Lavorare con i produttori locali per fare una ristorazione di territorio. La storia di Giovanna e Antonio

Giovanna Gerundo e Antonio Veneri gestiscono la pizzeria Eden di Pattano (Vallo della Lucania) e da 10 anni lavorano insieme ad un gruppo di produttori locali che forniscono materie prime eccellenti. Giovanna e Antonio raccontano il loro percorso e il tipo di ristorazione che fanno e che vogliono continuare a fare.

Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Siamo con Antonio Veneri e Giovanna Gerundo che sono una coppia che gestisce il ristorante pizzeria Eden che si trova a Pattano (Vallo della Lucania), sulla SS18, all’altezza dello svincolo della Variante. Con Giovanna e Antonio vorrei ragionare sul tipo di ristorazione che fanno, su qual è la loro filosofia, e sul loro approccio alla ristorazione, considerando che siamo sempre alla ricerca di ristoratori che si impegnano a cercare di valorizzare, all’interno del cibo che offrono ai loro clienti, i prodotti del territorio del Cilento, perché poi alla fine credo che sia una cosa molto importante anche e soprattutto per gli allevatori e agricoltori avere la ristorazione come un punto di riferimento.

Antonio Veneri (AN): Abbiamo una pizzeria da 17 anni e sono 10 anni che utilizziamo molti prodotti di altissima qualità del territorio. Adesso abbiamo allargato il giro dei nostri fornitori locali per cui circa il 90% delle materie prime che utilizziamo sono prodotte localmente. Noi facciamo parte dell’Alleanza Cuochi Slow Food, per cui utilizziamo soltanto le materie prime di stagione e dei piccoli produttori locali. Questi sono gli elementi che raffigurano la nostra struttura. Cerchiamo sempre di fare delle pizze con prodotti che sono frutto di una ricerca in zona. Ad esempio, noi non usiamo, come molti usano, il fiordilatte di Agerola, ma usiamo la mozzarella fatta da Cicco di Buono di Adolfo Valiante.

AS: Anche perché uno si domanda quante vacche ci sono ad Agerola per produrre tutta questa mozzarella per tutte le pizzerie della Campania.

AN: Comunque, se uno compra qualcosa con marchio Agerola basta che guarda l’origine del latte che viene indicata sulla confezione e può vedere se il latte è italiano o no. Questa comunque è una grande fortuna perché almeno il consumatore può essere aiutato su questo.

Nel nostro ristorante abbiamo sui 120 coperti in inverno, mentre in estate riusciamo a farne anche 250, mettendo i tavoli all’aperto, in giardino con il prato. E’ un ristorante in cui lavorano 5 persone che sono ben 12 anni che lavorano insieme. Siamo aperti tutto l’anno tranne il lunedì che è il giorno di riposo. Poi, prendiamo una o due volte all’anno delle ferie che utilizziamo sempre per ristrutturare, per fare qualcosa nel ristorante.

AS: Voi fate le pizze come cucina fondamentale, ma poi c’è dell’altro. Ci sono gli antipasti e ci sono le verdure. Raccontatemi che tipo di offerta avete oltre alle pizze.

Giovanna Gerundo (GG): Per gli antipasti i salumi che utilizziamo sono della Fattoria Bio Cocò di Massicelle di Settimio Forte e sua moglie che fa un allevamento allo stato semi brado a ciclo chiuso. Sono gli stessi salumi che utilizziamo anche per le pizze, tranne qualche salume che ancora in zona non si riesce a trovare tipo la mortadella, anche se la mortadella che utilizziamo viene prodotta dalla Macelleria Longo di Bellizzi ed è fatta con il maialino nero. L’unico salume che non è campano sono i wurstel, poi per il resto sono tutte eccellenze campane. Utilizziamo anche il prosciutto crudo di Bassiano, un prodotto tipico laziale.

AN: Dico la verità, per un po’ abbiamo provato a toglierli i wurstel, però ci sono state troppe lamentele delle mamme, con i bambini che piangevano perché volevano i wurstel, per cui abbiamo dovuto tornare indietro su questa decisione.

