Maria Sarnataro è vice presidente nazionale ONAF e vive a Ceraso. Maria riflette sui percorsi che possono contribuire a valorizzare le produzioni di formaggi cilentani. Da un lato, favorire il confronto e l’aggregazione degli allevatori, dall’altro, promuovere forme di turismo esperienziale che abbiano come protagonisti allevatori e casari locali, insieme ai gastronomi di territorio.
Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Siamo con Maria Sarnataro di Ceraso che è vice presidente nazionale ONAF – Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Formaggio, anche delegata per la provincia di Salerno. Maria fa parte anche dell’AIS – Associazione Italiana Sommelier ed è delegata per l’associazione per il territorio del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni in materia di vini.
Detto questo, credo che la conversazione di oggi con Maria sui formaggi del Cilento sia particolarmente importante perché, alla luce di quello che sta emergendo dalla ricerca con gli allevatori, si manifestano le tante difficoltà che gli allevatori incontrano nel perseguire la filiera della carne, soprattutto per i bovini, almeno nel territorio del GAL Casacastra. I recenti aumenti dei prezzi del fieni e dei cereali sono la dimostrazione plastica del fatto che se si va su questa strada ci si può fare del male. I pascoli sono scoscesi, d’estate sono siccitosi, sono molto infestati da piante infestanti e dall’avanzamento del bosco. Coltivare foraggi e cereali è diventato difficile, mancano le superfici, manca l’acqua e ci sono i cinghiali che tendono a distruggere tutto prima del raccolto.
In sostanza, credo che bisognerebbe puntare soprattutto su una zootecnia finalizzata alla produzione lattiero-casearia e in particolare sugli allevamenti di pecore e capre, che sono gli animali che storicamente hanno popolato il territorio del Cilento da millenni, mentre i bovini sono stati sempre pochissimi. Negli ultimi decenni il numero dei bovini è aumentato grazie ai contributi pubblici e a delle condizioni particolari di mercato. Entrambi fattori che oggi non sono più così rilevanti.
Detto tutto questo, bisogna lavorare sul latte come materia prima eccezionale che viene dal pascolo brado o semi brado e bisogna riuscire a fare dei formaggi che siano all’altezza della materia prima eccezionale che si ha. Non credo che questo voglia dire rinnegare la tradizione, cioè il cacioricotta, piuttosto che le tome e le caciottine. Significa però lavorare per costruire un’offerta qualificata e più variegata, un po più ampia.
Vorrei ragionare con Maria su tutto questo. Intanto, Maria raccontaci cos’è l’ONAF, che tipo di attività svolge e poi entriamo nelle tematiche che ho provato a delineare.
Maria Sarnataro (MS): L’ONAF è l’Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Formaggio e, in effetti, il nostro compito è quello di valorizzare i formaggi di un determinato territorio, farli conoscere, farli comunicare da chi li produce. Il nostro percorso formativo si articola sostanzialmente in due momenti.
Uno è un corso base in cui l’obiettivo è proprio quello di far entrare chi partecipa all’interno del mondo formaggio, cioè far conoscere le caratteristiche dei formaggi, lavorando sulle DOP nazionali. Questo per un produttore locale rappresenta un momento importante di confronto, nel senso di entrare nella logica della conoscenza approfondita delle caratteristiche dei formaggi, intesi nella loro descrizione e analisi sensoriale. Quindi, un percorso di conoscenza generale.
Invece, il corso da maestro assaggiatore è un lavoro successivo che prevede il primo step e che è legato alla realizzazione di un panel, cioè di un gruppo di assaggiatori che si perfeziona nella conoscenza, entra nel dettaglio delle problematiche, valuta i formaggi, cosa che non viene fatta nel corso di primo livello. Nel primo livello si entra nel vivo del racconto e della conoscenza, mentre nel secondo livello, nel corso di maestro assaggiatore, si ha la capacità poi, attraverso l’esperienza, perché vengono fatti dei percorsi di allenamento, di poter valutare i formaggi. Infatti, come maestri assaggiatori veniamo coinvolti in diversi concorsi nazionali e anche internazionali. Quindi, questo è il nostro lavoro.
