La storia di Filomena. Per avere dei giovani imprenditori nella zootecnia, le istituzioni devono diventare più amichevoli

Filomena Merola, un’imprenditrice zootecnica e agrituristica nel comune di Celle di Bulgheria, racconta la sua contrastata esperienza decennale di imprenditrice. Alcune soddisfazioni, soprattutto legate ai riconoscimenti ricevuti per la qualità dei prodotti, ma anche tante frustrazioni e umiliazioni derivanti da un rapporto problematico con alcune istituzioni. Un racconto onesto, doloroso e autocritico di un percorso imprenditoriale decennale.

Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Siamo con Filomena Merola che è la titolare di Amaltea, un agriturismo di Celle di Bulgheria, nel territorio del Parco. E’ nata come un’azienda zootecnica, con un allevamento caprino e che poi, per diverse vicende che poi Filomena ci racconterà, si è trasformata in un agriturismo. Con il latte delle capre viene fatto un formaggio, il cacioricotta, e per alcuni anni l’azienda è stata un Presidio Slow Food. Di recente, purtroppo è dovuta uscire dal Presidio. Il formaggio è di grande qualità e non ha un problema di mercato.

Filomena è la prima donna imprenditrice che ho incontrato finora ed è giovane, due elementi che credo siano importantissimi rispetto al futuro del settore zootecnico in Cilento. Vorrei che tu raccontassi la tua esperienza. Come sei partita? Come sei finita dentro questa attività, considerando che tu hai studiato economia all’Università Cattolica a Milano, per cui avevi davanti un futuro da economista, da manager o da commercialista? Invece, eccoti qua che sei un’imprenditrice, un’allevatrice con delle capre e un agriturismo.

Filomena Merola (FM): Ho studiato a Milano e prima di andare a Milano, la mia intenzione era quella di rimanere sul territorio per due motivi semplicissimi: uno, per l’amore del territorio dove ero cresciuta fino a 18 anni, una parte importante della mia vita; due, per la famiglia, un valore essenziale. In virtù di questo, quando ho deciso di andare a studiare fuori, l’ho fatto nella consapevolezza di portare un’esperienza, non tanto a livello culturale, quanto di vita diversa, perché confrontarsi con una grande città lontano dalla famiglia a 18 anni, necessariamente, apre la mente. Quando sono partita c’era in me già l’idea di avere un agriturismo. La mia famiglia non viene da questa tradizione e non possedeva nessun terreno, né c’era la possibilità da parte della mia famiglia di aiutarmi e forse mancava anche il credo da parte loro in questo tipo di attività. Poi, è successo che quando è arrivato il momento della laurea, ed è stato veramente un puro caso, c’è stata la possibilità di acquistare un appezzamento di terreno abbastanza grande, 30 ettari. Mio padre per primo, mia mamma un po’ meno, ha sposato subito l’idea della diversificazione. Si è entusiasmato.

Molti mi chiedono, ma come mai ti è venuta questa passione per gli animali? Ci tengo sempre a precisare che non è stata una passione, è stata l’esigenza. C’era l’idea e la volontà di tornare a casa dalla mia famiglia nel mio territorio, ma sicuramente c’era una scelta imprenditoriale, perché uno si guarda attorno e dice vabbè che faccio? Non potrò fare né la manager in nessuna azienda né potrò partecipare a concorsi pubblici in loco, quindi il lavoro bisogna inventarselo. Così nasce, ripeto non assolutamente per la passione, un’idea da portare a termine che è stata sempre quella dell’agriturismo che doveva nascere sotto un’azienda agricola. La scelta degli animali è stata semplicemente frutto di una valutazione economica e di uno studio del mercato. Il terreno non si prestava a grandi tipi di coltivazione, perché ho comprato una vecchia pineta, quindi con un terreno acido, per cui metterlo in moto per una coltivazione avrebbe richiesto risorse sia in termini di tempo sia economiche. Per questo mi sono rivolta alla zootecnia e la capra è un animale che si adatta ai nostri territori e che aveva un mercato per i suoi prodotti anche 10 anni fa. Oggi, il settore per fortuna si è ampliato, attraendo anche dei ragazzi.

