quanto credo che bisogna cercare di tenersi fuori dal mercato della grande distribuzione e cercare invece di creare una microeconomia territoriale.

AS: Tu dici che bisogna bisogna stare su delle nicchie specifiche, dove il fatto che tu sei del Cilento ha un valore.

WT: Sicuramente il brand territoriale Cilento, nonostante tutte le difficoltà, viene percepito molto bene e negli ultimi due-tre anni è cresciuto tantissimo. Si sta superando la questione Cilento/Salento, per cui molto spesso ancora 3-4 anni fa il Cilento veniva confuso con il Salento. Adesso invece lo conoscono bene. Il CoVid, paradossalmente, dal punto di vista turistico ha riavvicinato e ha dato una grande mano alla conoscenza del territorio come brand. Certo, dal punto di vista dei servizi c’è ancora tanto da fare e da migliorare.

Però, uscire fuori dalle logiche di mercato è necessario, soprattutto per chi fa zootecnia, un settore dove ci sono molti costi, per cui il fallimento economico è sempre dietro l’angolo. Ci vuole poco a passare da uno stato di grazia ad uno stato di crisi. Per questo bisogna uscire fuori da questa condizione e proporre un servizio, più che un prodotto. Fornire un servizio di nicchia o almeno particolare può essere una scelta vincente, perché molto spesso è importante che si unisca alla qualità del proprio prodotto finale anche un ottimo servizio.

Parlo di diversificazione della filiera, cioè di uscire dalla questione prettamente produttiva e iniziare anche a fare un discorso turistico. Si parla molto di valorizzare le aree interne che sono il contenitore di tutta questa diversità. Ovviamente, l’area interna dal punto di vista turistico è sicuramente più svantaggiata rispetto alla zona marina. Il turismo marino è fortemente stagionale, però dobbiamo cercare di dare dei servizi in modo tale che chi viene al mare in Cilento, si possa spostare anche nelle zone interne. Questo richiede di far diventare il prodotto un prodotto turistico, non solo un prodotto strettamente gastronomico.

AS: Sono d’accordo con te. Sono anni che ragiono su questo tema dei due-tre milioni di persone sulla costa e delle poche migliaia che arrivano poi nell’interno. Però, alla fine mi domando se questi milioni di persone che vengono e stanno sulla spiaggia vogliano veramente spostarsi da questa spiaggia, oppure dato che generalmente hanno solo una settimana di vacanza, non abbiano voglia di spostarsi dalla spiaggia o comunque dai quei 400 metri tra la spiaggia e l’albergo, l’appartamento o il campeggio dove dormono…

WT: Questa è una domanda che bisogna porsi. Ma, io la domanda che mi pongo, e non parlo dei milioni di persone, ma di quelle persone che vogliono andare sul territorio, è se trovano questa possibilità? Chi vuole la nicchia, lo mettiamo nelle condizioni di poterla avere? Ci sono persone che si muovono per fare un turismo gastronomico e un turismo rurale e noi ci dobbiamo concentrare su quelle persone, anche perché il turismo balneare molto spesso ha un potere di spesa limitato, che non permette di usufruire di servizi di qualità. Se andiamo sulla nicchia e sulla produzione, inserendo il concetto di limite, perché c’è un limite produttivo dovuto alle dimensioni delle aziende e alla capacità del territorio di produrre in modo non intensivo. Per cui la produzione è limitata e noi dobbiamo cercare di fare un prodotto di qualità, ma poi puntare molto sui servizi e, quindi, puntare su aziende di produzione che siano multifunzionali.

AS: Ecco, ragioniamo su questo, cioè su cosa questo vuol dire dal un punto di vista delle aziende agricole o di allevamento o anche di miste, dove c’è anche una trasformazione, questo tema della multifunzionalità. Come si devono attrezzare? Possono le aziende zootecniche diventare un punto di attrazione? In che modo? Che tipo di servizi devono offrire per stare dentro il contenitore del turismo rurale? Come si devono attrezzare? E’ chiaro che, per esempio, anche solo fare il formaggio può essere una cosa attrattiva per molte persone che vengono dalla città. Anche soltanto vedere e ascoltare un racconto su come si fa il formaggio può diventare un’esperienza turistica attrattiva. Ragiona un po’ su questo.

