Davide Mea è il cuoco e proprietario 37enne della Taverna del Mozzo, un ristorante affacciato sul porto di Marina di Camerota che cerca di combinare i prodotti del Cilento interno, che sono prodotti di terra, con una cucina di mare. Davide racconta il suo percorso di rivisitazione della gastronomia cilentana, le difficoltà che incontra, ma anche le soddisfazioni che ottiene con un costante lavoro di ricerca e attenzione alla qualità delle materia prime che utilizza nella sua cucina. Per Davide deve crescere la consapevolezza del ruolo cruciale che i ristoratori possono svolgere per promuovere la crescita economica ed imprenditoriale dell’intero territorio cilentano.
Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Siamo con Davide Mea, un gastronomo del territorio del Cilento che è continuamente alla ricerca di trovare delle connessioni con i prodotti e i produttori locali per rivisitare la tradizione in chiave creativa. Ha un ristorante che si chiama Taverna del Mozzo a Marina di Camerota. Ci interessa capire come Davide lavora, proprio nella chiave di ragionare sulla ristorazione della costa che, per tanti motivi, raramente lavora in connessione con quello che si produce nell’interno del Cilento, il vero scrigno dei prodotti agroalimentari frutto del lavoro di tanti piccoli allevatori e agricoltori. Sarebbe importante che la gastronomia facesse un lavoro di mediazione culturale, promuovendo questi prodotti a chi viene da fuori, ai turisti che non conoscono il Cilento, ma vengono in uno dei territori emblematici della dieta mediterranea.
Davide, raccontaci che tipo di cucina fai. Che cosa hai in mente e quale è il tuo progetto? Quale tipo di gastronomia stai cercando di mettere in piedi?
Davide Mea (DM): Faccio principalmente una cucina di mare perché il ristorante la Taverna del Mozzo è affacciato direttamente sul porto di Marina di Camerota. Quindi, ho deciso, un po’ per la posizione, ma soprattutto anche per una mia vocazione personale, di fare una cucina esclusivamente di mare, quindi cucino esclusivamente pesce.
Da qui è nato un primo passo, quello di capire come utilizzare i prodotti che sono territoriali, perché questi sono più che altro prodotti di terra, quindi dalle verdure ai formaggi e ai legumi. Cerco di abbinarli ad una cucina di mare. Questo è più o meno il motivo principale della mia cucina. Abbinare prodotti dell’entroterra con il pesce che si trova qui d’estate.

AS: Ma, poi il pesce si trova effettivamente? Mi viene in mente il caso clamoroso dei calamari che il turista chiede al ristoratore, quando sappiamo tutti che in quel periodo c’è il fermo della pesca dei calamari e che in ogni caso quanti calamari ci dovrebbero essere nel mare del Cilento per sfamare con il fritto milioni di persone? Tu riesci a far capire che bisogna valorizzare un pesce di mare che è del territorio?
DM: Sono dell’idea che dobbiamo far sopravvivere sia il territorio sia l’azienda ristorante. Non voglio sembrare un aziendalista, però il ristorante è quello che mi porta da vivere, quindi devo cercare di equilibrare bene entrambe le cose. Da questo che cosa esce fuori? Innanzitutto, che ad esempio anziché fare il fritto di calamari, faccio il fritto di totani che qua se ne trovano tanti. E’ una frittura molto più buona, perché è un prodotto fresco. Oppure, quando c’è il calamaretto fresco lo faccio, oppure quando è il periodo del calamaro, come in questo periodo o da qui ad un mese, mettiamo da parte un po’ di prodotto, cercando poi di portarlo avanti fino a giugno e luglio.
AS: Stai dicendo che ti fai le scorte nelle stagioni quando ci sono i prodotti.
DM: Sì, una buona parte, soprattutto di questo tipo di prodotto. Ma, così come il polpo. Calamari e polpo, questi sono i due prodotti che principalmente prendiamo in questo periodo, da gennaio a febbraio. In questo periodo cerchiamo di prendere quanto più è possibile per metterlo dentro e conservarlo, sempre logicamente tutto abbattuto e con un etichetta e tutto il resto per evitare qualsiasi tipo di problema.