Oggi, sono un po’ critica. Tiro le somme dopo dieci anni e dico mah! Quell’incoscienza, quel pizzico di pazzia, quella passione che poi è venuta dopo, perché quando una cosa la fai, in qualche modo, ti appassioni, non lo so, se tornassi indietro, se rifarei questo percorso. Lo dico forse sottolineando una sconfitta che da un punto di vista umano non fa piacere.

Quando tu mi identifichi come una allevatrice, ti devo dire, guarda mi dispiace, non lo sono, perché non ho potuto esserlo, ma non non volevo neanche esserlo, perché non sono nata nell’ottica che dovevo fare l’allevatrice. Sono nata nell’ottica di voler fare l’imprenditrice nel settore agricolo e visto che vengo da quegli studi e anche da una tradizione familiare, so bene cosa è un’impresa. E oggi so bene che un’impresa già in Italia, sul territorio nazionale, ha difficoltà a nascere, nel nostro territorio la difficoltà la vedi deliberatamente elevare all’ennesima potenza.

Mi sono scontrata con un settore nuovo, con la non possibilità di acquisire una formazione su quel settore stesso perché viviamo in una regione che è conosciuta per il settore lattiero-caseario, ma che non dà la possibilità veramente a chi voglia fare, di formarsi. Oggi, forse c’è qualcosa, ma sempre dalle parti di Capaccio, che capisco che è una zona più sviluppata. In questo senso, ho imparato il mestiere del casaro dal vicino di casa. Ho sbagliato, perché lavorare un formaggio in maniera tradizionale a casa non è come lavorarlo con dei macchinari. Non mi vergogno a dirlo, all’inizio ho buttato le mie produzioni, perché ho dovuto capire da sola come far funzionare il macchinario, quale era la cosa giusta e quale era quella sbagliata. Le celle, questo e quell’altro. Ma, va bene, cioè quando tu hai un obiettivo, un punto di arrivo, ci sta. A me questo non ha mai scoraggiato, come non mi hanno scoraggiato i debiti.

AS: Però, ad un certo punto sei andata a farti un bel corso di formazione?

FM: No. Ho partecipato ad un corso di formazione organizzato dallo Stapa-CePica, perché mi è capitata questa occasione. Ma, il corso lo avrei fatto anche pagamento. Non ho avuto proprio la possibilità, perché avrei dovuto prendere le mie valigie, rimettermi sopra un treno e andare nel posto più vicino che poteva essere Roma. Non lo potevo fare in quel momento perché avevo messo su una nuova azienda di cui non conoscevo l’abc. Avrebbe voluto dire abbandonarla. Forse ho sbagliato! Il latte di capra ha comunque delle particolarità in termini di lavorazioni rispetto al latte vaccino od ovino, che comunque c’è più sul mercato, quindi trovare dei corsi su quella tipologia di latte non è facile. Per cui, sono andata da quelli che lo facevano in paese e poi quello che ho imparato ho dovuto adattarlo a un laboratorio e a una forma di impresa.

L’impresa paga le piccole dimensioni, perché o sei grande, ma veramente grande… Non sono partita piccolina, sono arrivata ad avere 120 capi, ma pochi rispetto all’economia che c’era sotto quella azienda. Allora, tu capisci che hai bisogno di diversificare, capisci che non c’è una tradizione familiare dietro, ma ci sono dei dipendenti e loro non rispondono davanti ai tuoi errori. I dipendenti sono dipendenti, tutto il resto te lo prendi tu. Le responsabilità te le prendi tu. Le perdite te le prendi tu. Ho combattuto con questo, ma anche lì tenendo presente quale era sempre il mio obiettivo, che era quello di un’azienda che dovesse essere agrituristica.