Io sono il delegato ONAF della provincia di Salerno. Sono un’appassionata di formaggi e tu prima citavi i vini, in realtà lavoro con i vini, faccio molta didattica nei corsi, ma il formaggio è la mia passione, e l’ho portato avanti in modo parallelo a questo percorso proprio perché sono affascinata dalla produzione, ma soprattutto dall’animo e dalla passione che i piccoli produttori, soprattutto, dedicano a questo prodotto. Per me è una scoperta continua, perché mentre nel mondo del vino si hanno delle linee un po’ più standard, con dei percorsi un po’ più di dettaglio, che prevedono l’impalcatura più importante, nel caso del mondo dei formaggi c’è una grande fantasia, con la possibilità che ci sia l’estro del singolo casaro e che si possa esprimere sempre. Questo a volte legato alla tradizione, a volte invece seguendo delle nuove strade che però, per avere successo, devono portare ad un progetto di qualità.
L’esperienza che ho fatto con molti produttori e il fatto che molto spesso non riuscivano a capire se c’era o meno questa qualità, ha dimostrato che il nostro aiuto nel corso base è stato anche quello di renderli consapevoli che il loro formaggio non sempre aveva tutte le caratteristiche e i valori a posto. Quindi, dare una mano in questo senso o nell’acquisire consapevolezza e apertura mentale nel rapporto con i formaggi.
AS: Parlando con i ristoratori emerge il tema delle tipologie di formaggi che il Cilento produce. I ristoratori hanno difficoltà a comporre il carrello del formaggio solo con i formaggi cilentani. Si lamentano del fatto che ci sono solo 4 tipologie di formaggi: mozzarella nella mortella, mozzarella di bufala, cacioricotta e caciocavallo. Mancano i formaggi a pasta morbia, gli erborinati, gli spalmabili che si potrebbero fare con latte di capra e di pecora. Vorrei che tu ragionassi su questa offerta e su cosa si potrebbe fare per aumentare la tipologia di offerta.
MS: Vorrei riportare qui la mia esperienza per quanto riguarda l’altro comparto che tu hai toccato, quello del ristoratori, perché la cosa bella dei nostri corsi è che accanto all’appassionato, accanto al casaro, arrivano anche ristoratori e persone che hanno un agriturismo e che quindi, in qualche modo, il formaggio lo devono conoscere per poterlo raccontare, per poterlo comunicare. All’interno di un gruppo, la cosa carina è l’interfaccia, è il fatto che alcuni di loro poi diventano fornitori dei ristoratori stessi, ma c’è da dire che da noi anche il ristoratore ha la necessità di una formazione importante in questo senso, perché prendere il prodotto tradizionale non significa sempre prendere un prodotto di qualità, purtroppo. Chi fa qualità, la qualità gli viene riconosciuta e riesce anche a vendere bene.
Quindi, in qualche modo bisogna fare un lavoro di base su questi 4-5 prodotti che hai raccontato tu. L’elemento importante è che una volta ottenuta la qualità, poi bisogna saperla raccontare, saperla proporre. Sono d’accordo con te che in un piatto sarebbe carino avere l’alternanza di formaggi a pasta molle con formaggi a pasta semidura e dura. Ma, bisogna innanzitutto chiarirci su un concetto: noi come lo vogliamo utilizzare questo formaggio? La moda ha portato tantissimi dei nostri agriturismi a proporre in antipasto dei formaggi con confetture e miele. Quindi, tu vai come prima proposta ad interrompere quello che può essere un gradiente del menù, cioè tu fai una proposta di un qualcosa di dolce sul salato che non ti apre, che non segue il concetto dell’aperitivo, che non ti predispone positivamente al pranzo e ad apprezzare le successive portate.
In effetti, quando il formaggio lo vogliamo usare come aperitivo noi in qualche modo dobbiamo proporre dei formaggi freschi che non ci chiudano l’appetibilità. Magari proporre questi formaggi freschi con apporti di oli, con l’abbinamento formaggio fresco e olio extravergine di oliva. E’ un qualcosa che noi ci possiamo vendere tantissimo come territorio, perché abbiamo degli oli meravigliosi che si posso degustare in abbinamento con questi formaggi freschi. Potrebbero costituire un elemento di portata e quindi alla fine non avremmo neanche poi tanto bisogno di introdurre tantissime nuove tipologie di formaggio.