Però, bisogna arrivare ad avere il coraggio di dire oggi calamari non ce ne sono, oppure oggi questo non c’è, ma c’è quest’altro. Dobbiamo avere questo tipo di coraggio. Questa è una cosa importante perché penso che la ristorazione deve essere vera soprattutto in questo territorio. Dobbiamo cercare di fare una ristorazione vera che significa di non prendere in giro i clienti, ma soprattutto noi stessi.
Ci hanno abituati a pensare che il turismo porta bene, ma in realtà il turismo di massa ci sta distruggendo, per cui è meglio cercare di accontentare quelli che realmente apprezzano quello che noi facciamo e il nostro territorio. Che poi in effetti noi siamo il nostro territorio e quindi anche un ristorante è un’espressione, forse la parte finale, di quello che produce il territorio.
AS: Hai chiarito il tipo di cucina che fai, mi dici quanti coperti fai tra interno ed esterno?
DM: Noi, riuscendo ad organizzare bene i turni, facendo il doppio turno, riusciamo a fare una settantina di coperti a cena a pieno regime, dalle 8 alle 10 e dalle 10 in poi. Il pranzo è poca, pochissima roba.
AS: Uno dei problemi quando c’è un turismo di massa è che siccome tutti devono mangiare almeno una volta al giorno, alla fine si rischia di essere presi d’assalto.
DM: Noi lo viviamo tutti i giorni. Io sono sul lungomare, quindi in una zona di passeggio di Marina di Camerota che forse è una delle località più frequentate di tutto il Cilento. Quindi, là potresti far mangiare migliaia di persone.

AS: Questa è una cosa che mette in difficoltà il ristoratore che vuole fare una ristorazione di qualità. Se uno si trova che c’è l’assalto alla diligenza, diventa complicato riuscire a non tagliare troppe curve.
DM: Dipende. Uno deve fare delle scelte. Io ho fatto delle scelte. Perché io sono nato come copperia e quindi facevo il fritto di pesce e mi trovavo a fare 500-600 persone al giorno. Ad un certo punto ci siamo guardati in faccia io e mia moglie, Assunta, che gestisce il ristorante con me, e ci siamo detti: “ma, noi è questo quello che vogliamo fare? E’ questo quello che ci porta soddisfazione?” E non era questo, perché veniamo da una cultura completamente diversa. Ci piace mangiare bene ci piace vivere il ristorante bello e quindi abbiamo preso questa decisione di eliminare completamente la massa e lavorare su piccoli numeri e qualità. Per questo è nato il ristorante con tutto quello che ne viene fuori. Alla base c’è la scelta di voler creare qualcosa di solido. Oggi, sono consapevole del fatto che la Taverna sia un qualcosa di solido, con una massa critica importante di clientela alla quale piace il buono, il bello e stare bene al tavolo a mangiare il vero. Di questo ne sono consapevole e sono felice, ma questo te lo dico dopo otto anni si ristorazione, due anni come copperia e 6 anni come Taverna.
Ci abbiamo messo sei anni per raggiungere questo tipo di obiettivo e di consapevolezza. Con questo ti dico che sono stati anni in cui a fine stagione mi è rimasto ben poco in tasca. Dopo che ho pagato i fornitori, le tasse e tutto il resto, se guardo il tasca non mi trovo niente. Ti posso assicurare che dopo un’estate passata a lavorare, dopo 5-6-7 mesi di lavoro, tornare a casa e dire ok noi non ci abbiamo guadagnato nulla, non è proprio il massimo. Ci siamo presi un sacco di soddisfazioni, un sacco di giornalisti e giornali hanno parlato di noi, però poi alla fine porti a casa zero risultati sul piano economico. Per questo dicevo all’inizio che ci vuole il giusto compromesso, nel senso che il ristorante deve essere un’azienda solida, che paga i fornitori, ma soprattutto un’azienda che riesce a sopravvivere.

