Il ruolo delle macellerie all’interno della filiera zootecnica

Luigi Trama, gestore di una macelleria ad Ascea Marina, racconta la storia della sua attività familiare, evidenziando il suo rapporto con gli allevatori del territorio e i problemi che sarebbe necessario affrontare per dare gambe al settore zootecnico. Emerge un quadro articolato e ricco di spunti di riflessione sul funzionamento della filiera zootecnica in Cilento.

Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Siamo con Luigi Trama, proprietario di una macelleria con annesso anche un laboratorio per la produzione dei salumi nel comune di Ascea, in particolare ad Ascea Marina. Svolge questa attività da ormai tanti anni ed è quindi importante, nell’ambito della ricerca per il progetto Nobili Cilentani, ragionare anche con gli operatori che stanno lungo la filiera, quindi non solo con gli allevatori, ma anche con chi trasforma i prodotti, con chi fa macelleria, con chi fa ristorazione, e così via. Ti chiederei di raccontarci il tuo percorso e anche come ti sei organizzato per il tema dei rifornimenti delle carni e dicci qualcosa sui consumatori e il prodotto cosiddetto paesano.

Luigi Trama (LT): Sono originario di Rodio, frazione di Pisciotta, ma siamo qua ad Ascea Marina da tanti anni. Ci siamo trasferiti con la mia famiglia e gestisco la macelleria che mi ha tramandato mio padre. Ho una macelleria per la vendita di carne bovina, suina, ovicaprina, pollame, con un annesso laboratorio di salumi che sta in una località vicino, a Stampella, aperto da qualche annetto.

Parlando prima della macelleria ci tengo a dire che uso esclusivamente prodotti del territorio. Per territorio intendo che da Ascea e Casal Velino ci allunghiamo fino al Vallo di Diano, con tutto il comprensorio del Parco Nazionale del Cilento. Per i suini mi rifornisco principalmente da due aziende che sono del luogo. O macello ad Omignano da Tomei Turibio, che ha un macello con bollo CEE, oppure macello ad Atena Lucana, dove c’è un macello un poco più grande, anch’esso con tutti i crismi europei.

Mi rifornisco da questi contadini, da queste piccole del aziende territorio che allevano bovini. Faccio un lavoro mirato a portare questi prodotti ai consumatori. Ci vuole molto impegno. Sicuramente la mattina mi devo alzare ben presto perché c’è qualche difficoltà di distanze se vado ad Atena Lucana. Omignano per i suini è sicuramente molto più comodo, più vicino, quindi è molto più facile far arrivare il prodotto in macelleria. Ma, il mio lavoro implica anche scegliere gli animali, portarli al macello e poi farli arrivare ad Ascea Marina dove trasformo e vendo al pubblico. Il prodotto è ben accolto e viene consumato dai miei clienti.

Qualche piccola difficoltà incontro quando ci dobbiamo spostare con i bovini ad Atena Lucana. Comunque loro fanno un servizio di trasporto vivo e di riconsegna della carne macellata. Fanno un servizio anche di frollatura, se uno vuole frollare il bovino qualche giorno nelle loro strutture e quindi te la consegnano quando vuoi, 4-5 giorni dopo, a seconda delle scelte di ognuno.

AS: Quindi, tu hai una serie di riferimenti per quanto riguarda gli allevatori. Dei rapporti consolidati nel tempo. Con questi allevatori hai stabilito una relazione e hai un rapporto di fiducia. Quindi, ti metti d’accordo con loro sull’acquisto. C’è una programmazione sull’acquisto degli animali? Racconta come avviene questo rapporto, qual è il rapporto tra te che sei un macellaio con una macelleria che è un’attività commerciale e anche di trasformazione, e gli allevatori.

LT: C’è questo rapporto di amicizia e soprattutto di fiducia reciproca. Giustamente, per il bovino abbiamo un po’ di tempo in più, perché si deve essere al tempo giusto, deve essere maturo in tutte le sue forme e i suoi grassi per poter avere poi un buon prodotto finale. Il maiale non è che è più facile. ha le stesse caratteristiche. Sono poi competenze e scelte di ogni macellaio rispetto a quello che intende offrire alla propria clientela. I rapporti con i contadini sono frutto di rapporti continuativi, di fiducia nel tempo di tutte e due le parti, sia di chi alleva sia di chi compra per poi vendere al dettaglio. Io vado a comprare tranquillamente da degli allevatori anche da 20-30 anni. Prendo i loro prodotti con tranquillità senza nessun problema e non c’è nessun errore né di ingrasso né di vendita da parte mia.

