L’allevamento semi brado dei suini. Questioni aperte, nodi critici ed opportunità

Settimio Forte, allevatore di suini e trasformatore salumiere dell’azienda Fattoria Bio Coco’ di Massicelle, frazione del comune di Montano Antilia, parla del suo percorso e delle problematiche legate all’allevamento semi brado di maiali, alla lavorazione della carne senza l’uso di conservanti chimici e al rapporto tra allevatori e la ristorazione di territorio.

Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Siamo con Settimio Forte, un allevatore di maiali semi bradi con un’azienda di origine familiare multifunzionale che si chiama Fattoria Bio Cocò gestita insieme con la moglie. E’ un’azienda che ha all’interno un bel pezzo di filiera della produzione di carne suina perché c’è la parte di allevamento, ma c’è anche la parte di trasformazione realizzata all’interno di un laboratorio perfettamente a norma che esiste ormai da qualche anno. Pertanto, Settimio è in grado di allevare maiali, ma nello stesso tempo di produrre salami, prosciutti, lonze e soppressata cilentana. Spiegaci perché questa azienda si chiama Fattoria Bio Cocò e poi raccontaci la tua storia, la storia dell’azienda, della tua attività. Dicci come stai allevando questi maiali.

Settimio Forte (SF): Collaboro in modo principale con mia moglie nel mandare avanti la nostra azienda. Siamo nati nel 2005 come azienda avicunicola. Vengo da un settore diverso e abbiamo deciso di allevare polli e conigli in modo estensivo, in particolare polli a piumaggio rosso di una razza a lento accrescimento. A seguito della crisi di quel settore (aviaria e bassi prezzi), abbiamo iniziato questa avventura con i maiali. Avevamo un piccolo macello aziendale per gli avicunicoli, ma con questi prodotti dopo 4-5 anni e ci siamo resi conto che non riuscivamo ad andare avanti e quindi abbiamo iniziato l’avventura dei maiali. Siamo partiti nel 2010-2011 con un 2 maiali all’ingrasso e la scommessa è stata quella di di metterli al pascolo. Dopo qualche anno di prova abbiamo messo la prima scrofa e pian piano siamo cresciuti. Oggi, ci occupiamo esclusivamente dell’allevamento del maiale. Il nostro allevamento è a ciclo chiuso, cioè nascono e crescono da noi e l’unica cosa che andiamo a fare fuori è la macellazione. Dopo il maiale ritorna e viene trasformato nel nostro laboratorio.

La nostra è stata una scelta azzardata da un punto di vista dell’allevamento, perché è stata una delle prime esperienze con un allevamento allo stato semi brado sul maiale rosa. Non abbiamo il maiale nero quello di cui tutti erano in grado di dire che si sarebbe potuto allevare allo stato semi brado. Allevare in questo modo il maiale rosa era una scommessa. Noi l’abbiamo fatta e oggi posso dire che al 90% l’abbiamo vinta.

Per quanto riguarda la trasformazione abbiamo fatto un’altra scelta importante, quella di non usare conservanti. Noi trasformiamo solo con l’uso di sale e aromi naturali Questa è stata un’altra scommessa e siamo arrivati sul mercato. La nostra è una produzione di nicchia e il nostro prodotto di punta è la soppressata cilentana, quella come si faceva una volta, cioè solo con carne di prosciutto e di filetto, pulita in modo maniacale, con l’aggiunta di lardo tagliato a cubetti. Tutto fatto a mano. La conserviamo anche sotto sugna per gli amanti, per clienti particolari. Facciamo anche capicollo, pancetta e salsiccia. Produciamo anche la versione piccante della soppressata e della salsiccia. Siccome i nostri sono maiali pesanti che macello intorno ai 18-20 mesi di età, con un peso medio di 220 kg a peso morto, hanno un buon deposito di grasso. Per valorizzare il grasso da poco facciamo il cuore di filetto che in realtà è un filetto lardellato con il blocco del filetto di lombo con tutto il grasso di copertura del dorso.

AS: Mi scuso perché mi sono dimenticato di dire un paio di cose. Uno è che sei a Massicelle, frazione del comune di Montano Antilia…

SF: Io mi sono dimenticato di dire da dove viene il nome che è una cosa importante. Il nome dell’azienda agricola Fattoria Bio Cocò viene da mia figlia primogenita che con una delle prime parole chiamò Cocò un gallo e noi da lì abbiamo preso spunto per dare il nome all’azienda.

AS: L’altra cosa che mi ero dimenticato era che la tua azienda è una dei nove partner del progetto Nobili Cilentani.