Dovremmo essere un po’ più ordinati e consapevoli di quelle che sono le nostre materie prime, perché del formaggio, per esempio, più stagionato lo vedo come piatto vero e proprio di portata oppure come piatto di chiusura. I francesi usano dare la carta dei formaggi e dei dolci a chiusura del pasto, nel senso che per loro ha un senso chiudere questo percorso con dei formaggi in alternativa a volte anche ai dolci oppure in stretto contatto. Quindi, a quel punto lì ci possiamo giocare anche l’abbinamento con delle confetture e dei mieli, ma sempre serviti separatamente, cioè io devo essere consapevole di quello che mangio, mentre spesso mi trovo nei piatti dei formaggi che non hanno una crosta, per cui non li riesco a riconoscere. Questo, secondo me, non è un modo giusto di servirli, di presentarli. E’ il racconto del prodotto di qualità che deve essere valorizzato, per cui in realtà questi due mondi devono viaggiare parallelamente.
Poi, è chiaro che molti piccoli produttori del Cilento con la mente un po’ più aperta stanno facendo le loro sperimentazioni. Lo so perché me le fanno provare. Ad esempio, l’Agriturismo La Petrosa di Ceraso sta facendo la robiola con latte di capra e sta realizzando anche dei formaggi a crosta fiorita, ma non è il solo. Molti sperimentano in questo senso, quindi voglio dire che sicuramente le opportunità ci sono.
Chiaramente molto più articolato e complesso è il discorso degli erborinati che necessita, proprio per la tecnologia, degli ambienti confinati altrimenti poi il penicillio della muffa tende ad inquinare le altre produzioni. In questo caso va fatto un discorso un po’ più mirato per chi vuole eventualmente raggiungere questo ulteriore apporto.
E’ chiaro che dobbiamo lavorare affinché questi due mondi vengano ben a contatto e vengano a contatto in modo consapevole. Dobbiamo far crescere anche il rapporto tra i produttori.
AS: Sono d’accordo con te che questo rapporto con la ristorazione è fondamentale. Ci sono dei ristoratori che si sono posti l’obiettivo di comprare anche il 100% delle materie prime che utilizzano per fare una vera gastronomia di territorio. Lo fanno come scelta etica, politica e aziendale. A volte si lamentano perché magari i prezzi sono maggiori di quelli di altre filiere, però poi fanno anche un ragionamento sul fatto che l’incidenza in termini di costi di queste materie prime sul singolo piatto è abbastanza relativa. Spesso si tratta di pochi centesimi, ma se uno vuole fare un discorso di qualità e di territorio non sono pochi centesimi che lo bloccano.
Questo è un tema cruciale perché se la ristorazione fosse consapevole del suo ruolo, dovrebbe capire che ogni anno ci sono milioni di turisti che arrivano sulla costa e portano soldi. Sono soldi esterni al Cilento, di persone che vengono da Napoli o dal nord Italia e dal nord Europa. Sarebbe importante che questi soldi rimanessero sul territorio. Per farli rimanere bisogna, invece di usare il burro Galbani e la marmellata Zuegg, che si usassero i prodotti locali. In questo modo i produttori cilentani avrebbero un reddito maggiore e potrebbero andare anche loro a mangiare al ristorante, alimentando un circuito economico virtuoso per il territorio, andando oltre la stagionalità, almeno per i fine settimana.
Hai accennato al tema della stagionatura di alcuni formaggi. Uno dei problemi che ci si sono a questo riguardo è quello di avere nei locali adatti per la stagionatura. Chi sta sul Cervati ha le grotte, come anche a Casaletto Spartano. La questione c’è soprattutto per chi sta nei comuni della costa, come San Giovanni a Piro, Centola o Camerota, dove ci sono sbalzi notevoli nelle temperature stagionali. Soprattutto, in queste aree mancano dei locali adatti. Bisognerebbe trovare dei luoghi adatti per poter fare delle stagionature fatte bene. Come progetto stiamo ragionando sulla possibilità di utilizzare qualche palazzo nobiliare di prestigio che spesso sono di proprietà dei comuni. Palazzi che in molti casi hanno delle cantine che potrebbero essere utilizzate per fare la stagionatura e poi hanno anche spazi prestigiosi dove si potrebbero fare delle degustazioni nei periodi estivi, degli eventi promozionali e culturali, oltre che la vendita dei prodotti. Degustazioni di formaggi, salumi e vini. Vorrei che tu riflettessi su questo tema della stagionatura.
