Nicola Memoli è un affinatore di formaggio di Sala Consilina che opera con una sua azienda che si chiama Kasanna. Nicola racconta in cosa consiste il suo mestiere che lui definisce alchemico. Un lavoro fatto di ricette che viene svolto in stretto contatto con i casari. L’obiettivo è quello di fare dei formaggi di grande qualità che siano in grado di esaltare l’identità del territorio di produzione. Nicola riflette anche sul percorso che gli allevatori/casari cilentani potrebbero fare se sono in grado di collaborare tra loro e, questo proposito, indica quello fatto con il bitto dal gruppo di malgari dello Storico Ribelle in Valtellina.
Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Siamo con Nicola Memoli, un affinatore di formaggi che ha una sua azienda che si chiama Kasanna. Nicola è di Sala Consilina nel Vallo di Diano e con lui vogliamo ragionare sui formaggi del territorio del Gal Casacastra e del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Innanzitutto, vogliamo capire da Nicola che vuol dire essere un affinatore, come funziona questo mestiere che per molti cilentani è un po’ un’incognita perché ci sono tanti produttori di formaggi, però di affinatori in giro non ce ne sono. Vorrei che tu ci spiegassi che cosa cosa fai e che cosa vuol dire il tuo intervento sui formaggi.
Nicola Memoli (NM): La risposta alla domanda non è facile nel senso che affinare i formaggi, perlomeno per me, è stata un’esperienza, ma soprattutto una necessità. Da lì poi è nato tutto quanto il resto e quindi la professione vera e propria, ovviamente affiancata dallo studio e dalla caparbietà.
Affinare è alchimia, mettiamola così. Affinare è dare un valore aggiunto al formaggio che di partenza però deve essere un formaggio di qualità. Questo perché se di partenza la materia prima viene prodotta in territori eccezionali come il Cilento e soprattutto da animali che vivono in territori eccezionali come il Cilento, puoi dare un valore aggiunto a quello che è il formaggio stesso. Io affino quel prodotto di qualità aggiungendo delle alchimie, trasformate in ingredienti. Faccio un esempio strano come il formaggio di capra a pasta tenera stile francese, quindi a crosta fiorita, maturazione centripeta, affinato con la colatura d’alici e limone di Sorrento. Qualcuno mi dirà, ma questa è una pazzia! Potrebbe essere, però è semplicemente un modo per valorizzare un prodotto che dovrebbe essere del territorio, e su questo ritorniamo dopo, aggiunto ad un discorso di territorialità e di appartenenza che la colatura di alici e il limone di Sorrento.

AS: In questo modo tu abbini il formaggio, un prodotto di terra e dell’interno, con le alici, prodotto di mare, e il limone di Sorrento, prodotto della costa.
NM: Esatto. Questo effettivamente perché giocare con gli ingredienti, il territorio e l’appartenenza ti dà la possibilità di costruire una storia da raccontare a chi ti troverai di fronte nel momento in cui degusterà il tuo formaggio. Produrre semplicemente formaggio, stare lì a trasformare il latte, ma senza un minimo di passione, darà vita ad un prodotto che poi fondamentalmente ha solo un colore bianco/giallo e una forma. Se a quel formaggio o meglio a quel latte diamo passione, diamo amore, con la qualità che dalle nostre parti potremmo avere, abbinata poi ad una struttura di stagionatura che dia la capacità al formaggio stesso di acquisire ancora più potenzialità, potrebbe uscirne un lavoro veramente eccezionale. Questo è quello che io piano piano ho provato a fare con la mia piccola cantina e con il laboratorio.
Ho scoperto che formaggette stagionate in un ambiente particolare e che hanno una caratteristica fondamentale che è quella della parte aromatica e quindi del bouquet che ti trasporta in un’altra situazione, in un altro mondo, abbinati a degli ingredienti, insieme all’alchimia, mi hanno dato la possibilità di girare un bel po’ di posti e far capire che tutta questa fantasia può portare dappertutto.
AS: Presentaci qualche altro caso del tipo di alchimia che tu applichi ai formaggi.