AS: Quindi, a che cambiamenti stai pensando per produrre un reddito aggiuntivo?
DM: Abbiamo capito che in realtà per noi il doppio turno serale era fondamentale. Abbiamo capito che dobbiamo stare al territorio, ma dobbiamo essere bravi anche a fare in modo che tutto la giostra giri bene. Quindi, avere un po’ di attenzione per tutto, però poi alla fine sono contento.
AS: Visto che hai tirato fuori questa questione del reddito, vorrei capire se secondo te, a parte le difficoltà a trovarli questi prodotti del territorio, se questi prodotti hanno dei prezzi maggiori rispetto a prodotti più o meno analoghi.
DM: Riguardo a prodotti tipo legumi ed altre verdure non ti so dire perché ho utilizzato sempre, dall’inizio, quelli di qua. Anche la mozzarella è di qua, quindi non ho il paragone con altro, però ti posso dire una cosa sul pesce. Un pesce d’allevamento di importazione che può venire dalla Spagna o dalla Grecia costa intorno ai 16-18 euro al kg e a volte anche qualcosina in meno, mentre un pesce pescato qua nel periodo di agosto, quindi nel periodo caldo, costa 30 euro al kg. Quindi, poi dopo quando tu vai al ristorante e trovi 60 euro al chilo, rispetto al prodotto locale è veramente poco, perché se prendi due pesci, uno lo vendi e l’altro lo devi buttare, non ci hai guadagnato niente.
AS: Chiaro. E’ vero che alcune cose messe in un piatto possono incidere per pochi centesimi complessivamente, però se fai un piatto di pesce, il pesce è il re del piatto.
DM: Quest’anno abbiamo avuto dei problemi con i gamberoni. Sono arrivato a pagarli 60-70-80-90 euro al kg. A 90 euro al chilo significa che 100 grammi costano 19 euro. Se ti metto 100 grammi di gamberoni nel piatto e te li faccio pagare 20 euro, tu mi fai la rivoluzione nel ristorante. Quindi, bisogna saper equilibrare il tutto.
E’ vero c’è un discorso di pesce povero. Io lo sgombro lo faccio. Faccio le alici e il tombarello, però poi dopo le persone vogliono i gamberoni. Sì, il tombarello, come l’alice, è bello buono, ci deve essere e ci sta, però ci deve stare anche l’altra parte. Ci sta il cliente che vuole gamberone e io gli devo far trovare il gamberone o il tonno o lo scampo e altri tipi di pesce che sono diventati di lusso.

AS: Mi spieghi questa cosa del tonno locale, perché in realtà non ci potrebbe essere un tonno locale se non ci sono quote.
DM: No, ci sono. Ci sono alcune pescherie che hanno le quote. Questa è una cosa che a me fa tanta rabbia, perché tra i miei fornitori di eccellenza abbiamo un fornitore di livello nazionale che si chiama Logino & Cardenal che vende un tonno rosso del Mediterraneo importato dalla Spagna, una filiera perfetta perché quando mando l’ordine loro mi rispondono che adesso stanno andando a pescare il mio pesce, poi che alle dieci e mezzo che hanno pescato il mio pesce che pesa tot. Quindi, un qualcosa di estremamente perfetto, però lo paghi 90-100 euro al chilo, quando qua, in questa fascia di costa, i tonni stanno facendo un danno che sono peggio dei cinghiali in campagna. Però, non ci sono le quote e quindi non si possono pescare e diventa un vero problema e soprattutto questo fa alzare il prezzo del tonno certificato. Quindi, il problema c’è.
AS: Mi fai un ragionamento e una ricostruzione della tua rete di fornitori/produttori legati a prodotti che vengono dalla zootecnia?