Oggi, ci sono riuscita dopo dieci anni e dopo uno sconforto burocratico. Quindi, quando oggi mi si chiede dei giovani, dico sempre che se dovessi consigliare, cosa che ho fatto dieci anni fa ai miei coetanei, di rimanere sul territorio perché non è vero, il lavoro c’è, perché si può fare, oggi non lo consiglierei. E questo non dipende né dalla volontà dei giovani né da un territorio che offre e che però purtroppo noi non sappiamo vendere e che il singolo da solo non potrà mai vendere. Per quanto riguarda l’aggregazione posso dire che anche lì al 70% non ne ho un buon giudizio, perché siamo tutti bravi, però qui c’è una sottile linea del guardarsi e del ritenersi sempre migliori. Tutte queste forme di aggregazione che ci sono e ce ne sono tante che nascono, ma poi ne ho viste veramente poche realizzarsi bene, perché chi ne faceva parte ci credeva. C’è sempre questo scetticismo, c’è sempre questo non voler andare oltre, non voler rischiare. C’è sempre questo: “no io ho il mio, sto bene nel mio e va bene così“.

Il nostro territorio purtroppo è un territorio isolato. E’ un territorio che per la sua conformazione non rende facile la coltivazione. Noi non abbiamo l’acqua. Siamo distanti dal mondo, dico io. Se devo andare a comprare una fuscella per fare il formaggio, devo fare 100 km con una macchina, non sono più i 100 km, sono il tempo che ci metti, l’organizzazione che devi avere. Se il territorio avesse capito, invece, che l’aggregazione poteva consentire delle economie di scala, le cose sarebbero andate diversamente. La mia produzione ha dei costi certamente più elevati rispetto ad un’azienda familiare e sicuramente rispetto ad un’azienda che si trova con i miei numeri in un territorio diverso.

Ma, io ce l’ho con il pubblico, la mia grande delusione. Ho comprato questi 30 ettari e li ho comprati tutti quanti per mia grande fortuna all’interno del Parco Nazionale. Pensavo fosse un valore aggiunto. Oggi, con mio grande rammarico e senza offendere nessuno, non comprerei neanche un metro quadrato di terreno all’interno del Parco Nazionale. Non per il Parco, perché mi rendo conto che è un meccanismo costruito male, cioè non è possibile, sebbene capisca che bisogna rispettare delle norme, che quelle norme me le fai rispettare, ma non mi velocizzi il mio fare.

Perché il tempo è un concetto che nel nostro territorio – che si chiama Cilento – non è mai considerato come un fattore economico, quando invece ritengo che sia uno dei fattori economici essenziali per la riuscita di un’impresa. Se dall’idea alla realizzazione, laddove vada bene, devono passare degli anni capisci bene che ci posso mettere tutto l’entusiasmo di questo mondo, però poi succede che mi viene tolto. Nel mio caso, ho trovato assurdo l’ente con cui mi sono dovuta confrontare, perché noi viviamo in un territorio dove il parere di alcuni enti risulta assurdo, e lo dico senza vergogna, nomino la Sopraintendenza. Ma non c’è solo la mia esperienza, perché se mi guardo attorno, con chiunque parlo, ha problemi con questo ente. Problemi non perché voglio fare un grattacielo, che capisco. Non me la prendo con la Sopraintendenza, ma con chi sa. Spesso si dice che queste problematiche dovrebbero essere fatte presente agli enti e alla politica. Non è assolutamente vero, perché la politica conosce tutto, sa tutto. La politica lo sa che se presento un progetto ho la necessità nel mio territorio di avere tre pareri e tutti e tre devono essere favorevoli. Perché non funziona il criterio della maggioranza? Perché nel Parco l’ultima parola deve essere lasciata alla Sopraintendenza, che non sa, ti assicuro, neanche dove si trova Celle di Bulgheria? Ci devono dare delle regole, perché la verità è che hanno costituito un ente fortemente soggettivo che può decidere anche di non prendere in considerazione i progetti, ma può rispondermi: sì mi piace, no non mi piace.