AS: Purtroppo ci sono le mamme dei wurstel e dei sofficini…

GG: I formaggi sono di Cicco di Buono e poi c’è una rotazione delle verdure a seconda della disponibilità, di quello che si trova nel periodo in cui siamo. Adesso, ad esempio, prepariamo scarola riccia, verza, broccoli, carciofi, cavolfiore, zucca. Cerchiamo di far capire alle persone che se cercano la zucchina nel mese di dicembre, questa non c’è. O meglio che le zucchine ci sono sempre, ma a dicembre sono tutte dei prodotti importati o coltivate sotto serra con prodotti chimici per farle crescere, perché a dicembre non è che cresce la zucchina naturale. D’altra parte, se a dicembre mangiamo un pomodoro o una zucchina, non sanno di niente.

AS: Quindi, voi cercate di esaltare la stagionalità attraverso il legame con dei produttori locali. Siccome voi fate le pizze, vi volevo chiedere se fate un qualche ragionamento particolare rispetto alle farine.

AN: Per quanto riguarda le farine noi usiamo la farina di grano macinata a pietra con germe di grano ancora vivo perché aiuta la digeribilità. Poi, usiamo un sale di un prestito Slow Food che aiuta nella lavorazione. Facciamo una lavorazione con 48 ore di lievitazione proprio perché così la nostra pizza è più digeribile. Nella nostra pizza utilizziamo una farina che è di tipo 1 e che è molto ricca, soltanto che è bassa di forza glutinica. La nostra pizza non ha un bordo molto alto proprio perché la farina non ha una grande forza glutinica. La farina viene dal Molino Vigevano (Pavia) perché in zona di farina buona di questo tipo ancora non ce n’è molta. Purtroppo, di produttori locali che siano in grado di soddisfare il quantitativo di farina per noi necessario non ce ne sono. Noi non è che facciamo un piccolo quantitativo. Purtroppo, questa è l’unica cosa brutta, però piano piano se ci riusciamo vogliamo provare a fare qualche progetto con Giovanni Caputo del Molino La Spigolatrice di Castel Ruggero o con il Molino di Terre di Resilienza di Caselle in Pittari. Comunque, la farina del Molino Vigevano viene prodotta con grano coltivato ad Avellino. Prima del CoVid utilizzavamo anche la farina di grano risciola, perché c’era un consumo maggiore e la utilizzavamo come secondo impasto di lavorazione. Dato che è un prodotto un po’ difficile da lavorare, al momento l’abbiamo sospesa poi forse in estate ricominceremo ad utilizzarla.

AS: Vi volevo chiedere se avete delle difficoltà a spiegare e a condividere questa vostra scelta di valorizzare i prodotti locali con la clientela. Cioè se qualcuno vi chiede delle spiegazioni di quello che fate, se manifesta un interesse. Poi, vi volevo chiedere, visto che siete dentro l’Alleanza dei Cuochi Slow Food, del vostro rapporto con i presidi Slow Food.

AV: E’ bellissimo perché conosci un sacco di persone e capisci l’amore che ci mettono nel lavoro. Noi per esempio utilizziamo le alici menaica e l’oliva ammaccata, e quando parli con queste persone capisci tutto l’amore che mettono nel loro lavoro. La mozzarella nella mortella, lo sciuscillone, noi bene o male utilizziamo un po’ tutti i prodotti dei presidi locali. Facciamo dei fritti nostri ed in particolare la frittatina fatta con il fusillo cilentano. Non usiamo i bucatini o gli spaghetti. La modifichiamo sempre, per cui ad ad esempio stasera c’è con zucca e salsiccia.

Molti clienti sono curiosi di quello che stiamo facendo. Soprattutto la cosa più bella è quando vengono i turisti che non conoscono questi prodotti e la loro sorpresa ti dà ancora più la forza di andare avanti, perché sono proprio interessati a sentire la storia del prodotto. Ad esempio, adesso stiamo usando come dolce lo struffolone di Salento, un prodotto che viene fatto a mano dalla pasticceria Rizzo. Allora, quando tu dici lo struffolone tutti ti chiedono cosa è. Allora, ti fa piacere e ti dà pure la forza di andare avanti, perché tu cerchi prodotti nuovi e le persone li apprezzano, perché vedono un prodotto che non conoscevano.

