Michele Esposito è un giovane di 28 anni di Caselle in Pittari che da 5 anni ha avviato un’azienda che si chiama Terra Mancina e che ha come scopo l’allevamento semi brado di maiali e la produzione di insaccati (soppressata, salami, salsicce e altri prodotti) senza conservanti chimici. Dal suo racconto emerge un percorso fatto di tanto lavoro, studio e passione.
Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Siamo con Michele Esposito, titolare di un’azienda che si chiama Terra Mancina e che sta a Caselle in Pittari. Michele è contemporaneamente un allevatore di maiali allo stato semi brado e un trasformatore della carne. Realizza una serie di insaccati. Michele vorrei che tu presentassi la tua storia, quali sono state le motivazioni per cui hai deciso di fare questa attività. Raccontaci come è strutturata, cominciando dal metodo di allevamento dei maiali che utilizzi. Tu fai circa una trentina di maiali maturi all’anno che sono allevati allo stato semi brado.
Michele Esposito (ME): Ho 28 anni e sono cinque anni che svolgo queste attività che sono nate da una passione per l’agricoltura, per la natura e per l’allevamento dei maiali, tutte cose che prima erano una tradizione familiare e che poi sono diventate un’attività lavorativa. L’allevamento dei maiali nasce da una tradizione più che familiare, da una tradizione della nostra comunità, del mio paese, perché a Caselle in Pittari c’è una grande cultura dei salumi fatti con i maiali allevati. Ancora oggi tutte le famiglie allevano e trasformano. Abbiamo una tradizione storica del paese nella trasformazione dei maiali in salumi,
Dopo la scuola, ho fatto delle esperienze lavorative in vari settori e poi mi sono reso conto che la mia strada era questa. Ho iniziato del 2017 ad allevare maiali per la vendita privata, cioè ingrassavo i maiali e quando era il periodo dicembre-gennaio li vendevo alle famiglie che, per questioni lavorative e di spazio non potevano allevare il maiale in proprio, però ci tenevano. Ancora adesso funziona questa cosa, ci tengono a fare i propri salumi. Quindi, io gli vendevo il maiale intero e loro se lo lavoravano. Poi, proprio l’anno scorso siamo riusciti, con molti sacrifici, ad aprire il nostro piccolo salumificio artigianale, un nostro piccolo laboratorio.
Ora, l’attività consiste nella allevare maiali e noi non abbiamo le scrofe, per cui non facciamo le riproduzioni. Però, acquistiamo i maialetti piccoli, li ingrassiamo, ci occupiamo della macellazione e poi della trasformazione in salumi tipici locali. Compriamo solo ed esclusivamente maiali nati in Italia. Poi, facciamo un allevamento semi brado, nel senso che i maiali stanno fuori tutta la giornata e li teniamo dentro soltanto nelle ore notturne per varie motivazioni. Facciamo un’alimentazione naturale con delle farine di mais, orzo e fave e nel periodo che va da fine ottobre fino a dicembre-gennaio mangiano anche ghiande e qualche cerro che si trova nel recinto dove passano tutta la giornata. Ci sono delle piante secolari di querce e quindi si cibano del frutto di queste piante.
Ingrassiamo non di più di una 30na di maiali all’anno, perché lavorando senza additivi e conservanti poi non riusciamo a garantire una continuità e soprattutto una qualità alta, perché noi lavoriamo solo le nostre carni, cioè solo i maiali che alleviamo noi e basta.
AS: Ho parlato con Settimio Forte di Massicelle di Montano Antilia che fa anche lui un allevamento semi brado dei maiali e poi la trasformazione. Anche lui alleva una trentina di maiali all’anno. Una delle tematiche che più l’angustiano è quella della macellazione. I maiali che vivono allo stato semi brado ad certo punto devono essere caricati sul camion e portati al macello di Buonabitacolo o di Montesano. Devono fare diverse decine di km e tutta l’operazione provoca un forte stress ali animali. Vorrei che tu riflettessi su questo, se è un problema anche per te. Un maiale stressato produce acidi lattici che rendono problematica la lavorazione della carne. Il rischio è quello di partire da una materia prima perfetta e poi trovarsi con una carne almeno in parte compromessa.