SF: Sì. Colgo l’occasione per ricordare anche che io sono stato uno dei pochi a partecipare 15 anni fa ad un corso che è stato fatto già dal GAL Casacastra in collaborazione con la Fondazione Alario che fu uno dei primi corsi sull’agricoltura che ci avviava al mestiere di agricoltore. Forse sono uno dei pochi che ha poi portato avanti un’attività. Non so gli altri compagni che cosa fanno. Adesso ci troviamo a fare questa esperienza del progetto Nobili Cilentani che spero porti qualcosa di buono.

AS: Vorrei che tu parlassi un po’ di quest’esperienza, cioè di questo percorso di sperimentazione e di test sui suoi prodotti, con un ragionamento sull’alimentazione degli animali. Spiegaci qual è il percorso che stai facendo insieme con l’Università di Napoli con i Dipartimenti di Medicina Veterinaria e di Scienze Agrarie.

SF: Con i professori Sacchi, Infascelli, Tudisco e Rubino abbiamo iniziato a campionare. Ogni volta che macelliamo un maiale preleviamo un campione di carne e abbiamo fatto una sorta di catalogazione, annotando il peso, l’età, come era stato alimentato, dove è stato macellato e altre notizie tecniche come il ph della carne quando arriva dal macello. Questi campioni e dati sono stati trasferiti all’Università dove fanno delle analisi ad hoc per capire e per inquadrare la situazione attuale sul mio metodo di allevamento. Da qui partiremo per cercare di apportare dei miglioramenti laddove è possibile e laddove vi sono le criticità sia dal punto di vista dell’allevamento sia della macellazione che è il tasto dolente di tutta la filiera.

AS: Dopo ne parliamo del problema del macello, ora ti volevo chiedere come allevi questi maiali?

SF: Io ho un semi brado. Praticamente i miei maiali stanno al pascolo. Hanno degli spazi che gli permettono di muoversi liberamente e l’alimentazione base sono dei cereali e altre materie prime e in più, quando la natura lo permette, le ghiande e le castagne che sono un po’ un lusso. In ogni caso, ai miei maiali io gli do il tempo, cioè prima di 18-20 mesi i miei maiali non vengono macellati.

AS: Ragioniamo su questo tema della macellazione, perché sappiamo che in Cilento, tolto il macello di Santa Maria di Castellabate che funziona a singhiozzo, non ci sono macelli. Bisogna andare nel Vallo di Diano, a Buonabitacolo, a Montesano o ad Atena Lucana, a diverse decine di km. Spiegaci le problematiche che tu vivi quando devi macellare gli animali, anche rispetto al sistema di allevamento che tu hai.

SF: Le criticitá sono dovute al fatto che quando il maiale viene catturato non è abituato al chiuso e si agita. Poi, spostandolo sul camion, si fanno 60 km, vengono macellati in una grossa struttura di tipo industriale con problemi di carico animale. Tutta una serie di cose che fanno si che gli animali si stressano e tutti quelli del mestiere sanno che un animale stressato produce carni che non sono idonee alla trasformazione. Gli animali producono acido lattico e quindi le loro carni non si prestano alla trasformazione. Nel momento che noi andiamo a trasformare queste carni, soprattutto se facciamo una trasformazione al naturale, per cui non facciamo uso di nitrati, farine di latte e di tutti gli altri aiuti chimici che vengono normalmente utilizzati, si va incontro a una serie di problemi.

Poi, occorre considerare che quando quando si macellano grosse quantità di animali nei macelli c’è una carica batterica elevata. Più la carica batterica è elevata e più problemi si hanno nella trasformazione.

AS: Quindi, quale potrebbe essere una soluzione?

SF: La soluzione sarebbe immaginare il macello aziendale, però posso garantire dall’esperienza che ho avuto per quanto riguarda la macellazione dei polli, ci sono i costi di gestione, perché comunque ci andiamo a confrontare con le normative europee che prevedono una serie di cose che sono dei costi di gestione che vanno ad incidere sulla struttura dei costi di piccoli allevatori come lo sono io. Questi non li possono sopportare.

Per questo la soluzione potrebbe essere quella di piccoli macelli comunali o intercomunali o sul territorio dove nel raggio di 10-15 km ci potrebbe essere un macello con capienza limitata, ma dove si potrebbero affrontare e cercare di risolvere queste problematiche. Però, non ci dobbiamo illudere che 1 o 2 persone possono mantenere un macello, perché le realtà come le mie sono diventate mosche bianche.