AS: Sono una decina d’anni che avete fatto questa virata sul territorio, per cui vi volevo chiedere la vostra sensazione sul percorso che hanno fatto questi vostri partner/fornitori. Hanno fatto un percorso di crescita, di strutturazione, cioè si sono trasformati in delle vere e proprie aziende? Hanno fatto degli investimenti?

AV: Noi diamo una mano ai piccoli produttori. Loro, vedendo che c’è qualcuno che gli sta dietro, automaticamente si possono spingere un po’ di più. Noi questa evoluzione positiva l’abbiamo vista. Però, a volte secondo me quando manca un prodotto che loro non riescono a produrre è pure una cosa bella, perché alla fine si capisce che sono piccoli produttori, per cui se ti dice che la salsiccia ancora non è pronta è da capire. Ad un cliente gli puoi dire che non c’è la salsiccia perché ancora non è pronta. Cioè, in nostri fornitori non è che sono delle industrie per cui non manca mai un prodotto e questo è anche quello che li aiuta a rendere credibile il loro prodotto, altrimenti saresti un produttore industriale se avessi sempre il prodotto.

AS: Rispetto a questa vostra scelta che avete fatto da 10 anni, vi chiedo una riflessione sul resto della ristorazione locale. Voi che idea vi siete fatti rispetto alla differenziazione tra la ristorazione dell’interno e quella costa. Voi siete a Pattano che non è molto lontana dalla costa, in un quarto d’ora si arriva ad Ascea passando per la Salicuneta.

AV: Sulla ristorazione della costa non so, perché loro comunque vanno più sul pesce.

GG: La ristorazione della costa potrebbe lavorare tutto l’anno. Solo che le zone marine tendono a stare aperte solo d’estate, quando invece il lavoro si potrebbe creare tutto l’anno. Il turismo si potrebbe creare tutto l’anno perché anche il Cilento, soprattutto le zone nostre, ha tanto da offrire. E’ che non viene valorizzato. Se invece venisse valorizzato, il turismo ce l’avremmo tutto l’anno e tutti lavorerebbero, dalla costa all’interno, che sia il ristorante, che sia l’albergo, che sia il B&B, che sia un bar, che sia anche una struttura turistica in generale. Quando c’è gente si lavora tutti. Il problema è che i servizi sono sempre stati molto difficili da noi. Il discorso è che se uno arriva in bassa stagione e trova tutto chiuso è normale che poi non ci ritorna. Se arriva nelle zone marine lunedì, martedì, mercoledì gli esercizi sono chiusi. Se ci fosse invece l’opportunità di farli lavorare un po’ tutto l’anno, questo aiuterebbe tutto il territorio.

AS: Come pensate di evolvere? Da un discorso pizzeria ad un discorso di ristorazione completa?

AV: Pensiamo più avanti di creare qualcosa. Ci stiamo riflettendo, però questa situazione del CoVid è comunque un freno. Per il momento ci sono dei pensieri da ristorazione, dobbiamo vedere se riusciamo a metterli in pratica. Sempre mantenendo aperta questa relazione con i produttori locali. Noi, ad esempio, il burro lo facciamo con il latte di Adolfo Valiante. Facciamo anche la crema per i cannoli. Usiamo sempre il latte di Adolfo. Le uova le prendiamo biologiche. Cerchiamo comunque di dare e fare un prodotto di qualità. Adolfo è stato bravissimo e ci ha insegnato come fare il burro, per cui quando abbiamo bisogno del burro non lo compriamo, lo facciamo noi, per i nostri dolci o per fare l’arancino.