DM: Io non utilizzo la carne, però utilizzo i formaggi sia freschi, come la mozzarella nella mortella, sia stagionati, come il cacioricotta. Questi sono i due prodotti che utilizziamo al ristorante in maniera costante, perché la mozzarella nella mortella ce l’ho quasi sempre e il cacioricotta sempre, perché faccio dei piatti di pesce con il formaggio. La mozzarella nella mortella e un’alice di menaica le dò come benvenuto della casa nel Cilento, perché uno è un prodotto dell’entroterra, la mozzarella nella mortella, e uno di mare, le alici di menaica. Quindi, è un prodotto che utilizzo sempre e mi rifornisco in zona.

AS: Non pensi che per i formaggi la varietà della produzione cilentana sia piuttosto limitata?
DM: Il problema è proprio questo, anche se c’è chi sperimenta. Il mio fornitore di formaggi è Adolfo Valiante (Cicco di Buono) che è il top. La situazione è come un gatto che si morde la coda perché ci sono tanti che fanno cacioricotta, ma fin quando questo non diventa l’attività principale, a me questo è quello che mi preoccupa, perché ci sono tanti piccoli produttori e si fanno dei grossi siti web o dei grossi paroloni, però se poi vai a vedere uno studia fuori, un altro sta facendo anche un’altra cosa, per cui alla fine chi rimane sul territorio e fa il lavoro per bene o chi si forma, in realtà sono pochi. Questa non è assolutamente una critica, perché capisco se ritorniamo al discorso dell’azienda. Se io faccio un’azienda che riesce ad essere sostenibile, benissimo. Se io faccio un’azienda che purtroppo devo integrarla con qualcos’altro, allora qui poi dopo viene meno la specializzazione, la competenza, il voler provare prodotti nuovi, perché mi mantengo quella base così posso fare tranquillamente altro.
E’ che dobbiamo capire noi stessi di che morte vogliamo morire. Perché se uno decide di restare in Cilento e di volere fare qualcosa, allora si deve formare, deve creare e fare un prodotto che guarda logicamente alla tradizione, che è la base di partenza di tutto, ma che si deve anche poter vendere e saper vendere. E’ un po in giro che qui a volte viene interrotto anche per colpa nostra, cioè per colpa dei ristoratori, perché se tu vai in un ristorante e chiedi il cacioricotta nel 90% dei casi non ci sta. Trovi il parmigiano reggiano, se tutto va bene da grattugiare oppure già grattugiato. Soprattutto, in località come Camerota o Palinuro o Ascea o altri posti di mare, dove abbiamo la fortuna di avere almeno un periodo di quattro-cinque mesi in cui migliaia di persone vengono qui a vedere come ci si sta, a fare le prove, a passare del loro tempo.
Questo fatto dovremmo essere in grado di “sfruttarlo” come volano per i prodotti dell’agricoltura e della zootecnia. Credo che questa sia la nostra la nostra unica possibilità di sviluppo, perché qua grandi aziende e fabbriche non se ne possono mettere, perché è un territorio difficile da lavorarci. L’unica cosa che possiamo fare è il turismo, ma un turismo fatto in maniera seria. Questo significa che se vado al ristorante devo poter trovare il prodotto che viene da Caselle in Pittari o Alfano o Rofrano o da altri paesi della fascia interna. Trasformati in zona. Avere a disposizione dei prodotti che sono eccellenti, magari anche a disposizione pure fuori dal dal loro tempo stagionale, grazie ad aziende di trasformazione.
Se ho il pomodorino di Rofrano, ad esempio, che mi viene fuori ad agosto, ma che mi sta bene fino a marzo-aprile. Quindi, avere un pomodorino fresco che ho fatto nella terra all’aria aperta ad aprile, mangiarlo a dicembre, a febbraio, a marzo, è qualcosa di straordinario. Poter portare questi tipi di prodotti alla stagione successiva o offrirli ai ristoranti per me sarebbe una grande cosa perché significa che io creo sei mesi di lavorazione della terra nei paesi interni, che può essere da settembre fino a maggio, e dopo di che i sei mesi estivi fare la rivendita a chi sta sulla costa. In questo modo, si andrebbe a bilanciare il tutto e può essere il giusto equilibrio.

