Paesaggio e zootecnia in Cilento. La strada stretta tra le determinanti geomorfologiche e la lunga durata storica

Camillo Crocamo, architetto e storico del paesaggio rurale cilentano, riflette sui vincoli geomorfologici e i processi di lunga durata storica che hanno contribuito a plasmare il paesaggio in Cilento e a definire le caratteristiche della zootecnia nell’ambito dell’attività agricola del territorio. Proprio per queste sue caratteristiche il Cilento è un territorio vocato soprattutto per capre e pecore, molto meno per i bovini.

Alessandro Scassellati (AS): salve a tutti oggi siamo con l’architetto Camillo Crocamo, una persona speciale, uno studioso, un attento camminatore, conoscitore del territorio, il massimo esperto vivente della storia del paesaggio cilentano. Ha censito e documentato tutte le architetture rurali, tutte le opere che sono state fatte in ambito rurale. Ci sono una serie di volumi pubblicati dall’Ente Parco che documentano il lavoro fatto da Camillo, con analisi e tantissime foto, alcune fatte anche ultimamente con il drone che permettono di vedere i borghi e i manufatti rurali dall’alto. Ci sono analisi delle diverse strutture. Insomma, una persona eccezionale e con lui vogliamo ragionare sul tema della zootecnia nelle interrelazioni che storicamente sono esistite e che ancora oggi connotano buona parte del territorio del Cilento. Ovviamente, in particolare ragioniamo sul territorio del GAL Casacastra, focalizzando l’attenzione sull’interazione tra l’opera dell’uomo e gli elementi naturali che sono poi dati dalla conformazione geologica, dalla disponibilità di acqua, dalle diverse varietà di vegetazione e di fauna che sono presenti in Cilento, e la zootecnia. Vogliamo capire che ruolo ha avuto e ha nella costruzione del paesaggio cilentano la zootecnia, anche in funzione di tutta una serie di problematiche di cui ragioneremo con Camillo riguardo alla disponibilità di acqua e di pascoli, ossia di quelli che sono gli elementi fondamentali di una zootecnia del tipo che vogliamo. Una zootecnia dove il pascolo ha un ruolo fondamentale per la nutrizione e il benessere degli animali.

Camillo ti chiederei di farci un quadro delle diverse caratteristiche del paesaggio e degli elementi che stanno dietro il paesaggio, che lo condizionano e lo hanno storicamente condizionato nel territorio del GAL.

Camillo Crocamo (CC): Inizio dalla descrizione di quello che è il territorio. Questo fondamentalmente è diviso in due aree: l’area del flysch e l’area del calcare. L’area del flysch, interessa tutta la parte soprattutto a nord del Cilento – le Comunità Montane del Gelbison Cervati, l’Alento Monte Stella -, mentre l’area del calcare interessa la Comunità Montana del Lambro, Mingardo Bussento e Alburni, con il Monte Cervati. La differenza fondamentale è che nel flysch l’idrografia è diffusa in quanto ci troviamo di fronte a terreni impermeabili. Nell’area del calcare i terreni sono permeabili e quindi l’acqua penetra nelle viscere della terra e fuoriesce solo in determinati punti. Questo condiziona la vegetazione, condiziona il pascolo, condiziona la vita in superficie. Soprattutto i pascoli erano organizzati in funzione di queste caratteristiche.

Un altro aspetto fondamentale è che le l’area di cui noi stiamo parlando è compresa tra le montagne e il mare. In questa fascia alquanto ristretta, coesistono tutte le fasce tipiche vegetazionali del Mediterraneo, dal laurentum al castanetum e alla faggeta. Quindi, sia il pascolo, la zootecnia, che l’agricoltura, ma soprattutto l’agricoltura è stata organizzata fin dall’antichità in funzione di questa particolare disposizione delle fasce vegetazionali. Le popolazioni locali, per ricercare le proprie fonti di sostentamento, si sono adattate a questa disposizione. Nella zootecnia si pratica la transumanza, cioè durante l’estate gli animali vengono portati in montagna per poi trasferirli durante l’inverno nel fondovalle. Così, le popolazioni durante l’estate coltivavano in montagna e collina, mentre durante l’inverno coltivavano anche nelle zone basse, perché in montagna e collina molto spesso le condizioni climatiche non lo consentivano. Quindi, c’era questo continuo interscambio tra collina, montagna e fondovalle. Tutte le proprietà erano organizzate in funzione di queste fasce vegetazionali.

AS: Ricordiamo che stiamo parlando di un territorio in cui che nel giro di 20-25 km si passa dal livello del mare ai quasi 1.900 metri del Cervati, con una orografia piuttosto mossa.

