Materie prime del territorio e lavoro in famiglia per una ristorazione eccellente. La storia di Anna

Anna Nigro gestisce insieme a tutta la sua famiglia l’agroristorante Anna dei Sapori a Velina, ne comune di Castelnuovo Cilento. Anna è partita 16 anni fa e da allora ha fatto un percorso basato sul rilancio delle aziende agricole e di allevamento della sua famiglia e oggi propone una gastronomia cilentana tradizionale di qualità. Anna riflette sul suo percorso e su un modello di ristorazione che valorizza le materie prime dei piccoli produttori del territorio. Un lavoro impegnativo, ma che consente di rafforzare il ruolo della famiglia e di proporre ai suoi ospiti un’alimentazione sana in linea con la tradizione della dieta mediterranea.

Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Siamo insieme ad Anna Nigro, la proprietaria di un ristorante che si chiama Anna dei Sapori di Velina di Castelnuovo Cilento a due passi dal comune di Ascea. Anna lavora con molta serietà, impegno e metodo. Fa una cucina cilentana e lavora soprattutto con materie prime in parte autoprodotte e in parte dei produttori locali. Anna raccontandoci la storia del tuo ristorante e e il tuo approccio alla ristorazione. Il fatto che il tuo ristorante si chiama Anna dei Sapori è programmatico rispetto al fatto che la tua cucina esalta i sapori.

Anna Nigro (AN): Noi nasciamo come agriturismo 16 anni fa. Io e mio marito decidemmo, sulla scorta di quelle che erano le nostre passioni al di fuori dei lavori che facevamo rispettivamente, di restaurare il vecchio casale che mio nonno aveva costruito alla fine degli anni ‘50 per mettere su un’attività di vendita di prodotti tipici, inizialmente, che poi si è trasformata in un agriturismo. L’intento era quello di promuovere il prodotto e il territorio cilentano e di farlo rimanendo quanto più ancorati possibile alle nostre tradizioni, a quello che io e mio marito avevamo mangiato da piccoli,

In effetti, devi sapere che io ho origini contadine e pastorali, nel senso che mio nonno è stato uno dei pastori transumanti che da Piaggine si spostava regolarmente verso il mare, facendo sei mesi montagna e sei mesi al mare. Quindi, quelle sono le mie origini. Poi, ad un certo punto mio nonno decise di fermarsi stabilmente qui a Castelnuovo, perché allora c’era l’Ente di Sviluppo che distribuiva le terre e lui decise di comprare da questo ente alcune colline dove poi stabilmente dimorava con la sua famiglia e dove per tantissimi anni ha condotto le attività di pastorizia. Quindi, io sono nata tra le pecore, tirata su con il latte di pecora, a contatto molto con la natura nell’azienda, partecipando a tutte le attività che facevano i miei nonni e i miei genitori. D’altro canto, mio marito Felice anche lui è figlio di contadini, per cui anche lui è abbastanza addentrato in queste cose.

Poi, noi figli avevamo fatto delle scelte di vita diverse di lavoro, anche perché gli stessi nostri genitori allora dicevano che non si poteva andare avanti solo con l’attività della terra e dell’azienda agricola, perché erano gli anni in cui si correva dietro ad altri lavori. Io ho un diploma da ragioniera, per cui sono contabile d’azienda, mentre Felice è meccanico d’auto. Quindi, per anni abbiamo svolto le nostre attività, sempre coltivando comunque le nostre passioni. Io molto anche per tutto ciò che era la cucina della tradizione, mentre Felice per quanto riguarda la parte dell’azienda. Alla fine, dopo un lungo percorso lavorativo di entrambi su altri terreni, abbiamo deciso di restaurare questo casale che aveva costruito mio nonno, per cui c’è un legame affettivo di base, per affrontare un’attività di tipo agrituristico/ristorativo, perchè la mia è una passione per la cucina di territorio.