AS: Sul territorio del Cilento, per quanto riguarda i bovini, c’è la podolica che è il bovino da carne storico del territorio. Ti volevo chiedere quali sono i problemi relativi al fatto che il manzo podolico arrivi ad essere maturo, ad essere ben formato? Poi, c’è anche il tema che la podolica è un animale atletico, nel senso che è abituato a camminare e a pascolare in forme semi brade. E’ un animale non vocato per un allevamento stanziale. Può anche essere rotondo e ben formato però non avere una carne che, come si dice, “si scioglie in bocca”. Il bovino podolico ha i muscoli. Ti volevo chiedere, come si affrontano queste problematiche? Tradizionalmente i bovini podolici erano animali molto piccoli e progressivamente, attraverso degli incroci con le marchigiane, romagnole e altre razze, negli ultimi anni sono aumentate di dimensioni, però forse, non essendo stata fatta una selezione vera e propria degli animali, non vengono perfettamente formati? Da quanto capisco se gli animali maturi non sono ben formati, può esserci qualche problema per i tagli. Mi spieghi come stanno le cose?

LT: Sì, la podolica era un animale piccolo e poi sono stati messi vari incroci e su questo bisogna chiedere agli allevatori. Nel tempo, noi macellai abbiamo sforzato questa situazione, perché la resa era molto minore, quindi la podolica non viaggiava bene al banco, a livello di lavorazione, non andava bene. Quindi, hanno fatto questi incroci con le marchigiane e quant’altro. Sicuramente, gli animali sono migliorati tantissimo. C’è qualcuno proprio nel comune di Ascea che adesso fa un pascolo semi brado con degli animali bellissimi ottenuti con degli incroci con queste razze sempre italiane, con razze più da carne. Quindi, hanno aumentato la massa muscolare, sono più muscolosi, più formosi, più belli, tondi e quindi si hanno più vantaggi alla vendita rispetto alla vecchia podolica che era un animale piccolo e che non era tanto commerciabile.

AS: Quindi, la podolica tradizionale non è tanto commerciabile, nel senso che effettivamente ci sono delle difficoltà anche rispetto al consumatore cilentano? Cioè, nonostante che sia un bovino locale, il consumatore ha qualche difficoltà a comprarlo?

LT: Ci può essere qualche difficoltà sicuramente, perché come dicevo sono animali più piccoli e quindi hanno dei pezzi di carne molto piccoli, un poco striminziti, anche se è sicuro che la qualità premia sempre. Proprio quest’anno, durante l’estate, di podoliche ne ho macellate una decina di un’azienda di Roscigno e di un’azienda di Auletta.

Volevo aggiungere che noi abbiamo un altro macello un poco più piccolo a Santa Maria di Castellabate. Questo per dire che non è che non ci sono proprio strutture in zona. Io mi trovo bene per questioni di vicinanza ad Atena Lucana, dato che le aziende con cui ho rapporti stabiliti di fornitura di animali.

AS: Tu tendi a comprare degli animali in comuni che stanno non lontani da Atena Lucana.

LT: Sì, mi trovo ad operare in quella zona anche per questo motivo. Il macello di Atena ha un servizio di trasporto vivo e morto. L’amico di Santa Maria, mi sembra che non faccia il vivo, ma nel tempo ci siamo sempre trovati bene con il signor Amedeo Marzone.

AS: Ti volevo chiedere cosa succede con le capre e i capretti? Tu tratti anche la carne di capra e di pecora, capretti ed agnelli. Quali sono i problemi? Perché quello che io capisco è che effettivamente la questione della macellazione incide sui costi e molto. Una situazione che sembra aver spinto molti allevatori addirittura a togliere gli animali oppure porta molti a vendere a prezzi anche molto bassi a dei grossisti che magari sono esterni, tipo napoletani, che si comprano questi animali e poi pensano loro a tutto il discorso della macellazione e commercializzazione. Allo stesso tempo, è molto difficile trovare nei menu della ristorazione cilentana, anche nella cosiddetta gastronomia di territorio, il capretto o l’agnello. A parte Natale e Pasqua, il resto dell’anno non si trovano. Queste tipologie di carne sono quasi scomparse dai menu, almeno io ho avuto questa sensazione frequentando abbastanza la ristorazione locale. Ragiona su queste tematiche.

LT: Non è che sono scomparse. Sono scelte dei ristoratori. Ci sono dei ristoratori che comunque usano sia il capretto sia l’agnello. Ci sono degli amici che glieli servo. Sicuramente, il capretto ha un periodo stretto, tra Natale e Pasqua, poi va un poco scemando perché il capretto è molto più difficile da allevare e la capra ha un periodo molto preciso per la gravidanza e il parto. L’agnello c’è sempre e io lo vendo sempre. Ci sono dei ristoratori che lo usano anche se sicuramente non in modo continuo.

Le capre non le usiamo come prima, però voglio dire che in estate e tra settembre ed ottobre, il periodo della capra io la uso sempre, la tengo. Ci sono degli amici, soprattutto i nostri emigranti, che la chiedono in modo ben preciso. Ad agosto ne fanno scorta per portarsela. Ecco, è un prodotto che viene consumato a Milano o a Torino utilizzando la tecnica del sottovuoto. Il costo della macellazione si abbatte in quei periodi con le quantità. Adesso, andare a macellare due caprette è un poco più difficile. Si fa uno sforzo, si fa pure questo sempre per mantenere delle qualità buone nell’attività, per mantenere un certo cliente con un prodotto nostro genuino.