CC: Nell’arco della stessa giornata si può passare dal mare alla montagna.

AS: Perfetto. Questo facilita questa agricoltura verticale e le proprietà sono organizzate con questa logica.

CC: Non si costituiscono mai delle aziende unitarie omogenee. Si è proprietari di più appezzamenti di terra disposti in maniera tale da utilizzare quanto più è possibile aree diverse, posizionate in fasce altimetriche diverse per poter avere nella silva la possibilità di allevare qualche capo di bestiame, nell’ager di coltivare e quindi di avere a disposizione olio, di avere i vigneti, di avere ortaggi e cereali, mentre nel bosco di procurarsi la legna. Tutta la comunità era organizzata a monte  e a valle. Il principio fondamentale che regolava il rapporto anche nelle divisioni ereditarie veniva effettuato con questo criterio, quello di assegnare ad ogni componente della famiglia un pezzo di silva e un’area nell’ager, mentre per quanto riguarda il bosco c’era un utilizzo in forma comunitaria in quanto questo era gravato dagli usi civici. Ma è da tener presente che le piccole proprietà realizzavano questa organizzazione a monte e a valle dell’abitato. Poiché i borghi storici sono tutti disposti tra i 500 e i 600 metri, avevano dei terreni a monte e dei terreni a valle. Nei terreni a valle, come nel caso di Novi Velia, venivano coltivati nel periodo invernale e primaverile.

I grandi proprietari terrieri, invece, avevano grandi appezzamenti di terreno sia intorno al paese e sia nel fondovalle, dove coltivavano grano, avevano vigneti e oliveti e avevano le stalle con i bovini stanziali, ma questo si è verificato a partire dal Settecento in poi, perché prima non esisteva l’allevamento stanziale. I campi erano aperti al pascolo…

AS: E forse prima parlavamo soprattutto di ovini e caprini, più che di bovini.

CC: Prima esisteva soltanto l’allevamento con la transumanza. Allevamenti stanziali di ovini, caprini e bovini non esistevano. L’allevamento stanziale si è incominciato a diffondere nella prima metà del Settecento. Sono state realizzate le prima stalle soprattutto per avere a disposizione il letame per poter concimare la terra. In quel periodo si è cominciato anche a recintare i campi, perché prima i campi erano aperti al pascolo. Con la stabulazione fissa invece si è iniziato sia a coltivare in forma più razionale i terreni sia a realizzare i primi prati falciabili per l’allevamento dei bovini, mentre per quanto riguarda le pecore e le capre, l’allevamento era molto più diffuso, perché utilizzavano sia i terreni agricoli che erano aperti al pascolo e sia i terreni in montagna, nella bassa montagna, perché ci sono sempre i pascoli.

Ora, la differenza tra le zone del flysch e quelle del calcare. Soprattutto quelle del Bussento nella zona di Casaletto Spartano, Morigerati, Tortorella, Caselle, sono aree dove la presenza di acqua è soltanto lungo il fiume Bussento. Sono prevalentemente zone asciutte per cui era sviluppato soltanto l’allevamento degli ovini. In quell’area non si pascolavano i bovini. Si portavano in montagna dove c’era l’acqua e poi durante l’inverno le facevano scendere nel fondovalle lungo il Bussento e il Mingardo dove c’era l’acqua. Adesso invece l’allevamento non tiene conto più di questi principi. Viene svolto dappertutto. Quando ci sono carenze d’acqua è ovvio che ne soffrono, soprattutto perché i pascoli sono asciutti. E’ un pascolo idoneo all’allevamento degli ovini non dei bovini. Da tener presente che storicamente non si allevavano bovini. Nelle aree invece del Gelbison, del flysch, è diverso perché la presenza dell’acqua è diffusa su tutto il territorio.

Gli allevatori di Torre Orsaia e del Bussento in estate portano le mucche ai piedi del Cervati dove i pascoli sono migliori e sono pianeggianti, sono più ricchi di acqua. Ci sono varie sorgenti e vari piccoli corsi d’acqua ricchi di calcio. Queste mucche sono molto più sviluppate rispetto alle podoliche che pascolano sul Gelbison dove i territori sono molto più accidentati, i pascoli sono molto limitati. C’è quindi una grossa differenza proprio nella struttura degli animali, tra le podoliche del flysch e le podoliche delle aree calcaree. Quelli del flysch sono capi che vagabondano per tutta la montagna alla ricerca di erba e quindi camminano molto di più alla ricerca del cibo, mentre quelli delle aree calcaree sono circoscritti in aree ben precise, soltanto che adesso sono andati aumentando di numero e quindi vanno in sofferenza.