NM: Io sono arrivato a 30. Ho incominciato per gioco con il caciocavallo al tartufo. In realtà, ho incominciato per necessità, quando nel 2011 mi licenziarono e ho dovuto inventare qualcosa per portare da mangiare a casa. Da lì, siccome mi piaceva andare in montagna a tartufi, ho incominciato a fare qualche caciocavallo al tartufo che regalavo agli amici. E’ piaciuto tanto perché lo stagionavo nella cantina di mia madre dove la temperatura era costante, l’alta umidità allo stesso modo alta. Questo mi dava la possibilità di trasformare quel semplice caciocavallo al tartufo in un caciocavallo diverso. Dopodiché ho detto, siccome piace tanto lo perfeziono, cioè invece di dare semplicemente il tartufo al casaro, ho creato la ricetta e ho portato quella ricetta al casaro. Il caciocavallo l’ho messo nel fieno del Cervati e l’ho portato in cantina. L’ho messo nelle botti, l’ho fatto restare lì per circa sei mesi e l’ho venduto ai mercatini.
Piano piano è incominciato quel passaparola di Kasanna. In molti dicevano che Kasanna faceva un caciocavallo al tartufo che è meraviglioso. Quello è stato il trampolino di lancio per decidere di fare questo questo lavoro e questa attività. Da quel momento in poi sono andato avanti con il caciocavallo al crusco, fino a quando sono passato alle paste molli. Così mi sono inventato paesano, che è un formaggio di capra, come il precedente saracino, a crosta fiorita, però affinato con polvere di peperone rosso dolce, olive nere e finocchietto. Con questi tre ingredienti noi facevamo le olive infornate. Ho dato vita allo strafino che è un formaggio a pasta tenera di latte di mucca, affinato con fiori di malva, rosmarino, timo, liquore alle noci, perché qui da noi c’è un produttore di liquore di noci e insieme a lui abbiamo studiato questa ricetta. Il mino con lo zafferano Montesano. Pure questo è un formaggio di latte di mucca, affinato con lo zafferano e poi all’esterno con boccioli di biancospino e fiori di calendula.

AS: Quindi, tu lavori in stretto contatto col casaro, cioè la tua ricetta deve essere assimilata dal casaro.
NM: Assimilata perché è ripetibile, nel senso che per me stesso e per il casaro produrre lo stesso formaggio la volta successiva è difficile, perché come sappiamo la produzione del formaggio dipende pure dall’ambiente esterno e dall’umidità del locale stesso di caseificazione. Quindi, già quella cosa potrebbe influire e creare difficoltà alla stessa produzione. Questo se facciamo un prodotto artigianale, mentre se decidiamo di fare un prodotto industriale la cosa cambia.
AS: Tu vivi nel Vallo di Diano, però ha una conoscenza del Cilento, soprattutto di qull’area che confina con il Vallo, paesi come Casaletto Spartano e Caselle in Pittari, che tra l’altro ruotano più sul Vallo che sul Cilento. I ristoratori cilentani di qualità pongono sempre questo problema della composizione del carrello dei formaggi. Se dovessero usare solo i formaggi del Cilento sarebbero in difficoltà e infatti c’è chi va a comprarsi i formaggi in Basilicata o in provincia di Benevento o Avellino. Girano perché stanno cercando dei formaggi a pasta molle, formaggi morbidi, erborinati, ossia delle varietà di formaggi che il Cilento in questo momento non produce. Vorrei che tu riflettessi un po’ su questo tema, perché in realtà è un limite della produzione lattiero-casearia cilentana.