AS: Adesso sei riuscita ad avere tutte queste autorizzazioni. Intanto, l’agriturismo e poi la stalla per le capre. Ci sono ancora dei problemi per i laboratori di trasformazione, per cui ti trovi in una condizione in cui hai le capre, hai il latte, potresti fare il formaggio, però non hai il laboratorio e quindi devi fare una trasformazione all’interno della cucina dell’agriturismo.

FM: E’ successo che appena comprato il terreno ho presentato dei progetti per l’agriturismo e mi sono stati bocciati dalla Sopraintendenza. Quando sono usciti gli ultimi PSR – che ritengo uno strumento necessario nel nostro territorio per un giovane che vuole fare veramente attività in campo agricolo, però attenzione perché ritengo che pochi in realtà utilizzano questo strumento per dei fini imprenditoriali agricoli, e questa è un’altra cosa che mi dispiace – sapevo di poter fare quello che avrei voluto fare soltanto con un forte aiuto economico. Perché ho dovuto acquistare il terreno, non ne ero proprietaria, e ho dovuto acquistare i primi macchinari, per cui l’impegno economico iniziale è stato forte. Quando ho guardato l’ultima tornata dei PSR ho visto c’era sia il bando per l’agriturismo sia quello per migliorare le aziende già esistenti. Per cui, ho fatto partire in contemporanea due progetti, quello dell’agriturismo e quello per la costruzione di una stalla e un laboratori nuovi. Non stiamo parlando di costi esorbitanti ed è un progetto che si sposa bene con quelle che sono le dimensioni aziendali. Non stiamo parlando di grattacieli. Il mio progetto del punto vendita prevede anche un laboratorio ed è pensato per adattarsi al sistema dei terrazzamenti. Stiamo parlando di un progetto di un laboratorio interrato, con tetto a giardino. Per quanto mi riguarda, ad impatto ambientale zero. Invece, mi sono sentita dire di tutto e di più, quando ho presentato questo progetto, non dal comune né da Parco, ma sempre dallo stesso ente, che non identifico con la persona che si è confrontata direttamente con me, perché potrei dire che ho beccato la persona sbagliata. Identifico la Sopraintendenza come un ente fatto di tante persone che agiscono tutte allo stesso modo. E’ difficile confrontarsi con una persona che il tuo progetto non lo ha aperto, ma che ti dice: “non mi piace”. Noi non ci dobbiamo dire nient’altro. E quando so che se quell’ente mi dice “non mi piace”, il mio progetto non passa, perché questa è la realtà dei fatti, allora io che sono sicuramente una stupida, ma una stupida semplice, non una stupida complessa, mi dico, ma scusatemi, se devo acquisire tre pareri, potrebbe essere che due su tre valgono oppure potrebbe essere che l’ente a cui veramente devo rispondere, che è il Parco, abbia un parere che va al di sopra di quello degli altri. No, non è così. Vedi, le donne hanno questa cosa molto pratica e delle volte davanti a questi casi chiedono: ma, perché no? perché è così semplice!

Ho partecipito ad un PSR – e questo lo dico facendo parte di un ente come la CIA, Confederazione Italiana Agricoltori e quindi consapevole del fatto che le confederazioni agricole questa cosa alla nostra cara Regione l’hanno fatta presente e quindi la Regione conosce tutto. Devi sapere che i nostri PSR prevedono che, quando presenti un progetto, questo progetto deve essere, così come previsto dal bando, cantierabile. Ciò significa che devi partecipare ad un bando con un progetto già approvato, con un permesso a costruire, come nel mio caso. Prevedere questa procedura burocratica in un territorio come quello del Parco Nazionale, dove mi richiedi già le autorizzazioni, perché sono in zona sismica e quindi cantierabile significa che devi fare i calcoli strutturali. Poi, ci sono altri enti, come l’autorità di bacino e l’ASL.