MS: Mi aggancio al discorso esperienziale che avevi fatto per quanto riguarda i turisti perché in realtà sto notando una piccola variazione di tendenza, forse legata anche al momento che stiamo vivendo, però ho notato che sempre di più c’è una ricerca anche del turista che arriva che vuole vedere la lavorazione del formaggio, che vuole partecipare, che vuole portarsi a casa il prodotto. Questa cosa che hai detto potrebbe essere bellissima, di utilizzare questi dimore storiche, andrebbe in questa direzione, perché accanto al turismo esperienziale legato alla produzione, ci sarebbe anche quello artistico-culturale. Quindi, sicuramente va in questa direzione.
Sono convinta che questa è l’arma vincente, perché noi dobbiamo far arrivare sempre di più persone sul territorio che devono portarsi via il nostro prodotto. Noi non siamo in grado di offrire una produzione costante nei vari punti vendita italiani. Non abbiamo questa capacità. Noi abbiamo la capacità invece di proporre dei momenti unici su questo territorio, legati a tutta una serie di fattori non solo ambientali, ma anche produttivi. Ho visto che la sensibilità sta crescendo. Abbiamo fatto diverse esperienze sul territorio che vanno in questo senso e dobbiamo prendere coscienza di queste cose.
Organizzare noi direttamente dei tour e non subirli dall’agenzia tot che arriva e fa un lavoro di rapina e va via. Dobbiamo essere noi in grado di imporre i nostri tempi, che sono tempi lenti, Ci-lento appunto. Con noi non si combina il turismo modello giapponese, senza voler offendere i giapponesi, ossia un turismo veloce, quello che vuole vedere tantissime cose tutte insieme per fotografarle per poi poterle rivedere e ricordare. Noi dobbiamo rendere possibile di viverlo questo momento, con i tempi giusti, che sono i tempi di questo territorio. Questo lavoro qui può essere un’opportunità.
AS: Ricordo che nel 2003 ho organizzato un corso per guide di esperienze alla Fondazione Alario, finanziato dal GAL Casacastra, per cui so bene cosa sia il turismo esperienziale e quali benefici possa apportare ad un territorio. Vorrei che gli allevatori riflettessero sul fatto che per incassare 100 euro con la vendita di formaggio devono fare una grande fatica in molti casi, mentre l’alternativa sarebbe quello che dici tu. Organizzare delle visite guidate all’azienda agricola, far vedere la mungitura, far vedere la lavorazione del latte, fare delle degustazioni. Le persone pagano un biglietto di 10 euro e con 10 persone l’allevatore incassa 100 euro in un paio d’ore, con la possibilità anche di vendere i suoi prodotti. Questa potrebbe essere una strada per integrare il reddito aziendale. E’ chiaro che bisogna formarsi, saper raccontare quello che si dà e come lo si fa. Bisogna fare un percorso, però sono cose che si possono fare.
MS: La possibilità di creare un legame crea apertura mentale. Vorrei raccontare proprio la mia esperienza con il concorso del Provolone del Monaco, perché come ONAF seguiamo dal 2007, cioè praticamente da quando è stato istituito il consorzio, il concorso di questi provoloni DOP della penisola sorrentina e che coinvolge 13 comuni che devono lottare quotidianamente con la pressione turistica per la difesa del territorio. Per l’allevamento si stava correndo il rischio che la pressione turistica facesse sparire questi piccoli allevatori. Quindi, la DOP, se non altro, ha avuto questa importante funzione. Poi, come da noi, questi allevatori erano isolati, pensiamo alle montagne che dividono Vico Equense e non dalla costa, pensiamo ad Agerola e a comuni e mondi che sono abbarbicati su monti con versanti scoscesi. Il nostro lavoro quale è stato? Ogni volta che facciamo un concorso come ONAF, soprattutto in realtà come queste dove non ci sono un numero elevatissimo di formaggi che partecipano al concorso, realizziamo sempre una scheda di descrizione qualitativa nella quale descriviamo tutte le caratteristiche qualitative del formaggio e poi restituiamo questa scheda al produttore.