WT: Certo. Conoscendo il territorio dal punto di vista della produzione primaria, a parte le poche aziende che sono strutturate, per la maggior parte parliamo di piccoli imprenditori, di pastori, di realtà familiari, di piccole situazioni. Per cui due sono le cose: o ci si mette insieme per quanto riguarda il discorso produttivo e quindi si mettono assieme dei quantitativi attraverso uno sforzo comune oppure si segue una strategia di diversificazione, nel senso che se tu sei il pastore che fa il latte e poi metti insieme la tua piccola produzione che poi viene destinata alla vendita diretta o alla piccola ristorazione del territorio, secondo me queste sono cose che attirano. Sono cose che dal punto di vista turistico hanno un grandissimo valore.

Faccio un esempio freddo, economico, un turista che viene a vedere te che fai il formaggio, ti paga 10 euro per stare un’ora con te a vedere tutto quello che fai. Guadagnare 10 euro, invece, in termini di produzione di un formaggio e quindi di vendita, costa molto di più dal punto di vista dell’impegno e dello sforzo, rispetto al turista che viene a vedere quello che fai.

Ovviamente, questa è la teoria e sembrerebbe relativamente facile metterla in pratica. Se 100 persone  mi portano 10 euro, io ho guadagnato mille euro. Pensa un attimo ad un pastore che sta a Novi Velia o altrove, per guadagnare 1.000 euro con la sua produzione, quanto formaggio debba produrre, quanto ne debba vendere, questo senza contare poi l’invenduto, i problemi gestionali, eccetera.

AS: Questo anche perché poi provocatoriamente nell’intervista che ho fatto a Benedetto Chirico, lui diceva d’accordo fare i pastori, però c’è stata un’evoluzione tecnologica, e poi diceva anche ma questi pastori che fanno? stanno a guardare le mucche tutto il giorno?, nel senso che voleva dire che hanno tanto tempo a disposizione e forse potrebbero fare questi laboratori esperienziali per i turisti.

WT: In ogni caso faccio un esempio. Se io dovessi produrre la mia carne o i miei salumi o il mio latte o il mio formaggio, piuttosto che venderlo o svenderlo, preferirei utilizzare altre strategie, perché poi alla fine che succede? Piuttosto che conferire il mio prodotto a una rete di vendita, preferisco appoggiarmi a un’agenzia turistica o un tour operator che si occupa di turismo rurale  – e ce ne ne sono – e dire: “guardate, io faccio questo e questo”. I pastori quando comprano o vendono i capi animali chiamano in nord d’Italia, in Francia o in Svizzera, quindi non gli manca la capacità di poter chiamare pure un tour operator dell’Emilia Romagna o della Lombardia. Non è una cosa difficile, ormai c’è Internet e si trova tutto, come trovano i capi, gli acquirenti e i venditori di bestiame, possono trovare anche i venditori di turismo con cui chiudere un accordo turistico.

Questo è preferibile ad un accordo commerciale, perché con il commercio entri dentro la logica dei prezzi di mercato e prima o poi vieni strangolato. L’unico modo per non uscire fuori dalla logica del mercato è fare la vendita diretta, ma questo richiede di avere una struttura, cioè un punto vendita con il personale o la gestione diretta. Ci sono comunque dei costi di gestione maggiori, ma riesci ad avere il massimo dei ricavi con la vendita diretta e riesci a uscire fuori da tutto quello che ho detto prima. Noi alla fine ci troviamo in una zona turistica, c’è la fortuna che questo brand Cilento, pur non avendoci investito mezzo euro da parte degli enti, sta andando da solo.

AS: Ecco, a questo proposito e anche a proposito di tutto il discorso che hai fatto sul turismo rurale, un elemento importante credo che sia il fatto che c’è un cambiamento generazionale in atto in molte aziende zootecniche. Secondo te, per quello che hai capito e conosciuto, rispetto a queste problematiche che sono da una parte quella del turismo rurale e dall’altra il tema dell’associazionismo, del mettersi insieme, del cooperare, questa nuova generazione ci dà speranze, nel senso che è un po’ più aperta rispetto a quella precedente? Ci sono le condizioni per fare dei passi avanti?