Se mi chiedi di presentare un progetto cantierabile e Filomena, che è la piccola imprenditrice con la micro azienda, per fare questo deve investire i primi 10-12 mila euro, tra tecnici, progetti e carte, per poi sentirsi magari rispondere, come è successo a me, dopo due anni e mezzo, per cui ho dovuto anche rinnovare permesso a costruire perché era scaduto. Sono riuscita a superare lo scoglio del parere della Sopraintendenza, ma dopo due anni e mezzo, in cui le graduatorie sono state prima pubblicate e poi ritirate.

L’agriturismo è passato e l’abbiamo realizzato, nel 2019 era finito. I progetti sono partiti insieme e ho avuto risposta negativa sulla struttura stalla/laboratorio, perché mi hanno prima tagliato di punti, poi me li hanno ridati. Partivo da 70 punti e la nostra Regione ha fatto uscire la prima graduatoria e il mio progetto andava bene. Ero passata! Capirai il mio entusiasmo. Dopo tre mesi, qualcuno si sveglia e decide che hanno guardato male, per cui hanno ritirato la graduatoria e ci hanno tagliato i punti che prima ci avevano dato. Dopo tante discussioni, hanno deciso di chiudere con una graduatoria e finanziato a 65 punti. Filomena ne ha 63, quindi il mio progetto non è stato finanziato.

Il vero problema non è il risultato finale, ma il fatto che il risultato finale arriva dopo anni. E’ inconcepibile! Il risultato finale viene dato su un progetto che tu me lo hai chiesto cantierabile. La nostra Regione lo sa che può intervenire su questa cosa sui bandi europei, perché altre Regioni lo hanno fatto. Ed è molto semplice: presentami il progetto, io te lo valuto, se il progetto è finanziato, ti do un termine di 8-9 mesi per renderlo cantierabile. Allora, sì i tuoi soldi sono investiti su qualcosa che è già passata, mentre invece mi stai chiedendo di spendere dei soldi – e attenzione, perché non faccio il mio ragionamento, guardo ad un giovane che vuole partire e che quindi si affida al PSR per avere delle risorse economiche – che poi magari li perdi. Perché ad oggi posso dire che quei soldi li ho persi. Quel progetto, so che da sola non potrò realizzarlo, economicamente parlando, senza quell’aiuto.

AS: Quindi, paradossalmente, ora tu hai finalmente l’autorizzazione della Sopraintendenza, però non hai il finanziamento per poter realizzare le stalle e il laboratorio?

FM: Uno può vincere o perdere le competizioni, ma diamo velocità a queste competizioni! Penso che nell’ultima tornata del PSR molte cose non hanno funzionato, ma credo che di questo ne siano a conoscenza tutti quanti.

AS: In effetti, in tre anni il mondo è cambiato completamente. Avevamo Trump, ora abbiamo Biden, quasi da un anno.

Tu hai fatto un quadro che non è molto entusiasmante per i giovani. Però, ragioniamo su questo settore della zootecnia. Sto incontrando anche diversi giovani, molti dei quali, a differenza di te, vengono da famiglie che in qualche misura esercitavano questa attività tra l’agricoltura e la zootecnia. Spesso era anche una forma di autoconsumo. Questi giovani hanno fatto il tuo ragionamento che per rimanere, rispetto alle loro famiglie, vogliono fare un salto di qualità e trasformare l’attività in un’impresa che gli dia la possibilità di costruire un progetto, magari da qui a 5 anni, per cui fai il tuo laboratorio di caseificazione e/o di trasformazione della carne, e così via, fino arrivare anche al punto per la vendita diretta.

Da questa ricerca sta emergendo che il settore della zootecnia è molto rilevante per il territorio, nel senso che ci sono molte famiglie che vi si dedicano e, al loro interno, ci sono diversi giovani che avrebbero intenzione di continuare, ma con una prospettiva diversa rispetto ai padri. Sarebbe necessario accompagnarli in questo percorso, anche di emancipazione. Bisognerebbe facilitare il rapporto con la burocrazia, perché se uno ha degli animali e deve rifare la vecchia stalla, la deve poter rifare, dopo di che stabiliamo quali sono le regole, quali sono i materiali, quali sono le dimensioni e tutto quanto, ma fatemi fare la stalla o fatemi fare il laboratorio, perché se no la mia azienda viene messa nelle condizioni o di chiudere o di sopravvivere e di rimanere in una dimensione di semi-sommerso, per cui non posso andare sul mercato.