ME: Sono sincero, nel mio caso non ho questo problema, perché il trasporto lo faccio io con un mezzo autorizzato per trasportare i maiali al macello. Ho messo dei percorsi obbligati per cui il maiale deve andare per forza sul furgone. Forse Settimio è più lontano. Per me sono solo 15 minuti di tragitto e poi arrivati là c’è la competenza delle persone che ci lavorano e ci sono tutte le comodità. Io arrivo e il maiale viene macellato dopo due minuti. Non ho questo problema. Il problema che riscontro è che essendo semi bradi, è un po’ più difficile convogliarli verso il corridoio che poi mi consente di caricarli sul furgone. Un animale che è stato sempre dentro, lo giostri con molta più semplicità, invece un animale che sta fuori è come fosse diventato “selvatico”. E’ quello il problema che riscontro, ma non credo che crei troppo stress. Poi, nel mio caso parliamo di un viaggio di pochi chilometri.
AS: Tu sei fortunato che hai il Vallo di Diano vicino, però considera che nel Cilento centrale, andando verso il Monte Stella, l’unico macello è quello di Santa Maria di Castellabate, anche se per i maiali c’è pure quello di Tomeo a Perito. Chi sta nelle zone centrali del Cilento deve fare 60 chilometri su strade difficili.
ME: Mi rendo conto che i miei maiali dopo 5 km si mettono sdraiati e dormono…
AS: Vorrei chiederti se mi racconti un po’ la trasformazione. Dal 2020 hai questo laboratorio di lavorazione della carne, quindi la carne arriva dal macello e tu sei tutto attrezzato, hai le celle? Che tipo di prodotti fai, oltre al fresco?
ME: Il fresco non lo facciamo quasi mai. Da noi arrivano i maiali che comunque sono già stati nelle celle del macello e in più io li trattengo una giornata intera delle mie celle a meno 4 gradi. Poi, iniziamo con lo sfascio e principalmente facciamo salumi, carne trita che sarebbe la classica salsiccia, sia dolce sia piccante, e la soppressata del Cilento. Poi, soltanto nei periodi più freddi, da novembre a febbraio, facciamo capicolli, pancette sia aperte sia arrotolate, guanciale e la prosciuttella. Noi non facciamo prosciutto nè con l’osso nè senza. Ci leghiamo alle tradizioni del nostro paese e facciamo la prosciuttella che sarebbe tra un “culatello” che però non è il culo, ma un’altra parte anatomica, anche se si presenta come un culatello. E’ fatta con la parte centrale delle cosce del maiale. Per la salsiccia, le spezie che usiamo le produco io. Coltivo dei peperoni e avendo anche un laboratorio di trasformazione dei prodotti agricoli, faccio la polvere che poi utilizziamo nei nostri salumi. Aggiungo anche del finocchietto selvatico che da noi ce ne è in grande quantità.
AS: Poi, alcuni di questi prodotti hanno dei periodi di stagionatura? Sei attrezzato anche per questo?
ME: Sì, certo. Come stagionatura per forza di cose ci aiutiamo con le celle di asciugatura e poi di stagionatura. Mentre i pezzi grandi come il capicollo, la prosciuttella e il guanciale hanno una stagionatura naturale con dei tempi che sono molto lunghi. Per la prosciuttella parliamo di 12-13-14 mesi, dipende dalla grandezza del pezzo, mentre per gli altri siamo sui 6-7 mesi. La soppressata e le salsicce portano la stagionatura naturale che per la salsiccia arriva a 35-40 giorni. La soppressata sui 50-55 giorni. La soppressata viene tagliata a mano a cubetti, insomma la classica soppressata cilentana. Per la soppressata usiamo solo carne di filetto e solo prosciutto magro al 100% e poi aggiungiamo il grasso appunto tagliato a cubetti.
AS: Vorrei chiederti se ci sono giovani che come te fanno gli allevatori, ne conosci?
ME: Sì, ho parecchi amici, però operano più nel settore bovino che ne settore suino dove sono pochi. Il Cilento ha più una vocazione bovina e ovicaprina.
AS: Ti volevo chiedere come hai risolto il problema del mercato, di vendere i prodotti? Hai una clientela privata, di consumatori individuali oppure vendi anche a dei negozi e alla ristorazione?