WT: Le condizioni ci sono nel momento in cui la nuova generazione decide di fare dei passi avanti rispetto ai padri. Questo lo dico con massimo perché ereditare un’azienda familiare è già una grande cosa, perché partire da zero oggi non è come partire da zero negli anni ‘80 o ’90. E’ molto più oneroso e difficile. Però, c’è bisogno di fare un passo avanti. Ho visto che in alcune aziende il passaggio dal vecchio al nuovo era difficile da far accadere. Penso che sia anche una cosa normale, però ho visto nei giovani, in questa nuova imprenditoria, questa voglia di cambiare le cose.

La vecchia imprenditoria è nata con dei presupposti diversi, il territorio era molto diverso rispetto a quello che è oggi, il turismo negli anni ‘80 iniziava a muovere i primi passi, anche quello balneare del Cilento. Pertanto, spesso capita che i padri tendono ancora ad avere un’influenza, però ho visto molti giovani sia nel campo della produzione sia della ristorazione cilentana che stanno facendo un bel lavoro di territorio, una bella comunicazione territoriale, e se oggi questo brand è cresciuto negli ultimi anni, è anche merito di questi qua.

Ci sono ragazzi che si mettono in gioco, escono, credono nella comunicazione, e questa è un’altra cosa importante. Spesso la comunicazione è una delle cose in cui le aziende investono poco, anche le aziende più strutturate. Pensano che la cosa importante sia la vendita, ma non è vero. Oppure molti pensano che se fai il prodotto buono, poi le persone vengono. Se fosse così il cibo industriale non sarebbe già arrivato ovunque e il cibo industriale sappiamo bene che non è un prodotto buono, però si vende. Il cibo industriale è stato venduto per tanti anni, perché sono stati fatti marketing e pubblicità.

Un prodotto che è buono ha bisogno di un investimento minore e il tipo di comunicazione che viene fatta in Cilento è sempre improntata sulla famiglia, la tradizione, il territorio, e c’è poi il prodotto. Credo che questo tipo di comunicazione sia quello che funziona. Questa cosa piace. Se vado su una pagina social di un caseificio o di un salumificio o di qualsiasi altra cosa, vedo la foto dell’imprenditore o quella della famiglia, vedo la foto del prodotto tradizionale. In sostanza, vedo tutto quello che c’è intorno al prodotto e mi incuriosisco. Poi, può darsi che il suo prodotto sia buono o che non sia buono, ma questa è un’altra cosa.

Credo che sia importante improntare la comunicazione verso i valori territoriali, che sono dei valori fondamentali, sono quelli che poi attirano le persone a venire nel territorio. Ovviamente, poi quando le persone sono sul territorio dobbiamo fargli fare qualcosa. Quindi, dico a questi imprenditori, soprattutto ai giovani, di continuare a puntare su questo, ma facciamogli vedere quello che facciamo, perché quella è economia.

Sono stato da un mio amico in Calabria e lui ha un’azienda che ha acquisito una rilevanza nazionale, ma sta in un paesino di 600 abitanti in Calabria. Ha fatto una cooperativa dove allevano i bachi – Nido di Seta. Se lui è riuscito in un paese di 600 abitanti a mettere in piedi un’azienda, c’è riuscito con il turismo. Certo, vende la sciarpa e i tessuti di alta qualità, ma lui vende soprattutto la sua esperienza. La sua è diventata un’azienda turistica, si vende il territorio, porta le persone a fare una camminata tra i gelsi, gli fa vedere come si alleva un baco da seta, quale è il processo di produzione, poi lì c’è anche il mare e va bene. Dobbiamo assolutamente puntare su questo tipo di cose. E credo che i giovani queste cose le abbiamo capite sia nella produzione sia nella ristorazione.

AS: Ti volevo chiedere, appunto, della ristorazione. Tu hai citato questi giovani che stanno sperimentando e che in qualche misura reinterpretano la tradizione, facendo una gastronomia del territorio. Ce n’è un certo numero che sono giovani e qualcuno anche meno giovane che lavora su questo. In Cilento c’è questa differenza tra la gastronomia di territorio dell’interno e la ristorazione della costa. Su questa differenza tu cosa pensi?