Poi, l’altro discorso su cui volevo che tu riflettessi è il fatto che in altri territori d’Italia, dove ci sono delle imprese, normalmente le pubbliche amministrazioni, largamente intese, dalla Camera di Commercio ai comuni, alle Comunità Montane, e qui c’è anche il Parco, offrono dei servizi alle imprese. Cioè, gli danno delle possibilità, soprattutto se sono piccole e piccolissime imprese, come sono quelle del Cilento. Il tema è che il territorio dovrebbe ragionare sul fatto che la zootecnia è un settore rilevante per l’ambiente, per il presidio del territorio e poi per la produzione di cibo. Inoltre, ci sono tutti gli aspetti legati alla gastronomia del territorio, al turismo, al paesaggio. Tante dimensioni. Bisognerebbe che si facesse una discussione pubblica sul fatto che questo è un settore rilevante e se viene riconosciuto come tale bisogna che si lavori di squadra, cioè che le istituzioni si diano una mossa, come dicevi te. Che si sciolgano questi nodi che ti portano aspettare tre anni per avere un’autorizzazione, un finanziamento o comunque per avere un parere o un giudizio che può essere negativo o positivo. Una risposta, altrimenti sei dentro Il Castello di Kafka, dove uno aspetta in eterno di sapere qual è il suo destino.

Ci vuole un’assunzione di responsabilità collettiva dei cilentani, intesi come cittadini, come aziende imprenditoriali, come famiglie che si danno da fare, come istituzioni. Si tratta di decidere se si vuole accompagnare questo settore in una transizione positiva, nella sua trasformazione, per cui queste attività familiari si trasformano in aziende, dove il mercato, in qualche misura, lo riescono ad affrontare, dove c’è un tema di organizzazioni di filiera, dove c’è un tema di associazionismo rispetto, per esempio, a quello che dicevi tu, riguardo agli acquisti e quindi non soltanto alla vendita dei prodotti, beneficiando di prezzi bassi di acquisto delle materie prime grazie alle economie di scala.

Vorrei che tu facessi una riflessione su questi temi. Credo che su qualcuno di questi temi tu abbia un tuo pensiero molto preciso.

FM: Ti posso rispondere con una cosa che mi sono sempre portata dall’università. In uno dei tanti corsi seguiti, avevo questo professore che ci diceva sempre: “guardate, nella vita se volete veramente riuscire, se volete veramente quella cosa in più, il trucco, la vera essenza del tutto, è non saper fare tutto, ma saper riconoscere chi fa il meglio e metterli insieme perché una buona macchina non è fatta da una sola persona, ma è fatta dall’assemblaggio di diversi pezzi.” Se tu conosci il meglio, o meglio, il miglior costruttore di ogni pezzo, nell’assemblaggio devi ottenere un prodotto essenziale. Tu hai fatto il tuo, non devi saper fare tutto, ma devi avere la capacità di assemblare quello che manca.

Ho fatto un discorso critico, ma viene dalla mia esperienza. So e riconosco che sul nostro territorio ci sono delle belle realtà, anche mantenute da giovani, perché quello che tu dicevi prima, credo che chi ha potuto farlo, lo ha potuto fare con quella famosa esperienza della tradizione familiare, che rimane, sempre è stato e deve essere, un valore aggiunto. Quando, in alcune di queste aziende c’è stato un ricambio generazionale e questo è stato visto sotto forma di impresa. Ritengo che nei nostri territori ci siano delle realtà d’impresa, per quanto parliamo sempre di piccole aziende, ma eccellenti. Quindi, ritengo che questo si può fare.