ME: Per l’80% il nostro prodotto è venduto a privati del paese, perché qui abbiamo una tradizione centenaria del maiale. Anche il turista che viene a Caselle collega il territorio al salume come prima cosa. Poi, noi lavoriamo anche online con i social e spediamo in tutta Italia tramite corriere espresso. Il sito internet è in fase di costruzione, però tramite i canali social (Facebook) ci conoscono e quindi spediamo spesso fuori. Invece, a livello di rivenditori siamo presenti in pochissime realtà per due motivi. Il primo è che, come ho detto prima, noi non facciamo quantità grosse. Se io mi accordo con un negozio o con un ristorante – abbiamo pure qualche collaborazione con qualche ristorante – però sempre con pochi numeri, perché non siamo in grado di garantire grandi forniture. Lavorando come lavoriamo noi con pochi animali – pochi, ma buoni dico sempre io – non mi posso permettere di dare parola a chi poi deve rivendere e, quindi, deve avere a che fare con clienti e consumatori finali. Facciamo piccoli numeri collaborando con alcune attività ristorative e negozi, circa il 10% del nostro giro di affari.
AS: Una delle questioni che viene sempre raccontata dagli allevatori è l’enorme difficoltà che c’è a mettersi a norma rispetto a tutte le questioni igienico sanitarie e della sicurezza alimentare che hanno a che fare con l’ASL, in particolare. L’Hccp, l’autocontrollo e i laboratori a norma. Vorrei che tu dicessi due parole e raccontassi come hai affrontato questo problema.
ME: Mi hai fatto una bellissima domanda. Sia dal punto di vista zootecnico, mi riferisco alla stalla e all’allevamento sia a livello del laboratorio come Hccp, autocontrollo e tutto il resto, non è semplice. Questo va detto, perché è pure forse giusto che sia così, perché nel momento in cui parliamo di benessere animale e di trasformazione degli alimenti, i controlli, la pulizia e la messa a norma sono molto importanti. Non è facile, perché c’è un sacco di burocrazia, di incartamenti, però io almeno parlo per la mia esperienza, ho trovato a livello di ASL veterinaria delle persone molto disponibili, che mi hanno fatto capire come vanno fatte le cose. Poi, ci vuole pazienza nel senso che se tu devi aprire una stalla per ingrasso suini devi adempiere ad alcuni obblighi burocratici. Va fatto e non è semplice. Ci vuole molta pazienza e determinazione…
AS: La tua azienda sta nei pressi dell’inghiottitoio e sei riuscito ad avere i permessi per fare la stalla?
ME: Ho saltato questo passaggio, perché la stalla era già una struttura esistente, fatta prima del Parco. Quindi, non ho dovuto fare interventi edilizi, mentre nel salumificio non è stato semplice. Sul fatto dell’autocontrollo per il salumificio, secondo la mia esperienza, è molto importante avere una persona valida e competente, un consulente che segue l’autocontrollo, l’Hccp, che deve essere competente. Deve farti capire quello che va fatto, informarti perché poi soprattutto in questo periodo, tra CoVid, green pass, è un continuo aggiornamento. Ogni giorno c’è una cosa nuova. Bisogna avere una persona di cui ti puoi fidare a livello igienico-sanitario è molto importante. Questo è forse uno degli aspetti più importanti che chi fa questo mestiere deve avere. Il mio perito viene a fare una volta al mese il controllo dell’acqua potabile e dei banchi. E deve essere così. Parliamo di alimenti e con gli alimenti non si scherza.
AS: Vorrei che facessi un ragionamento rivolto alla tua generazione. Tu hai 28 anni e hai cominciato che ne avevi 23. Hai cominciato presto, certo avevi dietro una famiglia che aveva comunque una tradizione agricola, almeno dalla parte materna. Credo che ora ci sia un tema di trasformazione di famiglie come la tua in famiglie/aziende. Per i giovani il progetto azienda attira molto di più dell’autoconsumo. Questo vuol dire incorporare pezzi della filiera, a valle dell’allevamento, come la caseificazione, il laboratorio di trasformazione della carne, il punto vendita. Questo vuol dire investimento e formazione specifica e generale sulla gestione dell’azienda. Si apre anche un periodo molto selettivo caratterizzato da una intensificazione dei prezzi sulle materie prime (rialzo dei prezzi di acquisto di fieni, mangimi, etc.) e stagnazione e o riduzione dei prezzi di carne, latte, formaggio dovuta all’importazione da altre parti del mondo. Ma, anche dalla riduzione dei contributi pubblici. O si riesce a diventare impresa o si chiude o si deve lavorare nel sommerso. Inoltre, la strada può essere solo quella della qualificazione della connessione delle produzioni con il territorio, magari anche valorizzando delle razze locali – la cilentana, la podolica, la bagnolese, il maiale nero.
Se non c’è un ricambio generazionale il settore rischia di scomparire nel giro di pochi anni. Nel senso che ci sarai tu e pochi altri. Il grosso delle attività rischia di chiudere. Il tema è come accompagnare la transizione del maggior numero di imprese, facendo fare alle famiglie che le gestiscono un salto di qualità culturale e tecnico-gestionale.