Il momento più importante è stato l’incontro che ho fatto come ONAF con i produttori. In effetti, dal 2007 ho visto un cambiamento veramente importante. All’inizio, per esempio, ognuno di loro aveva delle forme differenti, mentre l’istituzione della DOP andava nella direzione di uniformare queste forme. Loro hanno avuto il pregio, come consorzio, di non imporlo, ma di farci arrivare con la coscienza i produttori, per cui è stata una loro scelta. Un altro elemento importante è stato che queste persone all’inizio non si parlavano tra di loro. Pensate all’agerolese che non vedeva di buon occhio quello di Vico Equense o di Sorrento. C’erano diverse fazioni e diversi modi di vedere e di pensare, però la cosa bella è che alcuni di questi personaggi, che ancora ricordo veramente con grande affetto, di questi produttori anziani del provolone, hanno partecipato e hanno detto: “io vi porto il mio formaggio e ragioniamoci, ragioniamo sui difetti”. Si sono messi in gioco e questo ha dato coraggio agli altri che non sono restati sulle loro posizioni, ma hanno cominciato a chiedere come gli atri risolvevano i problemi. C’è stato uno scambio di idee e di emozioni, perché all’inizio portavano i formaggi difettati per ragionarci su, poi hanno iniziato a portare il top, della serie il provolone con la famosa goccia. C’è stata una discussione sulla goccia sì, la goccia no. Per me è stato un arricchimento proprio come persona, come degustatore di formaggi, incredibile.
Credo che questi momenti debbano essere vissuti quanto più possibile, perché nel momento in cui si riesce a superare la prima fase di diffidenza, poi diventa veramente un intreccio di rapporti. Soprattutto, si mira a creare una fiducia e un rapporto che va al di là di quello che può essere un rapporto formale.
AS: Stai descrivendo una buona pratica che potrebbe essere un modello per un percorso che si potrebbe fare anche da noi. Certo, lì c’è un consorzio, mentre qui no.
MS: Lì c’è un consorzio e c’è un progetto. Ci hanno creduto molto e ci hanno lasciato assolutamente liberi. E’ successo che ogni anno, al di là dei premi per categoria, perché ci sono tre categorie, formaggi da 6 a 8 mesi, da 8 a 12 mesi e maggiori 12 mesi, ma la categoria a maggiore stagionatura ha come premio il fatto di avere in gestione per un anno un trofeo che poi è un’opera artistica. Chi vince ha la possibilità di tenerlo esposto un anno nella propria struttura. E’ una cosa incredibile perché per loro è un grande atto di orgoglio che si traduce anche in una sana competitività, perché in effetti loro ci tengono molto ad avere questo trofeo.
AS: Questo anche perché, come tu sai bene, in realtà la maggioranza degli allevatori fa l’allevatore per passione, per educazione familiare. per un amore per gli animali e per la vita all’aria aperta. Quindi, passione ed orgoglio si intrecciano strettamente e sono delle motivazioni importanti, insieme al reddito. E’ importante fare un prodotto che anche gli altri riconoscono essere un buon prodotto.
MS: Per completare volevo dire che succede nel momento in cui finisce il concorso. Loro fanno un galà, sempre un memento in cui fanno assaggiare i formaggi dei vincitori. Questa, secondo me, è una cosa molto interessante, perché quello è un altro momento di confronto importante, proprio perché il vincitore viene riconosciuto anche dagli altri produttori.
Bisogna essere innanzitutto molto seri nell’affrontare questi percorsi perché sono dei percorsi minati, cioè come si può acquisire la fiducia, la si può anche perdere, quindi bisogna essere veramente rigorosi da questo punto di vista. Per fortuna, noi come associazione, lo siamo, nel senso che anche i nostri panel, le persone che partecipano a questa valutazione sono tutte allenate e hanno fatto un percorso, quindi non è il semplice appassionato o un giornalista che per un motivo qualsiasi viene coinvolto nel concorso. Le persone che partecipano al nostro concorso hanno fatto un allenamento mirato sui formaggi di quella particolare tipologia e questo per noi è una garanzia per mantenere questo rapporto di fiducia.
Nel Cilento sarebbe importante raccontare che cosa è successo, le problematiche, e fare delle degustazioni alla cieca dei loro prodotti, ossia farglielo assaggiare in modo non riconoscibile, e fare delle riflessioni sui problemi di quel formaggio. Facendo una formazione che dà apertura mentale si supera il problema che quel prodotto “è figlio mio” e si riesce ad accettare che c’è una problematica da superare.