WT: Sicuramente chi sta sul mare, vuoi o non vuoi, è un po’ condizionato dai flussi turistici e quindi corre più il rischio di impantanarsi nel vil danaro e in questa foga e adrenalina estiva che investe i ristoratori cilentani della costa. Che poi alla fine è un fuoco fatuo, perché loro stessi si lamentano per come vanno le cose.

Però, è evidente che c’è un Cilento interno che poi, come ho detto anche prima, è la vera ricchezza del territorio, la vera ricchezza gastronomica ed esperenziale del territorio, che cerca di fare proprio questo tipo di ristorazione. Molto spesso sono anche produttori e hanno degli agriturismi. Producono i prodotti che poi dopo servono all’interno del ristorante dell’agriturismo.

Chi sta sul mare è influenzato e vive questa dicotomia, del che fare e che non fare. Credo che chi sta sul mare resta sempre molto più avvantaggiata. Il mare è di tutti, è sia del turista di massa sia del turista di qualità. Se io sono un turista di qualità, visto che in Cilento ci sono problemi a spostarsi e a capire dove stanno le cose, perché non c’è una comunicazione territoriale coordinata, vado al mare e poi faccio una passeggiata a piedi sul lungomare di Pioppi, Casal Velino o Camerota e se posso andare in un ristorante che fa qualità sono molto più contento, piuttosto che prendere la macchina e farmi mezz’ora o 40 minuti di strade, stradine per raggiungere l’agriturismo nel’interno.

Quindi, chi opera sulla costa, secondo me, se riesce a proporre una cucina di qualità riesce anche a fare i quantitativi, perché i numeri ci sono. Ci sono e non faccio nomi, ho conosciuto delle aziende che operano sulla costa, aziende sia agrituristiche sia di ristorazione che fanno questo discorso da anni e, nonostante si trovino in una zona dove c’è un turismo prettamente balneare che oramai dura 20 giorni 25 giorni, riescono a fare una cucina di qualità e ad intercettare quei clienti. Credo che il fatto che ci sia il turismo di massa sia anche una scusa, che sia una cosa anche di comodità che andava bene un po’ di anni fa, ma adesso a conti fatti anche questa ristorazione qua si sta iniziando a rendere conto che bisogna cambiare.

Se si cambia piglio, inizierà anche a trasformarsi il turismo. Il turismo di massa ci sarà sempre ed è giusto che il mare sia democratico, di tutti, ma credo che sulla costa sia ancora più importante farlo perché si riescono ad intercettare molte più persone di quelle che si riescono a intercettare dall’interno.

Nell’interno, se si riesce a lavorare con un turismo anche straniero si può allungare la stagione e forse anche lavorare tutto l’anno nella ristorazione non solo con i cilentani. Il turista del nord Italia ed europeo si muove anche in altri momenti dell’anno, non solo in estate. Si tratta di intercettarli, ma le aziende che conosco e che lavorano con gli stranieri si relazionano con dei tour operator e organizzano il giro dell’azienda, la passeggiata a cavallo e altre cose, ma alla fine l’obiettivo principale è quello poi di farli dormire e di farli mangiare da loro, lavorando fino a fine ottobre/novembre. Vanno anche fuori stagione, però siamo sempre lì, non è il prodotto che tira. Il prodotto è l’ultima cosa, mentre quello che tira è l’esperienza. Quindi, iniziamo a vendere esperienze e in questo modo miglioriamo il turismo e miglioriamo le condizioni economiche.

Spesso sento parlare male del Cilento da parte degli stessi cilentani. Non tutto funziona, però la storia turistica del Cilento è molto breve, quindi è normale che c’e tanto da fare. Le prime forme turistiche del Cilento risalgono agli anni ’80.

AS: Questo è vero, anche se c’è stata l’esperienza del Club Mediterranee di Palinuro a partire dagli anni ’50. Poi, però quella strada è stata abbandonata tant’è vero che il Club Mediterranee ha abbandonato il territorio.

WT: Sì, però parliamo di un territorio di contadini e pastori che negli anni ’80 ha cominciato ad affacciarsi sul mercato turistico. Quindi, è normale che ci sono delle cose da eliminare, che c’è una politica che è ancora vecchia, che ci sono delle cose da registrare e migliorare.

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