Il modo per farlo era quello di cominciare da ciò che era il prodotto di casa. Ti devo dire la verità, 16 anni fa il terreno non era così pronto, anzi era piuttosto arido e difficile. E’ stata una scommessa abbastanza impegnativa anche perché avevamo estrazioni lavorative molto diverse. Ha richiesto uno sforzo non indifferente, però ne sono molto, molto contenta perché sono riuscita a far venir fuori quella parte di me che tenevo un po’ dormiente e nella quale poi mi sono riconosciuta molto di più come lavoro. A me piace tutto ciò che riguarda la promozione del territorio attraverso quella che è la cucina. Questa è stata in buona sostanza la nascita di Anna dei Sapori.

L’ho potuto fare perché negli anni precedenti avevamo ripreso le attività agricole rispettive, cioè l’azienda agricola della mia famiglia e quella della famiglia di mio marito che avevano subito un po’ un decadimento nel corso del tempo. I nostri genitori avevano già un’età abbastanza avanzata e quindi le forze cominciavano a mancare. Allora, io e Felice pian piano abbiamo ripristinato l’attività dei miei suoceri che avevano un’azienda di produzione di olio e di fichi, mentre il mio papà continuava ad avere l’allevamento delle pecore, sebbene con numeri molto minori rispetto al mio nonno. Abbiamo cercato di ripristinare le attività e di continuare le produzioni che erano naturali e biologiche. Noi abbiamo solo sistemato l’azienda dal punto di vista burocratico. Erano già aziende a condizione biologica in modo naturale. Sulla base di queste due aziende che avevamo, di questi due pilastri fondamentali, abbiamo potuto cominciare a fare il ragionamento dell’agriturismo e abbiamo lanciato l’attività.

Come cucina ho fatto quello che facevo in casa, ovviamente con degli accorgimenti diversi, però ho spinto su quelle che erano le produzioni nostre, di casa, perché sono sempre stata convinta che era un prodotto, sebbene semplice e naturale, del futuro, che avrebbe fatto più strada, perché noi che siamo abituati a mangiare i nostri prodotti buoni, abbiamo delle difficoltà quando andiamo invece a mangiare dei prodotti che vengono dalle grosse catene di distribuzione. Conoscendo questa differenza, sono sempre stata convinta che dovevo puntare su quello che mamma e papà mi avevano fatto mangiare fino a quel momento. Questo, in pratica, ho fatto e tento di fare ancora con la mia attività.

AS: Tu fai anche un’attività di laboratorio, di trasformazione e di preparazione. Racconta che tipo di prodotti fai. Questi prodotti hanno anche una loro consistenza autonoma, però in buona parte finiscono anche nella tua ristorazione. Questa è una cosa interessante anche dal punto di vista della continuità annuale del lavoro della ristorazione basata sulle variazioni stagionali. Adesso ci sono le verdure a foglia, mentre in primavera ci sono altri tipi di ortaggi e poi in estate ci sono i pomodori, i peperoni e le melanzane. In questo modo tu assicuri alla tua famiglia una continuità di lavoro, anche se ovviamente d’estate si lavora di più con la ristorazione perché ci sono i turisti.

AN: Sì, in effetti è proprio così. Tieni presente che all’inizio era proprio questa la difficoltà, cioè riuscire ad avere e ad offrire il prodotto nell’arco di un periodo abbastanza ampio. L’implementazione delle produzioni nelle due aziende è stata fondamentale perché a un certo punto mi sono resa conto che nel voler garantire determinati prodotti dovevo fare in modo di avere la disponibilità di quantità. Anche se, e questo è stato un punto su cui ho lavorato molto con i miei ospiti, ho cercato di far comprendere all’ospite che ci sono dei periodi che puoi mangiare determinate cose e ce ne sono degli altri in cui non potrai mangiare quelle cose, ma ne mangerai delle altre, perché è ovvio che c’è una stagionalità di produzione. In alcune stagioni riesco avere un prodotto e fare la preparazione con questo, ma in altre no