Ci sarebbe da riflettere anche sul tema della cooperazione, anche perché magari questa nuova generazione, la tua, potrebbe essere un po più aperta rispetto a quella dei vostri genitori, Pensare che alcune cose si possono affrontare insieme. Penso soprattutto ai marchi di qualità o a delle forme consortili per gli acquisti di materie prime (semi, mangimi, fieni, eccetera) e la commercializzazione dei prodotti. Tutta cose che in altri territori ci sono da decenni. Basta pensare alla storia del parmigiano reggiano, dove c’è un disciplinare di alimentazione…
ME: La mia compagna e mio figlio sono di Bergamo. Stiamo insieme da 7 anni e conosco bene quel territorio. Là esistono le cooperazioni. Prima mi sono dimenticato di dirlo, se tengo quest’attività adesso è anche perché ho preso spunto, e non mi vergogno a dirlo, dalle piccole realtà imprenditoriali che si trovano al nord. Però, nello stesso tempo dico che noi abbiamo le stesse potenzialità che hanno avuto ed hanno loro, però loro sono riuscite a gestirle diversamente negli anni e questo è assodato.
Riguardo alla mia generazione, che posso dirti? Posso dirti che il ricambio generazionale non sta avvenendo. Questa è una cosa palese, che si nota, che si vede. Non parlo di me che dico sempre che per fare questo mestiere ci devi nascere, se no non lo fai. Però, vedo che la mia generazione – 28 anni – a livello lavorativo è più orientata ad un lavoro tipo internet, tipo lavori col computer, e sempre meno verso un lavoro che è a contatto con la natura, come l’agricoltura che è il nostro lavoro.
Questo che faccio io, lo dobbiamo dire, è un lavoro molto limitante. Tu non hai tempo mai, nel senso che tu sei impegnato 365 giorni all’anno. Va detto pure che sei impegnato, ma nello stesso tempo sei libero, perché se sai come organizzarti riesci ad avere pure del tempo libero. Però, devi essere tutti i giorni presente, a Natale a Pasqua, la sera e il giorno, piove o nevica, e tu devi essere là. E’ un lavoro che deve piacerti, ti deve appassionare, perché se tu vai a contare le ore che ci impieghi a fine mese e a fine anno, le cose a cui hai rinunciato e le cose che hai guadagnato, questo lavoro non lo fai nemmeno un mese e poi chiudi e cambi vita. Ci deve essere grande passione e determinazione. Personalmente, quando sto con i maiali all’aperto sto benissimo, di meno nel salumificio, se devo essere sincero, lo faccio perché è il mio lavoro.
Mi auguro che ci sia un ricambio generazionale, qualche mosca bianca ci sarà sicuramente già adesso. Però, l’augurio è sempre quello che, magari come facevano i nostri nonni che allevavano il maiale per la casa, possa nascere qualche nuova azienda di qualche giovane, anche a Caselle o in qualche altro paese e che, come me, possa allevare e vendere 30 maiali all’anno o avere 20-30 mucche con un piccolo caseificio con cui si può anche collaborare. Ci vuole un ricambio generazionale perché le persone che facevano queste attività sono anziane e devono riposarsi e non lavorare.
AS: Tu hai una compagna a Bergamo, vorrei chiederti se vedendo cosa succede sul territorio al nord, pensi che si potrebbe fare qualcosa da parte delle pubbliche amministrazioni per fornire dei servizi a chi fa impresa?
ME: Sì, questo l’ho notato. E’ uno degli aspetti che ho notato. Come hai detto tu, le istituzioni al nord sono molto a disposizione delle attività zootecniche e di trasformazione. Creano eventi, organizzano corsi di formazione. Nel loro caso sulla trasformazione dei formaggi delle brune alpine hanno dei consorzi. Qua questo purtroppo non avviene. Dico sempre, e spero di sbagliarmi e se mi sbaglio sono contento, che siamo non messi da parte, ma non agevolati come nel resto dell’Italia. Non abbiamo corsi di formazione che ci aiutano a crescere, ad essere informati. Al nord, organizzano ad esempio delle fiere della zootecnia. Qua ne fanno una all’anno a Caserta, mentre a Bergamo ce ne sta una al mese. Con le associazioni di settore che ti supportano. Su questo si deve lavorare sicuramente molto e ci vorrà del tempo. Speriamo.
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