NM: E’ un limite perché in italia, se la memoria non m’inganna, esistono più o meno 500 tipologie di formaggio e ciò sta a significare che la varietà di trasformazione del latte è tanta e varia. Con questo che cosa voglio dire? Che purtroppo però sia nel Vallo di Diano sia nel Cilento si producono soltanto quattro tipologie di formaggio, di cui uno, il cacioricotta, addirittura forse, tra parentesi anche se mi scoccia dirlo, non è nemmeno un formaggio, pur essendo qualcosa di straordinario. Poi, ci mettiamo il caciocavallo, la mozzarella di bufala e la mozzarella nella mortella. I nostri pecorini e caprini, pur essendo eccezionali, non li possiamo contemplare come grandi formaggi, perché noi non siamo bravi in una sola cosa, a stagionare. Non abbiamo locali adatti e non siamo stati mai in grado di portare avanti un formaggio in modo eccezionale, perché non ci siamo dedicati alla parte finale, ossia alla stagionatura. Producevamo per vendere o per fabbisogno familiare, quindi questa era la nostra necessità. Oggi, dalle nostre parti, facendo l’esempio della mozzarella di bufala, chi è riuscito a portare avanti un discorso di qualità, territorio, produzione, è il consorzio della mozzarella di bufala e mi fermo qui, perché l’unica cosa a cui volevo fare cenno è che, secondo me, la soluzione per cercare di andare avanti e di riuscire a produrre anche un formaggio a pasta morbida o un pecorino stagionato a dovere o un caprino a pasta dura, bisogna che la gente collabori. Collabori perché ci sono un sacco di allevatori che hanno animali eccezionali in posti eccezionali e se insieme si dedicassero alla produzione e alla stagionatura stessa, potrebbero far diventare quei 4 prodotti 10, se non 15, e non fermarsi lì.
Però, c’è bisogno di collaborazione. Senza di quella credo che sia piuttosto difficile ricominciare, riqualificarsi, aggiornarsi, fare corsi per capire quale potrebbe essere la soluzione alla trasformazione del latte. Da lì in poi iniziare la collaborazione dei vicini, degli amici, dei produttori stessi per andare avanti e cercare di creare prodotti di qualità. Perché noi abbiamo qualità, territori e passione, tre cose fondamentali. Prodotti, qualità e passione.

AS: Poi, ci vorrebbe anche un affinatore come te.
NM: Ma, perché no! Sono pronto per la collaborazione. Volentieri.
AS: Tu sei un po’ un autodidatta, ma come ci si può formare per fare il mestiere di affinatore?
NM: Ho fatto dei corsi di degustazione perché prima di tutto ho cercato di capire che cosa stavo mangiando. Mangiare un formaggio non è mettere qualcosa in bocca per riempirsi lo stomaco. Mangiare un formaggio è capire che cosa stai mangiando, da dove proviene quel formaggio, che cosa l’animale ha mangiato e che cosa quel latte, l’animale e il territorio sono capaci di trasferirti e di farti sentire sotto il naso e al palato.
Detto questo, ho cercato di fare dei corsi di caseificazione. Questo non perché io volevo caseificare, ma semplicemente per capire quale è il processo. Un corso l’ho fatto in un caseificio locale, dove ho capito come si fanno la mozzarella e il caciocavallo, quindi la pasta filata. L’altro l’ho fatto per capire i formaggi a pasta molle, soprattutto caprini. Questa è stata soltanto una sfaccettatura e un modo per avvicinarmi a questo mondo, però mi sono serviti tantissimo perché da lì in poi son riuscito a capire come manipolare il formaggio per affinarlo e per dargli carattere. Perché le diverse consistenze e temperature, il metodo di trasformazione ti danno la possibilità di capire come muoversi, come andare avanti.

AS: Credo che il tema della formazione sia fondamentale. Forse molte persone non si rendono conto di questo, almeno nel Cilento, dove buona parte dei casari, che in realtà sono donne, sono le moglie, le mamme e le nonne, perché il lavoro di pastore nei pascoli e in stalla è molto impegnativo e faticoso. La formazione serve per poter andare oltre la tradizione, per rivisitarla, produrre formaggi diversi e migliori dal punto di vista qualitativo.
NM: Immgina se quel latte venisse portato in un solo posto, quindi in una struttura cooperativa che dia la possibilità a tutti di conferire il latte e da lì trasformare quel latte in quattro-cinque tipologie diverse di formaggi di qualità. Una struttura sarebbe unica con casari qualificati che potrebbero trasformare quel latte in prodotti di alta qualità.