AS: Però, questo problema del macello c’è anche per esempio per chi fa l’allevatore di capre e quindi ha i capretti o di pecora e quindi ha gli agnelli. Attualmente, buona parte di questa produzione viene svenduta viva a dei grossisti proprio per l’impegno della macellazione. Questi sono dei temi su cui riflettere. La ricerca è funzionale a far emergere queste criticità per cercare di sensibilizzare le pubbliche amministrazioni per poi fare delle cose in termini di fornitura di servizi alle imprese. Considerando le piccole dimensioni delle imprese, fare un macello aziendale o un caseificio aziendale, anche di piccole dimensioni, molto spesso non si giustifica come un investimento sostenibile. Però, se si servono più aziende in un territorio forse si riescono ad avere delle economie di scala che consentono di trovare un equilibrio economico. Ci vuole una massa critica minima se no altrimenti non regge. Questo però significa che va fatto un lavoro di messa insieme che crei un consenso da parte degli allevatori che devono decidere di collaborare nel far funzionare queste eventuali strutture che si possono creare. Si potrebbero riutilizzare anche delle strutture che erano state fatte negli anni passati e poi sono state abbandonate.

La sensazione è che stiamo andando verso una fase un po’ selettiva per il settore zootecnico perché i contributi che venivano dati dal PSR rispetto ai capi animali sono stati ridotti e saranno sempre meno…

SF: E’ cambiata la struttura del contributo e, per certi versi, anche per fortuna, perché alla fine i furbetti sono stati premiati, però chi ha investito veramente nelle attività ha rischiato di prendere poco oppure di non prendere proprio niente.

AS: In futuro, siccome questi soldi saranno sempre di meno, o sei in grado di diventare un’impresa in grado di stare sul mercato oppure chiudi l’attività. Anche le pubbliche amministrazioni devono fare un esame della situazione per capire e decidere se si vuole che su questo territorio, cioè sul Cilento e in particolare sul territorio del GAL, la zootecnia rimanga come un’attività importante da un punto di vista economico, di presidio del territorio. I tuoi maiali che stanno allo stato semi brado sono comunque un elemento positivo anche rispetto al presidio del territorio. Tutta la tua attività interagisce con l’ambiente del territorio e quindi svolge una funzione importante non solo perché produce dei maiali e della carne, ma anche perché appunto mantieni il territorio. Lo stesso vale per chi ha gli ovini, i caprini o i bovini allo stato semi brado, con la transumanza che assicura una presenza in montagna e in alta collina per il pascolo. Economia, presidio del territorio, mantenimento del paesaggio e della sua biodiversità terrestre. Credo che ci sia bisogno di una maggiore attenzione.

SF: Lo spero Noi siamo rimasti in pochi. Benissimamente siamo le sentinelle del territorio anche dal punto di vista sanitario. I controlli che noi abbiamo periodicamente, quasi tutti i giorni, per cui abbiamo il polso della situazione della situazione sanitaria. Se succede qualcosa noi ce ne accorgiamo subito sia dal un punto di vista di malattia sia dal punto di vista di altri tipi di problemi ambientali.

AS: Ti volevo chiedere del mercato. Questi tuoi prodotti, che sono eccezionali, come li vendi, come li commercializzi? Stai facendo una produzione di nicchia, quindi non hai dei quantitativi esuberanti, però vorrei capire come ti sei mosso per cercare di vendere questi prodotti. Hai anche un rapporto con la ristorazione locale?

SF: Faccio una produzione di nicchia con un prodotto che veramente è nato ed è stato trasformato sul territorio. L’85-90% della mia produzione va alla ristorazione. E’ una ristorazione particolare. Sono quei locali che hanno scelto di fare qualità qui e soprattutto si trovano all’interno e non sulla costa. Rispetto alla costa, nell’interno ci sono dei locali che stanno aperti tutto l’anno e cercano il prodotto di qualità tradizionale. Un prodotto diverso dalla grande distribuzione organizzata. Sono disposti a pagare di più, però hanno un prodotto diverso, perché nella produzione artigianale ogni singolo pezzo ha la sua storia. Nel momento che incontri il ristoratore che è disposto a condividere con te questa impostazione e soprattutto il rischio, perché sappiamo che sul prodotto industriale gli scarti sono dell’1-2%, mentre vi posso garantire che sui prodotti artigianali noi abbiamo il rischio di uno scarto del 20%. Quindi, devi trovare l’amante del prodotto tradizionale che è disposto a condividere questo rischio. Quando queste due persone si incontrano, allora si va avanti e si crea un rapporto di lavoro che poi rimane duraturo nel tempo. Questo succede con la ristorazione dell’interno. Sulla costa, ahimè, la nota è dolente. E’ difficle trovare qualcuno che è disposto a pagare di più e ad affrontare questo tipo di discorso. E’ difficile, molto difficile.