AS: Questo vostro approccio alla ristorazione è interessante non solo perché se un cliente viene da fuori, come dicevate, ha la possibilità di mangiare dei prodotti del territorio e quindi questo può innescare la curiosità di approfondire, di andare a vedere l’azienda, di comprare dei prodotti direttamente dal produttore. Allo stesso tempo, consente di produrre reddito e di farlo restare sul territorio, perché invece di comprare il burro Galbani, voi fate il burro con il latte di Adolfo. Comprando i prodotti del territorio, aumenta il reddito dei cilentani. La ristorazione dovrebbe essere la prima interessata a fare sì che il reddito dei cilentani aumenti, proprio per quel discorso della stagionalità. Se il cilentano che produce, come agricoltore o allevatore, riesce a vendere i prodotti alla ristorazione aumenta il suo reddito e questi soldi invece di andare al signor Galbani rimangono sul territorio, non vanno al nord, e i produttori cilentani si possono permettere anche di andare a mangiare al ristorante.

AV: Si, ma a volte fa gola il prezzo. Ad esempio, i prodotti di Settimio Forte della Fattoria Bio Cocò non sono paragonabili ad un salame o a una spianata piccante di Galbani. E’ normale che ci sono dei prezzi differenti. A molti fa gola questo. Un ristoratore, per risparmiare, utilizza questi prodotti che costano di meno, quando invece comunque sta facendo un danno sia alla sua struttura, secondo il mio pensiero, sia al territorio. Se compri i prodotti locali stai aiutando una persona che può prendere altre persone a lavorare. Invece di 2, se c’è più lavoro se ne prende 3-4 e si creano dei posti di lavoro. E poi potrà andare anche al suo ristorante a mangiare, a spendere i soldi là. Invece, uno di Galbani non si sa nemmeno chi è, sono soldi bruciati.

AS: Per chiudere, vorrei che voi faceste una riflessione sul tema del prezzo, perché mi si dice che questi piccoli produttori spesso hanno dei prezzi superiori rispetto a quello che uno può trovare in giro. Ma, questo è evidente perché mentre da una parte hai un produttore intensivo e industriale, dall’altra c’è un piccolo artigiano che ha dei costi diversi.

AV: Alla fine, per una comitiva i prezzi possono variare di 5-10 euro in più, per cui si tratta di 2-3 euro, massimo 4, a testa. Ma, bisogna pensare che con 4 euro si sta dando una mano ai produttori locali, cioè i soldi rimangono nella nostra zona. Se si risparmia sui prodotti, si rischia di mangiare e di far mangiare in modo scadente. Noi, ad esempio, usiamo sempre il San Marzano, l’olio della Fattoria D’Ambrosio, il Crux che ha preso tanti premi. Facciamo alcune pizze abbinate con gli oli Riserva sempre della Fattoria D’Ambrosio e sono oli davvero ottimi, ma che su una pizza non è che incidono chissà quanto. Molti utilizzano anche l’olio di semi oppure l’olio del supermercato, ma in questo modo distruggono comunque il prodotto perché un olio è un ingrediente, come lo sono il pelato e la mozzarella. Allora, o utilizzi tutto di una certa qualità o se no è inutile, perché se metti un pelato buono e poi metti un olio scadente o i filoni di mozzarella è inutile. Comunque, devi mettere tutta la fascia.

AS: Vi ringrazio perché mi avete aiutato a ragionare sul tema della ristorazione che per gli allevatori è un tema cruciale come sbocco di mercato dei prodotti.

AV: Purtroppo, sappiamo che sul mercato oggi ci sono produttori che fanno i salami e non hanno nemmeno un maiale o formaggi di produttori che non hanno nemmeno una mucca, mentre al tempo stesso ci sono persone che hanno tutto e non sono nemmeno tanto valorizzate. Questo è sbagliato. Bisogna sempre valorizzare. Basta andare sempre dal produttore, a vedere, a conoscere, a parlare col produttore per cercare di capire, perché così ti rendi conto se quella persona sta facendo un vero lavoro oppure sta facendo finta, perché ci sono molti che fanno finta. Ti vendono un prodotto che non fanno nemmeno loro. Bisogna stare sempre attenti perché oramai ci sono queste situazioni. Bisogna tutelare e aiutare le persone serie. Quando uno compra qualcosa deve andare sempre nella fattoria e controllarla, vedere, guardare, sapere se il prodotto è il loro, leggere le etichette e cercare di capire almeno questo. Altro non si può fare se non guardare con gli occhi e capire cosa stiamo mangiando.

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