Andrei al di là dei luoghi comuni che spesso affossano questa visione cilentana, perché ci sono tante persone sensibili, tanti ragazzi giovani che vogliano investire su se stessi e che amano per un loro know how, per il percorso di vita che hanno fatto, il mondo dei formaggi. Hanno probabilmente bisogno sì di una spinta, questo sicuramente.
AS: Ti ringrazio perché con il nostro progetto, ed in particolare con la ricerca, vogliamo cercare di sensibilizzare le istituzioni rispetto alle tematiche e alle problematiche che vivono gli allevatori con l’obiettivo di vedere se le istituzioni sono in grado di mettere in campo dei servizi, delle l’attività di formazione per casari, soprattutto per chi lavora con il latte di capra e di pecora. C’è un grande bisogno di formazione degli operatori sul latte e sulle tecniche di caseificazione. Adolfo Valiante mi dice sempre che il latte è un mondo che non si finisce mai di conoscere e che va legato all’alimentazione degli animali.
MS: Infatti, una volta ho sentito proprio la macchia mediterranea in un caciocavallo di Adolfo e non riuscivo a immaginare come fosse possibile, fino a quando ho visto le sue vacche che si arrampicavano su versanti incredibili e si mangiavano la macchia mediterranea, al di là di tutte quelle che erano le teorie sull’alimentazione del bovino. Sicuramente bisogna tutelare queste persone che con il loro lavoro quotidiano sono anche un presidio sul territorio.
AS: Infatti, sono un presidio, curano il paesaggio, allevano animali e sono anche degli imprenditori che producono cibo. Devono fare un percorso dalla gestione famigliare alla gestione aziendale e quindi vanno accompagnati in questo percorso anche da parte delle istituzioni.
Vorrei che chiudessimo questo nostro ragionamento sul fatto che si devono trovare forme di aggregazione, oltre che tra gli allevatori, tra soggetti istituzionali e associativi proprio per mettere in campo un progetto di accompagnamento. Credo che questa potrebbe essere l’eredità di questo progetto quando finirà fra un anno. Attivare forme di collaborazione, ad sempio, tra ONAF, la Comunità Montana, il Parco sul tema dei formaggi e dell’allevamento in maniera tale da mettere in piedi un processo che può portare alla nascita di forme consortili, come il caso del Consorzio del Provolone del Monaco che citavi tu.
MS: Lì in realtà già esisteva una forte identità sul prodotto. Quello che hanno fatto è stato difendere i piccoli allevatori perché lì il rischio era che la forte identità del prodotto portasse latte da fuori area. Quindi, loro hanno iniziato a vedere questo e per questo hanno utilizzato la DOP come strumento per bloccare questo meccanismo e valorizzare, obbligando ad utilizzare solo il latte dei 13 comuni, quindi salvando questi piccoli produttori.
Questo si può fare anche in Cilento, ma da noi vedo una situazione un po’ diversa. Da noi sicuramente lo stesso strumento di aggregazione è utilissimo, ma probabilmente noi dobbiamo andare proprio nella direzione di questo turismo esperienziale, perché è il valore aggiunto di cui abbiamo necessità per i prodotti. Questo fatto di doverli pagare di più, perché c’è tanto lavoro dietro, deve essere legato proprio alla possibilità di offrire l’esperienza sul territorio.
Quindi, diventa necessario attivare dei flussi che vanno nella direzione della valorizzazione sul posto di questi prodotti. Per esempio, capretti ed agnelli cilentanii così buoni, perché allevati unicamente con il latte delle madri, dovrebbero essere valorizzati nei ristoranti del territorio.
Comunque, come associazione noi siamo assolutamente a disposizione per questo percorso. Sicuramente possiamo mettere a disposizione il nostro know how. Di fatto, già lo facciamo e lo faremo in modo più istituzionale.
AS: Possiamo provare a farlo insieme dentro un quadro progettuale che coinvolge anche altri attori istituzionali, associativi ed imprenditoriali, costruendo una strategia del territorio nel suo complesso. Nel nostro progetto abbiamo partner universitari. Possiamo costruire progetti che rilanciano quello che questo progetto sta portando avanti. Dare un’idea di futuro e di speranza agli allevatori che sono persone appassionate che fanno grandi sacrifici e che hanno tante difficoltà ad ottenere dei risultati economici decenti.