AS: Da questo punto di vista, devo dire che ci sono dei tentativi da parte di alcuni di diventare dei referenti di altri allevatori. C’è qualche allevatore/caseificatore che sta facendo un lavoro di studio, sperimentazione e qualificazione. Poi, c’è questo progetto molto interessante che ti segnalo, lanciato dal sindaco Palazzo di San Giovanni a Piro, un comune dove ci sono circa una trentina gli allevatori, quasi tutti di capre e pecore, con qualcuno che ha delle podoliche. Dato che molti di questi piccoli allevatori non hanno i famosi laboratori a norma, il sindaco sta cercando di trovare i soldi per fare un caseificio comunale. Il comune mette a disposizione degli immobili e allestisce un caseificio come dio comanda e poi mette a bando la gestione per reclutare un casaro professionale che, oltre a fare formaggi di qualità, potrà insegnare le tecniche di caseificazione a quegli allevatori che vogliono aprire un microcaseificio aziendale. Questo progetto potrebbe essere un qualcosa che non è mirabolante, ma che se fatta bene, potrebbe far fare un salto di qualità ad una trentina gli allevatori.
NM: Ti invito e invito chi ci ascolterà a seguire la storia dello Storico Ribelle, del bitto storico della Valtellina. Quella, secondo me, è la scia seguire, è l’idea da proporre, è la novità per il Cilento, perché potrebbe veramente diventare il modello giusto per questo territorio. La loro, tralasciando la questione formaggio, è diventata proprio una storia umana. Mettendoci poi il fattore formaggio è diventata la storia di un prodotto straordinario. Ed è quello che si potrebbe applicare e fare nel territorio cilentano, secondo me.

AS: In quel caso, però, oltre allo spirito ribelle, c’è anche uno spirito di collaborazione tra gli allevatori e casari.
NM: Devo dire un’altra cosa e questa cosa mi tocca dirla, anche se lo faccio a malincuore, il cilentano è pure un pochino più duro del valdianese. Il cilentano si isola. Però, il modello dello Storico Ribelle sarebbe una bellissima soluzione.
AS: Tu come pensi di evolvere in futuro? Che cosa pensi di fare nei prossimi anni con questa tua attività?
NM: Ho tante cose per la testa. Voglio restare un artigiano e questa cosa ti devia, perché l’artigiano è un personaggio che ha dei limiti che al giorno d’oggi non gli danno la possibilità di crescere perché purtroppo, ad esempio, la corrente è aumentata del 45%. Di conseguenza, l’artigiano diventa a volte un produttore seriale, mettiamola così in modo ironico, e tende a fare delle scelte che potrebbero essere non proprio quelle giuste. Però, voglio restare l’artigiano che sono, di dedicarmi con passione a quello che faccio, ma se ci riesco mi piacerebbe poter coltivare tutte quante le spezie e le erbe aromatiche che uso per affinare i formaggi. Mi piacerebbe produrre dei prodotti di qualità bio da poter usare come ingredienti per i miei affinamenti. Vorrei anche avvicinare la sala stagionatura alla sala degustazione con le cantine e creare un percorso e un progetto che mi dia la possibilità di spiegare alla gente che quello che sto facendo non è soltanto manipolare il formaggio, ma dalla nascita al momento della degustazione è un percorso vero e proprio. Questo è il progetto futuro e sto studiando e lavorando per riuscirci.
Al momento, insieme al comune di Sala Consilina, sto provando a realizzare un progetto che si chiama Cantine Diffuse. Se ci si riflette Sala Consilina nasce arroccata su un territorio piuttosto impervio di montagna. Su quella montagna sono appiccicate le case e sul fondo di ogni casa ci sono le cantine che funzionavano da frigorifero in passato, dove si mettevano le conserve, i salumi, il vino e i formaggi. Ce ne sono tantissime, compresa la stessa cantina che ho nel centro storico dove ho incominciato a fare tutto questo. Mi piacerebbe tanto poter valutare il caciocavallo, insieme ai cittadini salesi creare attività, stagionarlo nelle cantine del centro storico e da lì poi farlo diventare un prodotto da poter far conoscere agli altri, da poter proporre pure al di fuori del territorio valdianese.