AS: Dal punto di vista della commerciabilità, rispetto a un consumatore finale, la capra cilentana come viaggia? Viene comprata dai cilentani, dai consumatori locali, oppure c’è qualche difficoltà?

LT: Si, non come prima, ma viene usata la capra. Non ce ne sono tante come prima, le masserie di una volta non si vendono, ma ci sono. Piccoli numeri, ma ci sono. Dipende dalla macelleria che la vuole usare ed è sempre una questione di impegno. Certo è aumentato il costo. Certamente non bastano più 4-5 euro come costava una volta, qualche anno fa, perché poi i costi di macellazione ci sono. Adesso la capra non si compra più a buon mercato.

AS: Noi stiamo facendo un progetto dove il tema è quello di tornare a di valorizzare le pratiche legate al pascolo semi brado. Dal tuo punto di vista, sia come discorso professionale di macelleria sia soprattutto nel tuo rapporto con la clientela, riuscire a far capire la differenza tra la fettina che viene da un animale che ha vissuto almeno una parte della sua vita al pascolo semi brado e invece quella di un animale allevato in maniera intensiva, ossia la carne che si trova generalmente nei supermercati per intenderci, si riesce a farla capire questa differenza? C’è una cultura di un consumatore che in qualche misura è interessato a questo tipo di carne rispetto a quella intensiva?

LT: Sono tutti interessati a questo tipo di carne. C’è una grande cosa che all’inizio sembrava bruttissima, invece no, la tracciabilità. Io come tutti ho la tracciabilità esposta e nella tracciabilità c’è scritto tutto. C’è scritto chi alleva l’animale, dove è nato, dove è stato macellato e la macelleria che la vende, con nomi e cognomi. Tutto questo c’è sul certificato rilasciato dal macello. La tracciabilità c’è.

AS: Quindi, mi stai dicendo che il consumatore sta attento a questo tema della tracciabilità?

LT: Certamente. Ti assicuro che se giustamente chiedi quell’euro in più, e ci vuole in più, il consumatore non ha nessun problema a darti 15-16 euro al chilo per questi tipi di carne che hanno valore in più e un costo in più, per la trasformazione sì, ma proprio per il costo in più del contadino, al quale viene dato per mantenere la sua azienda, per mantenere attive queste piccole aziende. Io le premio per mantenerle attive in modo che ancora continuino a fare gli allevatori.

AS: Per concludere ti volevo chiedere se fai una riflessione, anche alla luce del fatto che con alcuni sei amico da anni e quindi li conosci bene, oltre che compragli gli animali, su cosa si potrebbe fare per dargli una mano, per fare in modo che questo settore possa camminare meno con i contributi e più con le gambe di vere e proprie aziende? Come fare per far diventare questi allevatori un po’ più imprenditori? E’ una cosa possibile, secondo te, oppure è una battaglia persa?

LT: No, non è una battaglia persa. Bisogna individuare chi vuole fare. Gli enti locali gli potrebbero dare un premio come si fa nella regione Veneto. In Veneto e forse in altre regioni, se arrivano a certi periodi di maturazione degli animali prendono un premio d’ingrasso. Bisogna chiedere agli allevatori cosa gli servirebbe. Tutto è ben accetto, dal trasporto alla riapertura del macello più vicino, dalla vicinanza di questo Parco Nazionale e della Comunità Montana che ora sono un poco nemici, non sono amici.

AS: A questo proposito, questa storia dei macelli. Mi ricordo per essere stato il Cilento negli anni ’90 che c’era questo macello a Castelnuovo Cilento, come ce n’erano altri in giro per il Cilento. Poi, progressivamente hanno chiuso tutti. C’è chi deve fare 60 o anche 120 km. E’ chiaro che questo è impegnativo. Non ci sono dei macelli zonali neanche nelle zone dove c’è un maggiore addensamento di allevatori.

LT: I comuni del Bussento sono molto più vicino all’area del Vallo di Diano e quindi ai macelli di Buonabitacolo, Montesano o Atena. Noi avevamo questo macello a Castelnuovo Cilento, però da anni è chiuso. Bisogna chiedere al sindaco Eros Lamaida come mai. C’era un consorzio di comuni.

AS: Se si vuole che questo questo settore sopravviva nei prossimi anni, con la riduzione dei contributi e con un mercato che diventa molto competitivo, occorre accompagnare le aziende. Queste aziende vanno sostenute, ci vogliono dei servizi…

LT: Il macello di Catelnuovo esiste, ma è chiuso da anni. Era un macello pubblico gestito privatamente. Non so per quale motivo sia stato chiuso, questo bisogna chiederlo al sindaco.

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