AS: Credo che tu abbia toccato un tasto importante ed interessante. Anche io mi sono fatto questa idea che la ristorazione dell’interno, dovendo lavorare tutto l’anno, ha intanto un approccio rispetto al cliente che è molto più di ospitalità, molto più di servizio…

SF: La questione è che sono quasi tutti locali a gestione familiare, come lo sono io. Dal momento che lo gestisce personalmente, la famiglia ha il polso della situazione di tutto quello che gli passa per mano. Sa la storia e sa come comportarsi, perché usare un prodotto senza conservanti bisogna trattarlo in modo diverso.

AS: Loro hanno anche il problema di fidelizzare la loro clientela che è fatta soprattutto di cilentani, che conoscono i prodotti del territorio e che quando vanno a mangiare al ristorante o mangiano bene oppure non ci tornano. Mentre invece i ristoranti della costa lavorano due mesi all’anno e sfruttano la posizione di rendita di stare sul mare dove ci sono milioni di turisti che arrivano a luglio e ad agosto e che comunque alla fine devono mangiare. I ristoranti, che siano buoni o siano, come si dice a Roma, delle sole, lavorano tutti. Alcuni possono dare la fregatura, tanto i turisti sono tanti e stanno solo per poco tempo, mentre a chi vive stabilmente sul territorio, se gli dai la fregatura quello non verrà mai più e ti distruggerà la reputazione con il passaparola.

SF: D’altra parte se milioni di persone mangiassero i nostri 10 grammi, noi produttori cilentani non saremmo in grado di soddisfare la clientela

AS: E’ un problema di qualificazione dell’offerta turistica. Se gli operatori della costa capissero che tu produci, come tanti altri in Cilento, dei prodotti di grande qualità, certo c’è un po’ di costo in più, ma poi sul singolo piatto l’incidenza è relativa, perché non è che stiamo a parlare di mettere chili di roba dentro un piatto. Stiamo parlando di fare un piatto, per esempio, un antipasto con delle fettine di soppressata e salami. Ho capito che la ristorazione della costa deve accumulare in due mesi tutti i soldi per vivere il resto dell’anno, però c’è un problema di qualificazione. La costa potrebbe anche fare un salto di qualità, diventare un più qualificata e avere una clientela più selezionata e con redditi più elevati.

SF: Chi presenta il piatto e tratta e lavora il prodotto artigianale deve essere consapevole che la mia soppressata non può stare aperta due ore, perché dopo quella cambia colore e caccia il sale. Questa cosa non succede con il prodotto industriale. Avendo a che fare con grossi quantitativi e grossi numeri, c’è anche questo aspetto. Il prodotto industriale lo lasci aperto e non succede niente.

Noi dobbiamo lavorare su una cosa, sul fatto che le persone non devono mangiare con gli occhi, perché il mio prodotto, se vai a tagliare una salsiccia senza conservanti di un maiale che ha 20-22 mesi naturalmente trovi una carne scura. Ti dicono: ma perché quella è rossa e questa è scura? E’ normale perché è un prodotto senza conservanti e l’emoglobina senza i nitrati si ossida. Il sangue si ossida e se non vuoi farlo ossidare ci devi mettere i conservanti. Se prendi una fetta di salame industriale è di quel rosso che ti guarda e non succede niente, invece con un prodotto senza conservanti, la fetta di salame mano a mano che ti guarda cambia colore. Il cliente che non è abituato, che non è stato educato, quella fetta di salame non la mangia. La stessa cosa avviene in macelleria, dove la gente vede un pezzo di carne scuro e dice che non lo vuole. L’intenditore si prende la carne scura, perché sa che quella carne è frullata. Prima bisogna fare il lavoro di educare i nostri figli a tornare a mangiare i prodotti tradizionali, perché se i bambini li abituiamo a mangiare sofficini o altri prodotti della grande distribuzione che sono teneri, la carne si stacca facilmente dall’osso, la carne si scioglie in bocca, ma quello non è sinonimo di qualità, quello è sinonimo di maiale che ha quattro o cinque mesi, che non hanno raggiunto una maturità delle carni. E’ morbida e si cucina subito, perché questo poi è l’altro problema, non c’è più il tempo da dedicare ai fornelli, perché quasi tutte le donne lavorano o fanno altre cose, per cui non si dedicano più a quel tempo che le nostre madri mettevano vicino ai fornelli. Un pezzo di carne che viene dall’animale al pascolo deve essere frollata, come ci vuole del tempo per fare un ragù. In un quarto d’ora è impossibile fare un buon ragù, ci vuole mezza giornata. Quindi, bisognerebbe tornare ad educare le persone alla preparazione e al consumo del cibo.

AS: Ti ringrazio per aver segnalato una serie di temi, dalla macellazione alla ristorazione, che mi sembrano molto importanti, come mi sembra importante il tema dell’educazione ad una corretta alimentazione che sia in grado di valorizzare materi prime eccezionali come la carne dei tuoi maiali allevati al pascolo semi brado.

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