Quello che non si deve fare e che ho visto fare, è gettare fumo negli occhi ai ragazzi soprattutto quando si parla di finanziamenti pubblici. Quando sono usciti i PSR, che certamente erano un valore per chi voleva aprire un’azienda, ho sentito il 99% della politica che li ha quotati. E’ uso e costume che quando escono questi strumenti pubblici, si vendano politicamente, come è giusto che sia, che si pubblicizzino, come è giusto che sia. Questo è il ruolo della politica, però la politica dovrebbe imparare ad essere un attimino più coscienziosa su quello che dice. Personalmente, ho ascoltato qualcuno che ancora oggi sale sul palco o si siede ad una scrivania o interviene in un convegno, dire: “non vi preoccupate, perché esiste il primo insediamento e vi regalano 50 mila euro.

Non si devono raccontare a ragazze e ragazzi le cose in questo modo! Devi dire che esistono dei fondi pubblici, ma che per averli impiegheranno tempo e risorse economiche. Bisogna dirlo a quei ragazzi che non è detto che, se partecipano ad un bando pubblico, quel progetto passerà. Non sta scritto da nessuna parte. I ragazzi che vogliono quei soldi, devono veramente avere l’intenzione di investire in una certa attività.

La politica non deve dire che “siamo tutti imprenditori agricoli, perché la Comunità Europea ci regala 50 mila euro di primo insediamento”. Non glielo deve dire perché innanzitutto non responsabilizza quel ragazzo. Si rischia che domani mattina va ad aprire una partita Iva che si ritroverà nel corso degli anni senza sapere neanche dove e perché, perché ti regaliamo 20-30-50 mila euro o quello che è. Aprila se tu devi fare un’attività vera, però ti devo dire che il PSR è un punto di arrivo, mentre il punto di partenza è il territorio in cui vivi, le difficoltà che incontrerai sul territorio.

Potrei fare le valigie e andarmene domani mattina. Se non le farò, dopo tutto quello che ti ho detto, è perché ho ancora voglia di provare a fare l’imprenditrice. Forse non sto a posto con la testa, ma da qui a un mese presenterò un progetto per delle casette, perché il mio agriturismo ha bisogno di fare ospitalità, non può limitarsi alla ristorazione. Ho bisogno di alloggi che forse mi possono permettere di attrarre una forma diversa di turismo, non solo di passaggio, che forse mi permettono di vendere il mio territorio, la mia azienda in altro modo. Nonostante le difficoltà che ho incontrato e che rincontrerò tutte, e in questo caso ragioniamo fuori dai PSR, me la faccio di nuovo la trafila, perché non devo smettere di crederci.

AS: Insmma, non molli! Ricordo che la tua azienda è un partner del progetto Nobili Cilentani e spero che per quanto riguarda la parte zootecnica tu possa finalmente avere una stalla adeguata e poi anche i laboratori messi a posto, in maniera tale che tu possa finalmente avere un’azienda del tutto funzionante. Hai fatto un’esperienza decennale nel corso della quale hai commesso errori, hai dovuto imparare, hai dovuto superare tanti ostacoli burocratici, per cui adesso sai che cosa significa fare l’imprenditore. Se tu fossi messa nelle condizioni di poter operare nella legalità completa…

FM: Rispetto alla stalla, non è tanto una questione di benessere animale, quanto di occhio. Quando ragioni su un’azienda che opera in un territorio e che si deve vendere ad un pubblico, mi piacerebbe avere un ambiente ottimale, anche quello dove sono gli animali. La stalla la farò con un finanziamento di nuovi bandi o con l’ennesimo mutuo. Però, ti rendi conto che nel giro di tre anni ho dovuto chiudere un’azienda, per aprirne un’altra. Filomena ha avuto la possibilità di farlo perché ha dei genitori alle spalle, perché ha altre fonti economiche. Ma, mettiamoci nelle condizioni di un ragazzo che aveva solo quello!