A questo ho aggiunto anche l’innovazione tecnologica perché se qualche anno fa riuscivo ad avere alcune produzioni in un periodo e farle mangiare solo in quel periodo, perché non conoscevo determinate strumentazioni che mi garantivano invece una più lunga conservabilità. Con l’introduzione di alcune tecnologie, come l’abbattitore e il roner, alcuni strumenti che in cucina, anche se sei un agriturismo, ti possono permettere garantire il mantenimento dei valori nutrizionali e un lungo il periodo di conservazione. A quel punto anche il lavoro viene svolto in modo diverso e ti garantisce una continuità più lunga. Se i broccoli ci sono in questo periodo, è ovvio che me li preparo, non li riesco a consumare tutti in questo periodo, perché non c’è quella affluenza che c’è nei periodi estivi, con un abbattitore riesci a conservare le proprietà nutrizionali dell’alimento e allo stesso tempo a spostare un poco più in là l’utilizzo del prodotto.

Il nostro è un menù basato su quella che è la nostra produzione agricola e zootecnica che riusciamo a fare in azienda. Per cui, è un menù che cambia almeno tre volte nel corso dell’anno perché dobbiamo inserire il nostro prodotto stagionale. In aggiunta a questo, anche grazie anche agli input del Parco Nazionale del Cilento, abbiamo inserito anche i prodotti che sono a marchio Parco, quindi anche di altre aziende. Questo è stato un punto fondamentale che mi consente di dire che adesso abbiamo raggiunto una maturità basata sulla collaborazione tra aziende, perché nel mio menù trovi anche l’utilizzo del Presidio Slow Food del cacioricotta di capra come di tutti gli altri Presidi e dei prodotti a marchio Parco, laddove io quel prodotto lo produco, ma mi è finito oppure non lo riesco a produrre, perché semmai le mie produzioni sono impostate su un altro genere di coltivazione.

Quindi, adesso, a distanza di sedici anni ti posso dire che riusciamo a coprire veramente con la maggior parte della produzione del posto. Abbiamo un po di difficoltà per le carni perché ci sono dei problemi oggettivi. Però, penso che con un poco più di interesse da parte di giovani e di aziende giovani si possa cominciare a risolvere anche questo tipo di problemi.

AS: Come fai queste carni? Di quali carni parliamo? Nel tuo menù c’è anche il capretto ogni tanto?

AN: No, perché ho le pecore e quindi ho gli agnelli, ma su ordinazione prepariamo anche il capretto. Per le carni noi abbiamo risolto in questo modo. I salumi ce li facciamo noi, per cui gli allevamenti sono nostri. Per quanto riguarda invece i formaggi mi servo da aziende che producono il formaggio. Per quanto riguarda le carni ho un po’ più di difficoltà ci sono dei periodi in cui riesco ad avere prodotto della zona, però vedo che la difficoltà sta nelle aziende, alcune volte hanno delle difficoltà dal punto di vista burocratico. Tu sai benissimo che una carne che entra in un’attività di ristorazione deve essere accompagnata da determinati documenti, deve anche essere una carne è frollata per quello che riguarda l’animale bovino. Questa è una questione molto delicata da cui dipende anche la qualità del piatto. Noi cerchiamo di produrre il pollo e quindi le uova, anche il coniglio, però per quanto riguarda i maiali e il vitello, secondo me, andrebbero un poco più potenziate le attività sul posto. Ce ne sono diverse e probabilmente sono delle attività che si ingarbuglino in questa situazione burocratico-amministrativa da risolvere. Questo tante volte frena molto l’implementazione di un’attività.

AS: A proposito di bovini, quale è la tua posizione sulla carne podolica. E’ una carne che ti interessa?

AN: Al momento non ce l’ho, ma mi piacerebbe inserirla.

AS: Tu molti prodotti te li produci nelle tue due aziende agricole, poi altri li compri da dei piccoli produttori locali. Ti vorrei chiedere che tipo di relazione hai con loro. Quali difficoltà trovi, anche rispetto alla reperibilità effettiva dei prodotti oppure ai prezzi?