AS: Questo tema della sofferenza sta emergendo in questo nostro lavoro di ricerca. Sono aumentati i capi bovini e c’è il rischio di un sovra pascolamento che ha degli effetti dannosi.

CC: In altre aree l’alimentazione viene integrata con il fieno, con i prati falciabili delle zone basse del fondovalle. Non si può fare solo affidamento al pascolo di montagna per tre-quattro mesi all’anno. Ci vogliono dei prati di fondovalle, ma soprattutto nell’area del Bussento l’acqua scarseggia e quindi fare dei prati per soddisfare le necessità penso che sia molto costoso, non conviene.

AS: Infatti, negli ultimi tempi molti di quelli che si sono avvicinati all’allevamento dei bovini, perché il numero dei capi era aumentato soprattutto grazie ai contributi del PSR pensati per promuovere il benessere animale e la valorizzazione delle razze autoctone come la podolica, la capra cilentana e la pecora bagnolese. Adesso gli allevatori devono fare i conti col fatto che c’è una riduzione dei contributi e dall’altra parte devono comprare, quindi integrare con fieni comprati e anche con i mangimi. Questo diventa tutto molto oneroso.

CC: Si è verificato che per i contributi pubblici conviene allevare i bovini a discapito delle pecore e delle capre, ma le aree pascolive in montagna si sono ridotte perché si stanno inselvatichendo. Venendo meno le capre in montagna i pascoli soffrono quindi si riducono ogni anno sempre di più.

AS: Essendo terreni demaniali in un’area parco, queste aree non possono essere più di tanto modificate per fare dei miglioramenti fondiari.

CC: Però le capre e le pecore possono pascolare e possono svolgere una funzione molto importante, cosa che non svolgono più perché si è ridotto di molto il loro numero. E’ aumentato il numero dei bovini perché c’è un maggiore incentivo. Non c’è nessuna pianificazione a livello zonale di questo carico di animali e di quali animali.

AS: I comuni e gli enti gestori dei pascoli dovrebbero fare questo PAF, piano di assestamento forestale, che dovrebbe essere appunto lo strumento di programmazione rispetto al carico degli animali adulti (UBA) per ettaro. Sono stati introdotti dei parametri più restrittivi, per cui stanno riducendo il numero degli animali che possono accedere ai terreni dati in fida pascolo. Negli anni scorsi c’era ancora un’interpretazione più lasca, adesso c’è un’interpretazione con parametri più bassi. Molti allevatori si trovano in difficoltà perché magari hanno aumentato il numero dei capi boviini.

CC: Sui terreni e sul territorio non vengono fatti investimenti di alcun genere né per quanto riguarda le risorse idriche e né per quanto riguarda il miglioramento dei pascoli, né viene effettuata la rotazione dei pascoli. Non c’è nessun intervento e ovviamente gli animali pascolando sempre sullo stesso luogo favoriscono soltanto la crescita delle specie infestanti.

AS: Questo infatti è uno dei problemi su cui stiamo cercando di ragionare all’interno di questa ricerca.

CC: E’ un problema che si può affrontare lasciando per qualche anno i terreni liberi dal pascolo, ma soprattutto facendo dei miglioramenti, perché soprattutto l’urea dei bovini facilita la crescita delle erbe infestanti.

Poi, l’altro aspetto che è venuto a mancare è soprattutto quello degli oliveti. L’apporto che davano questi animali, gli animali minuti, all’uliveto perché provvedevano a tenerlo pulito, nello stesso momento lo concimavano. Era una pratica comune in tutti i territori quella di utilizzare le mandrie di pecore e capre che si chiudevano la notte, soprattutto nei periodi primaverili intorno ad una pianta di ulivo. Così, si concimavano le piante. Oggi, questo sia negli oliveti sia nei pascoli non c’è l’apporto di materiale nutriente per le piante. Si dovrebbe intensificare di più l’allevamento di ovini e caprini che di bovini. Il nostro non è un terreno adatto per l’allevamento dei bovini.

AS: Nonostante che la podolica sia una mucca molto flessibile.

CC: Ha più le caratteristiche di una capra che di una mucca. Ma, le vere podoliche erano piccole, molto più piccole degli animali che adesso pascolano in montagna. Questi sono quattro volte più grandi e quindi mangiano di più, bevono di più. La razza è stata modificata con gli incroci. Adesso si vedono poche podoliche pascolare in montagna, sono più delle mucche di provenienza esterna, molto più grandi di stazza.