Ho dovuto aspettare tre anni per un progetto, avendo un’azienda già esistente. Ho dovuto aprire un agriturismo dove avevo il laboratorio. I macchinari per la caseificazione sono chiusi in un container da due anni e mezzo. Ho dovuto fare una scelta a malincuore e ho dovuto necessariamente ridurre il numero degli animali, perché non avevo più il laboratorio dove lavorare certe quantità di latte. La cucina dell’agriturismo è diventata il laboratorio, ma per una produzione di autoconsumo dell’agriturismo e per una vendita diretta che è diventata l’unica possibile, perché l’etichetta non vale più. Per questo sono dovuta uscire dal Presidio. Non ho tolto le capre, non ho cambiato la mia produzione, ma non ho un laboratorio che mi consente di uscire con l’etichetta e di rimanere in un certo circuito.

Tutto questo va bene quando è limitato nel tempo. Tutto questo era ragionato, lo sapevo, non me lo sono trovato così di sorpresa, però pensavo che, nell’ambito di un percorso e in vista di un obiettivo finale, fosse solo un momento. Ma, quando ti rendi conto che questo momento va avanti per mesi e poi per anni, senza che poi mi sia portata a casa niente.

Oggi, se avessi le risorse economiche, con un progetto approvato, potrei realizzare la stalla e anche i nuovi laboratori. Ma, ora c’è stata un’impossibilità economica mia, di cui non devo assolutamente vergognarmi.

AS: Ti ringrazio per esserti aperta rispetto a tutte queste tematiche. Sono tematiche di cui poi tutti parlano al bar, però nessuno…

FM: Tutti lo sanno, non dobbiamo fare presente che esistono queste situazioni paradossali, perché questi problemi li conosciamo tutti quanti. Se diciamo che manca l’acqua nei nostri territori, lo so e lo sanno tutti quanti, però mi rendo conto che quello è un problema che non si può risolvere dall’oggi al domani. Richiede degli impegni economici pubblici forti, ma almeno che se ne ragioni! Ma, quando parliamo di quelle piccole cose che voglio fare a casa mia, nel mio terreno, cerchiamo di avere delle regole che siano chiare e che possano essere rispettate, mettendomi nelle condizioni di velocizzare le cose, di renderle semplici da realizzare. Altrimenti, ad un ventenne che vuole investire in questo territorio gli devo dire, però aspetta perché forse i primi cinque anni di vita dell’azienda tu li perderai tra le carte.

3 commenti

  1. Come ti capisco e condivido i tuoi drammi e le tue angosce, i tuoi dubbi, le tue rabbie, per quello che il grande totem BUROCRAZIA, fa passare a tutti quelli che si avventurano per le tortuose strade della pubbica amministrazion!!
    Della lotta a quella che è una vecchia PANDEMIA, io ne ho fatto una ragione di vita professionale a servizio degli agricoltori, specie allevatori, del Cilento riuniti i cooperativa. Quanti chilometri ho consumate per andare a Roma, Napoi, ecc, per sbrogliare le intrigatissime matasse rappresentate da decreti, permessi, varanti, bolii, collaudi, pagamenti ecc.; e poi giù nel Cilento profondo a rassicurare, sollevare da dubbi e angosce, chi aspettava di veder realizzato il programma, il progetto che con tanto coraggio aveva avviato. Il tempo però è galantuomo, per cui, purtroppo con tempi troppo lunghi, alla fine del tunnel ci sarà la luce. damme tiempo che te spertuso, dice il pappice….ecc.Auguri e complimenti

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  2. Brava, complimenti Filomena. Hai espresso il pensiero di molti di noi in modo molto chiaro e lungimirante. Io aggiungo che in un territorio come il nostro, dove sulla carta esistono aziende agricole del 70/80% degli abitanti ma che poi non si riescono a reperire prodotti (una domanda c’è la dobbiamo porgere) abbiamo le costiere balneare che nei mesi estivi vendono un Cilento contraffatto con il rischio di un effetto boomerang. Il mio pensiero sarebbe di premiare le aziende che producono e promuovono il territorio, perché grazie soprattutto a loro, il Cilento può fare la differenza.

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