AN: Con gli altri produttori ho rapporti con tutti, nel senso che essendo io nella duplice veste di produttore e di agroristorante riesco anche a comprendere alcune politiche di prezzo che fanno loro. E’ la mia stessa condizione quando vado a vendere fuori dal ristorante. Mi rendo conto che ci sono delle problematiche da un punto di vista economico, perché naturalmente i prezzi dei prodotti tipici hanno un divario enorme rispetto agli altri prodotti. Con tutti gli altri ho un rapporto ottimo, riusciamo a fare un interscambio bellissimo che è di collaborazione, di sostegno reciproco. Questo può essere solo un beneficio sia per noi stessi sia per il turista, il nostro ospite, il nostro cliente che intravede anche se i rapporti tra di noi sono buoni o no. Io non mi posso fare un problema di prezzo, perché so che il prodotto buono costa, punto. Se vuoi fare l’olio buono costa, sei vuoi fare i fichi in un certo modo, costa. So che quel prodotto se è prodotto nel territorio, ha un inizio e anche una fine. Non posso avere la continuità finché ne vogliamo e questo lo deve anche comprendere il consumatore finale. Se vuole un prodotto che ci sta sempre, si deve rivolgere a qualche altro tipo di produzione. Il messaggio deve essere far capito anche al consumatore.

AS: Parlare chiaro. Il discorso dei prezzi è in parte relativo perché spesso l’incidenza del costo di alcune materie prime di qualità è relativo in un piatto. Spesso si tratta di pochi centesimi in più per singolo piatto.

Anche con i produttori bisogna avere avere un rapporto molto chiaro, trasparente rispetto a quello che uno che sta cercando di fare. Possono diventare a tutti gli effetti dei partner, nel caso della ristorazione.

Il tuo modello di ristorazione è un modello da agriturismo, di agroristorazione. Forse questo è il modello che tutto il Cilento dovrebbe adottare, perché se tu ci pensi bene il Cilento potrebbe funzionare come se fosse un unico grande agriturismo, considerando ogni zona poi ci sono dei prodotti particolari legati alle specifiche vocazioni del territorio, all’agricoltura verticale. Certo, il ristoratore dovrebbe impegnarsi facendo una ricerca dei produttori e sulla gastronomia di territorio.

AN: Bisognerebbe creare dei momenti di incontro tra i produttori e i ristoratori. Questa è una cosa fondamentale, secondo me, per l’ulteriore sviluppo del Cilento. Per quando riguarda il discorso relativo alla verdura e alla carne, posso aprire una piccola parentesi. La nostra dieta mediterranea si basa principalmente sulla verdura. Lavorare la verdura in una cucina non è una cosa così semplice come si ritiene e neanche così veloce.

Ho abituato i miei ospiti che hanno a disposizione 5-6 verdure su cui scegliere, ma lavorare queste 5-6 verdure tutti i giorni non è una cosa semplice. Per me sarebbe meglio prendere una fettina di carne e metterci una patatina fritta e ho fatto il piatto. Però, nell’intento di rieducare l’ospite a una sana alimentazione, quindi a un’alimentazione che era quella tipica dei nostri nonni, della cucina cilentana, ho deciso di introdurre, in base al periodo, questa possibilità di scegliere queste verdure. Ma, ti posso garantire che devo quasi dedicare una persona apposta per questo. Anche le semplici mulignane ‘mbottonate sono semplici, però ci metti formaggio buono, e formaggio ce ne vuole parecchio, e farle non è una cosa semplice. Fare un piatto a base di alici ‘mbottonate richiede ore di lavoro. Per fare una minestra stretta, in questo periodo perdo delle giornate intere a cercare le erbe spontanee che devono essere trovate, pulite, scaldate e abbattute. Insomma, la cucina cilentana, per farla bene, richiede molto tempo, molto lavoro. Anche la semplice minestra stretta richiede giornate di lavoro, come giornate di lavoro si dedicano alle mucche per allevarle.

