Per i maiali, come per altri animali, ci sono malattie incurabili, come la peste suina africana (PSA) e la sindrome riproduttiva e respiratoria porcina (PRRS). La peste suina africana è una malattia virale che colpisce suini e cinghiali. Altamente contagiosa e spesso letale per gli animali, non è, invece, trasmissibile agli esseri umani.
Nel 2014 è esplosa un’epidemia di PSA in alcuni Paesi dell’Est della UE. Da allora la malattia si è diffusa in altri Stati Membri, tra cui Belgio e Germania, mentre in ambito internazionale è presente in Cina, India, Filippine e in diverse aree del Sud-Est asiatico, raggiungendo anche l’Oceania (Papua Nuova Guinea).
Il 7 gennaio 2022 è stato confermata la positività in un cinghiale trovato morto in Piemonte, nel Comune di Ovada, in provincia di Alessandria. Precedentemente in Italia la malattia era presente unicamente in Sardegna, dove negli ultimi anni si registra un costante e netto miglioramento della situazione epidemiologica. Il virus riscontrato in Piemonte è geneticamente diverso dal quello circolante in Sardegna, e corrisponde a quello circolante in Europa da alcuni anni.
Dal 2020 l’Italia, in considerazione dell’epidemia europea e in base a quanto previsto nell’ambito della strategia comunitaria di prevenzione e controllo della malattia, ha elaborato un piano di Sorveglianza nazionale, che contempla anche una parte dedicata alla sola Sardegna relativamente alle misure volte al raggiungimento dell’eradicazione. Il Piano è presentato annualmente alla Commissione Europea per l’approvazione e il cofinanziamento. Come previsto dalle norme comunitarie, dalla conferma della positività del cinghiale lo Stato Membro interessato ha 90 giorni di tempo per presentare alla Commissione Europea uno specifico Piano di eradicazione. Il Ministero della Salute ha emesso in proposito una circolare che raccomanda che in tutto il territorio nazionale sia rinforzata l’attività di sorveglianza negli allevamenti suini, e soprattutto si compia ogni sforzo per rintracciare e testare le carcasse di cinghiali come previsto dal piano nazionale di sorveglianza.

La peste suina africana in Europa
Durante l’estate 2018, la Romania ha registrato quasi 800 focolai di peste suina africana, una malattia che si trasmette attraverso delle spore assai resistenti che possono essere trasportate da qualsiasi cosa, compresi scarpe e abiti degli agricoltori, i secchi e i mangimi contaminati, le pulci e i veicoli di trasporto, ma che le autorità ritengono venga trasmessa soprattutto dai cinghiali che vivono allo stato brado (per questo il governo polacco ha deciso di abbatterne 200 mila, quasi l’intera popolazione di cinghiali del Paese, dove l’epidemia si è diffusa a partire dal 2014). I mangimi possono essere un vettore del virus perché composti da semi di soia geneticamente modificati, cereali, proteine in polvere che spesso sono derivate dai maiali e rifiuti alimentari trattati che spesso contengono carne di maiale.
Per questa malattia non esiste un vaccino perché gli scienziati non sono ancora riusciti a superare le difficoltà dovute al grande e complesso DNA del virus che ha circa 170 geni e 80 proteine, molte dei quali si sono specializzati nell’eludere diversi aspetti del sistema immunitario dei maiali. La peste causa emorragie interne e la morte dell’animale, ma non è trasmissibile agli umani. In Romania si è diffusa soprattutto nelle aree del delta del Danubio dove c’è un’ampia diffusione di piccoli allevamenti semibradi e dove il controllo sanitario è a volte difficile. Sono stati abbattuti almeno 250 mila animali infettati. Presto il virus della peste suina si è diffuso in oltre 50 Paesi dell’Europa e dell’Asia e l’Organizzazione Mondiale per la Salute Animale ha stimato che un quarto (350 milioni) della popolazione mondiale di suini sarebbe morta a seguito dell’epidemia.