AS: I ristoratori hanno una grossa responsabilità come mediatori culturali, come operatori che fanno conoscere il territorio a chi viene attraverso i suoi prodotti, le sue tradizioni gastronomiche. Mangiare un prodotto può infondere quella curiosità, emozione e sorpresa che può diventare un acquisto del prodotto stesso.
DM: Da noi funziona tanto questa cosa, per l’olio e il formaggio. Qua per sei mesi, ma mettiamo anche solo quattro mesi, mangiano oltre 10 mila persone al giorno. Tu pensa che cosa succederebbe se queste 10 mila persone al giorno mangiassero solo ed esclusivamente quello che si riesce a produrre nel Parco Nazionale! [Cambio Video 2] C’è un’infinità di proposta di ristorazione, ma pensa soltanto se tutte le persone presenti sulla costa mangiassero per 4-5 mesi solo ed esclusivamente quello che noi riusciamo a produrre. Quando dico noi, parlo dell’entroterra, dalla piana del Sele a Sassano e Sala Consilina. Sono dei posti che, anche se minime, le produzioni le fanno.
AS: Se ci metti la piana del Sele forse potrebbe succedere, perché quelli hanno le serre e quindi fanno delle produzioni intensive, e poi hanno le bufale.
DM: Però, il problema è che alberghi a 4-5 stelle questo non lo fanno. Questo anche se non parlo in maniera critica, perché veramente non è una cosa semplice da fare e a volte non lo riesco a fare nemmeno con il ristorante e quindi immagino quanto possa essere difficile fare qualcosa del genere in un albergo dove mangiano 300 persone al giorno.

AS: Tu mi stai dicendo che poi quando vai a fare colazione trovi la marmellatina Zuegg e il panetto di burro Galbani. A me è capitato in qualche albergo della costa cilentana.
DM: Sì. Pensa se questo fosse all’opposto e tu trovassi la marmellatina che fa l’agricoltore e il burro che fa l’allevatore di vacche. Parliamo di una ricchezza di cui non abbiamo proprio idea. Veramente noi non abbiamo questa portata, questa consapevolezza. Potrebbe essere una storia bellissima e parlo di una ricchezza per il territorio, per cui l’allevatore non avrebbe problemi a vendere il bestiame, il latte, il formaggio, e lo stesso l’agricoltore con i suoi prodotti.
AS: Soprattutto, sarebbe un discorso per cui questi soldi che vengono da fuori attraverso i turisti, rimarrebbero sul territorio, invece di andare in tasca alla Zuegg e alla Galbani che certo non sono aziende cilentane. Quindi, l’economia complessiva cilentane se ne gioverebbe e ci sarebbe maggiore benessere economico nella fascia interna del Cilento. La qualità della vita delle persone migliorerebbe.
DM: Noi dobbiamo essere bravi a far partire questo. Guarda, ti dico una cosa, la mia soddisfazione più grande, e te lo dico con il cuore, è arrivare a settembre/ottobre ed andare a casa di Adolfo Valiante a fare i conti. E’ una sensazione bellissima e forse una delle soddisfazioni più grosse che mi tolgo con questo lavoro. E’ un piacere perché vado là felice perché comunque so di aver lavorato con un prodotto eccellente. Poi, vedo le facce soddisfatte di Adolfo e del padre, perché viene ripagato il loro lavoro. Quindi, si crea qualcosa di veramente bello. Questo succede con Adolfo, ma anche con altre persone. Nomino Adolfo perché lo conosci, ma questo mi capita spesso con il pescatore oppure con il ragazzo che è andato a pescare e mi porta il pesce e poi alla sera gli pago quello che ho preso. Per me è una cosa bellissima, una soddisfazione che nel 70% dei casi mi ritorna di nuovo, perché magari ragazzo che è venuto a vendermi pesce dopo è venuto di nuovo a mangiare da noi. Quindi, si crea questo circolo. Si crea qualcosa che vivo tutti i giorni ed è una cosa bellissima.