Nel mio lavoro, la compattezza familiare, il sostegno della famiglia, l’unità della famiglia è fondamentale. In questo momento, sono sette di noi che lavorano qua dentro. C’è la mia mamma, c’è mio papà, ci sono i miei figli che ho avviato al lavoro. C’è la soddisfazione di avere un lavoro che copre tutto l’anno tra ristorazione e produzione, ma allo stesso tempo dietro c’è un sacco di lavoro e lo posso fare anche grazie al sostegno dell’intera famiglia. C’è una disponibilità immediata, diretta, comprensione di degli obiettivi da realizzare, ma allo stesso modo di un gruppo di collaboratori/dipendenti che sposano il mio stesso principio di lavoro e quindi un grazie anche a loro se posso realizzare tutto questo perché se sono partita all’inizio io, mamma e mia zia, adesso arriviamo ad essere anche in 10, a seconda dei periodi. Tutto questo lo puoi fare grazie a un lavoro di squadra che sposa le tue stesse idee.

AS: Sono 16 anni che fai la tua agroristorazione, che tipo di evoluzione hai visto nella tua clientela? E’ cresciuto l’interesse per il tipo di gastronomia di territorio che fai? Inoltre, pensi che il tuo modello di ristorazione sia replicabile?

AN: Si può fare, si può realizzare, l’importante è avere la famiglia intorno e su questo ritorno su un discorso che poi è quello della tradizione. Prima le cose si facevano tutti insieme in famiglia, stando insieme, ma ad un certo punto questo si è un po’ perso. La famiglia si è disgregata perché ognuno correva per i propri lavori. Quindi, c’è stato un periodo in cui la famiglia è stata smembrata per quella che era la sua funzione tradizionale.

Io ho cercato di mantenere anche quella e quindi coinvolgendo i nonni, i genitori, i figli. Non è semplice neanche in famiglia perché tante ore di lavoro sempre insieme, sacrificare anche i sabati e le domeniche. E’ una cosa che veramente richiede un grosso sforzo e una grossa passione, però quando arrivò arriviamo ai tavoli e l’ospite è soddisfatto, lo manifesta in modo palese, anche le mie figlie che a volte sopportano la pesantezza di questo lavoro, ne sono contente.

Invece, per quanto riguarda gli ospiti, in 16 anni ho visto cambiare la clientela. Sono partita con una clientela molto sfiduciata. All’inizio pensavo che fosse un mio problema nel comprendere il cliente, invece dopo qualche tempo ho compreso che era l’ospite che era sfiduciato per una serie di fregature avute. Quindi, abbiamo dovuto fare un lavoro di recupero, un doppio lavoro di dimostrazione che vogliamo lavorare in un modo diverso, che vogliamo offrire un prodotto che è quello vero, quello tipico. Ci abbiamo speso energie su questo. Conosco tanti altri colleghi che hanno fatto la stessa strada e l’ospite adesso ha capito ha capito, ce lo manifesta ed è più informato, che sa quello che vuole e misura le spese.

E’ anche un ospite che però ha patito e per patito intendo che quando ho aperto 16 anni fa avevo nella mia clientela nel corso dell’anno 2-3 persone intolleranti, celiaci. A distanza di 14-15 anni nei mesi estivi mi sono ritrovata con 6-7-8 persone con queste problematiche. Questo ha rafforzato ancora di più il mio pensiero originario per il quale all’inizio io avevo tanto patito. Credo che il problema sia a livello alimentare, cioè se noi continuiamo a insistere con i nostri prodotti che sono quelli naturali, genuini e che fanno bene, non facciamo altro che, oltre a lavorare e guadagnare, aiutare i nostri ospiti ad imparare a ritornare una alimentazione sana. Se nel corso di una giornata ci sono 7-8-10 persone che hanno problemi significa che qualcosa a livello alimentare non è andato bene. Significa che ci hanno fatto mangiare tanta immondizia.

Ora, io faccio anche una cucina per celiaci, una cucina senza glutine. Preparo la pasta fresca senza glutine e per le farine al momento attingo al molino di Terra di Resilienza di Caselle in Pittari, anche a Piaggine dalla Spiga del Cervati, poi l’anno scorso abbiamo anche provato il grano nostro. Usiamo anche le farine de I Moresani e dell’azienda agricola La Petrosa. Da tre anni stiamo cercando di inserire almeno un formato di pasta fresca prodotta con la farina del Cilento, la saragolla e il Senatore Cappelli.

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