Gli scienziati hanno scoperto che il virus può sopravvivere per un mese nei salami, per 140 giorni nel jamón ibérico e per 399 giorni nei prosciutti di Parma. Focolai di peste suina africana sono stati confermati anche in altri Paesi dell’UE (in modo grave in Estonia, Polonia, Lettonia, Grecia, Ungheria, Cechia, Belgio e Lituania), mentre epidemie sono state confermate anche in Russia, Ucraina e Moldova. Gli stati tedeschi di Brandeburgo e Sassonia hanno costruito delle recinzioni lungo il confine con la Polonia per impedire l’ingresso di cinghiali. Anche la Danimarca ha deciso di costruire una rete di recinzione elettrificata e munita di telecamere alta un metro e mezzo lungo i 70 chilometri di confine con la Germania (che alleva 26 milioni di suini) per impedire le migrazioni dei cinghiali e tenere fuori la peste suina africana, nonostante il suo vicino meridionale non avesse registrato alcun caso. In Danimarca il numero dei suini supera di quasi cinque volte quello delle persone – ospita circa 28 milioni di maiali in 3 mila allevamenti, contro una popolazione umana di 5,7 milioni – e le esportazioni di carne suina (15 milioni di capi nel 2017) valgono oltre 3 miliardi di euro all’anno. In Germania il virus è arrivato nel settembre 2020 nello Stato orientale del Brandeburgo (individuato in un cinghiale morto vicino al confine con la Polonia), nonostante l’erezione di una recinzione elettrica per pascoli lunga 120 km, seminando ansia nel Paese maggiore produttore e consumatore d’Europa e principale esportatore europeo in Cina. Per cercare di bloccare il passaggio dei cinghiali attraverso il confine sono stati utilizzati anche cani e droni.

La peste suina africana in Cina e in Asia
La Cina, il più grande produttore di suini al mondo con la metà dei capi, è stata colpita, per la prima volta nella sua storia, dalla malattia dall’agosto 2018 e oltre un milione di capi sono stati abbattuti in pochi mesi. Il contagio si è diffuso in tutto il Paese, ha attraversato i confini con Mongolia, Laos, Vietnam, Myanmar, Hong Kong, Nord Korea, Thailandia e Cambogia. Ha colpito anche la Corea del Sud e le Filippine (agosto 2019), un Paese che è l’ottavo maggiore produttore di carne di maiale al mondo e dove la carne di maiale costituisce il 60% del consumo totale di carne. In Vietnam in pochi mesi sono stati abbattuti oltre 5 milioni di maiali, ovvero il 15% del totale, una cifra destinata ad aumentare rapidamente. L’impatto economico e sociale sarà probabilmente enorme per il Vietnam, dove il maiale rappresenta il 75% di tutta la carne consumata nel Paese ed è un settore che vale circa 40 milioni di euro. Nel complesso, il settore agricolo in Vietnam impiega quasi il 50% della forza lavoro, con una parte significativa impegnata nell’allevamento di suini.
Anche in Cina, dei 26 milioni di allevamenti attivi, quelli più vulnerabili al virus sono stati i più piccoli a gestione familiare che producevano meno di 500 maiali da macello all’anno e rappresentavano circa il 40% della produzione cinese, ovvero circa 280 milioni di suini all’anno, dove i controlli sanitari e veterinari erano minimi. L’epidemia di peste suina africana ha contribuito ad accelerare i cambiamenti in un’industria che già si stava spostando verso allevamenti sempre più intensivi ed industrializzati, in particolare nel nord del Paese. Le misure governative messe in atto per contrastare l’epidemia hanno favorito fortemente le aziende più grandi considerate più capaci di prevenire la diffusione di malattie con standard igienici più elevati. In ogni caso, si stima che a seguito dell’epidemia la produzione interna di carne di maiale si sia ridotta di oltre il 40% (200 milioni di maiali, pari quasi all’intera produzione americana ed europea annuale, ma alcuni osservatori hanno stimato una riduzione di oltre 300 milioni, ossia di oltre il 50%), compensata da un aumento delle importazioni del 44% e dei prezzi – del 70% – della carne suina in Cina, contribuendo a far salire l’inflazione interna al 3% e a far aumentare il prezzo della carne di maiale anche nel resto del mondo. Per contenere l’aumento dei prezzi, il governo ha messo sul mercato parte delle riserve strategiche di carne di maiale congelata. La carne di maiale rappresenta oltre il 60% del consumo cinese di carne e la carenza di carne di maiale a buon mercato ha riportato la carne di cane e coniglio nel menù delle comunità rurali e dei ceti sociali meno abbienti.
Per ricostituire i suoi allevamenti di maiali, la Cina ha importato per via aerea decine di migliaia di scrofe da riproduzione dalla Francia e da altri Paesi nel 2020. Capi geneticamente selezionati dall’azienda francese Axiom e dalla olandese Topigs Norsvin con caratteristiche quali l’alta produttività, l’alta qualità della carne e l’alto numero di suinetti che sono in grado di partorire (fino a 16).