AS: Anche perché se i cilentani avessero un po’ più di reddito, almeno nei fine settimana potrebbero venire a mangiare nei ristoranti della costa.
DM: Guarda qualcosa si sta creando. Vivo questo territorio tutti i giorni e mi rendo conto che rispetto a dieci anni fa c’è una maggiore consapevolezza sia dal punto di vista del ristoratore sia da parte dei vari produttori che ci sono. Quindi, c’è già una sorta di crescita collettiva e ci sono degli esempi molto belli. Ci sono delle realtà che possono essere tranquillamente prese da esempio qui in zona. Io li guardo con attenzione e ne prendo sempre molta ispirazione. Quindi, credo che il primo passo sia stato fatto. Ora bisogna aumentare la consapevolezza e andare avanti.
A Vallo della Lucania ci sono i ragazzi di Da Zero che stanno facendo qualcosa di veramente interessante, ma anche lo stesso Gerardo Cosentino è uno di quelli che lavora in questo modo. E ce ne sono anche altri. Poi, ci sta la parte della zona della piana del Sele dove c’è già qualcuno che è andato anche oltre e quindi ci riesce a seguire anche in maniera un po’ più professionale. Penso a Maida, San Salvatore o a Barlotti. Insomma, ci sono delle realtà che sono vicine a noi che questo tipo di sviluppo lo stanno portando avanti e quindi credo che piano piano ne veniamo a capo. Ci vorrà qualche anno in più, però penso che il futuro sia questo.
AS: Ho fatto una ricerca nel 2003 sulle filiere agroalimentari del territorio del GAL Casacastra, che allora comprendeva anche il Bacino dell’Alento e il Monte Stella, intervistando circa 120-130 aziende e allora una delle cose che risultava evidente era questa. Noi avevamo proposto che il 15 agosto tutta la ristorazione e gli alberghi della costa consumassero solo prodotti cilentani e stimavamo che in questo modo i produttori avrebbero risolto il problema della vendita dei loro prodotti, perché in realtà non avevano delle grandi quantità. E ancora oggi non è che abbiano aumentato tantissimo le produzioni. La cosa paradossale di molti produttori è che hanno poca quantità, ma non sono in grado di vendere tutto quello che producono, perché non stanno dentro i circuiti commerciali. Non possono entrare in questi circuiti perché non hanno delle masse critiche. Sono passati 18 anni e alcuni dei produttori conosciuti allora sono cresciuti, hanno fatto dei passi avanti, si sono organizzati, strutturati e hanno fatto delle scelte riguardo a dove indirizzare degli investimenti e gli sforzi.
DM: Da poco qui a Rofrano un ragazzo ha fatto un laboratorio di trasformazione del pomodorino giallo, che è un pomodoro eccezionale che ho usato nel ristorante. Meno di una settimana fa ha inaugurato questo laboratorio e in questo modo si va a chiudere un cerchio perché fa la produzione e la conservazione.
AS: Ho sempre pensato che oltre che alla gamba della ristorazione ci vorrebbe la gamba della trasformazione perché in altri territori che hanno una vocazione agricola e zootecnica, come indubbiamente ha il Cilento, alcuni dei soggetti che hanno iniziato come attività artigianali di trasformazione sono poi diventati degli operatori industriali che hanno trainato l’intero territorio, nel senso che hanno aiutato il territorio – gli allevatori e gli agricoltori – a diventare delle aziende. Penso a territori come le Langhe dove oggi c’è un gigante come la Ferrero, ma ci sono anche tante piccole e medie imprese di eccellenza. Ma, 70 anni fa c’era la miseria. Purtroppo, il Cilento non ha ancora oggi dei trasformatori che siano all’altezza.