AS: A proposito delle pecore e delle capre, fai un ragionamento sul Monte Bulgheria che è una cosa un po’ particolare del Cilento anche dal punto di vista geologico e poi è soprattutto particolare perché se uno ci va sopra si rende conto che è come stare in un enorme luogo pieno di muretti a secco, jazzi e cisterne. Quel monte è stato per secoli utilizzato ai fini dell’allevamento di pecore e capre. Raccontaci la storia da questo Monte Bulgheria.

CC: Il Monte Bulgaria, soprattutto il versante tra San Giovanni a Piro e Camerota Marina – Licusati è completamente percorso da questi muretti a secco. Sono km e km di muro a secco che caratterizzano interamente l’area. Era un’area piantumata di ulivi, con piante da frutto soltanto ai bordi. I pochi terrazzamenti, ma soprattutto i muretti a secco erano l’occasione per spietrare il terreno, perché il terreno era completamente roccioso. Far sì che tra questi muretti si formasse un minimo di terreno per consentire la vegetazione. Ora, in tutta questa area, più che sorgenti c’erano delle piccole depressioni dove si si raccoglieva dell’acqua e con quest’acqua cercavano di abbeverare gli animali. Poi, c’erano anche delle piccole sorgenti, come c’erano molte cisterne. Quindi, l’acqua piovana veniva convogliata in queste cisterne e poi abbeveravano gli animali. Ma, il clima oggi oltretutto è cambiato, ci sono estati molto più calde e piove molto di meno, perciò si è andati in sofferenza, oltre al fatto che le cisterne sono scomparse. Queste depressioni naturali dove si raccoglieva l’acqua non sono state più utilizzate. Sono rimaste semi abbandonate. In ogni caso era un territorio adatto solo al pascolo di pecore e capre, tanto è vero che tutti gli jazzi che sono in montagna, ho avuto modo di rilevare che ospitavano fino a 500 animali, ma erano solo per pecore e capre. Ogni ricovero aveva la sua cisterna con l’abbeveratoio. Bisogna tenere presente che il clima è cambiato e quindi abbiamo estati sono molto più lunghe e siccitose.

AS: A questo proposito, quest’estate molti allevatori che avevano gli animali in montagna o in alta collina hanno dovuto cercare di portare dell’acqua. Non c’era acqua. Questo è un problema che ormai è evidente. Su questo forse occorre anche intervenire se si vuole che si possa mantenere questo sistema della transumanza estiva. Bisogna lavorare per costruire una rete di abbeveratoi.

CC: Non è una questione di rete di abbeveratoi, la questione è che non c’è l’acqua. Come si fa a portare l’acqua in determinate aree se l’acqua non c’è?

AS: Bisogna accumularla quando c’è, facendo dei piccoli laghetti, favorendo delle forme anche di conservazione dell’acqua. Tu sai bene l’importanza che avevano, per esempio, le peschiere in giro per il Cilento. Certo erano più legate al tema dall’agricoltura, alla coltivazione degli orti.

CC: Erano vasche di 30-40 metri cubi, per irrigare un orto sotto casa, ma non per abbeverare gli animali. E’ che in ogni caso ci si ostina ad allevare i bovini. Queste razze che richiedono molte attenzioni e cure e che sono molto più delicate rispetto alla podolica tradizionale. Questi sono gli inconvenienti perché il territorio non è adatto per l’allevamento dei bovini se non in determinate aree, non in maniera diffusa come è oggi. Questo è il mio parere.

AS: Per concludere, al di là di questa tua affermazione apodittica sui bovini, ragioniamo sugli ovini e sui caprini. Che prospettive ci possono essere da questo punto di vista, proprio per una loro ripresa, soprattutto nel rapporto con l’ambiente, perché poi c’è tutto il tema del mercato.

CC: Conoscendo il territorio penso che sia più vocato per gli ovini che per i bovini. Per razze molto rustiche, non razze da latte a tutti costi, neanche da lana se è per questo, ma razze rustiche che sopportano bene il clima e le condizioni orografiche, tenendo conto che si cibano di di erbe asciutte e non di erba fresca e quindi producono un latte diverso… Prima esisteva un connubio, un’integrazione tra allevamento e agricoltura. Questo rapporto è venuto meno e quindi l’allevamento degli ovini non svolge nessuna funzione nel settore dell’agricoltura, mentre prima era fondamentale. Adesso preferiscono acquistare il concime chimico anziché andare a prendere il letame delle pecore e delle capre. Agricoltura e zootecnia sono due fatti completamente staccati. Bisognerebbe trovare l’integrazione tra i sistemi così si possono migliorare soprattutto gli oliveti e anche i pascoli stessi con il supporto del concime da letame naturale, mentre adesso i pascoli sono abbandonati totalmente al loro destino.

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