Le problematiche degli allevatori cilentani analizzate con la passione del sindacalista di territorio

Angelo Forastiero, segretario provinciale di Agricoltura E Liberi Agricoltori, parla con la passione e la competenza del sindacalista di grande esperienza delle problematiche dei piccoli allevatori cilentani. Emerge un quadro con elementi positivi: l’affacciarsi di una nuova generazione di giovani che cerca di trasformare le attività familiari in aziende. Un processo che le associazioni di rappresentanza e le istituzioni devono accompagnare con attenzione e sensibilità in una logica di sviluppo locale.

Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Oggi, siamo con Angelo Forastiero che è il presidente provinciale di Agricoltura E Liberi Agricoltori. Con Angelo ragioniamo soprattutto sulla parte del territorio del GAL che afferisce al Bussento e su quella tra San Giovanni a Piro e Camerota, dove abbiamo notato guardando i dati che in questi anni sono cresciuti il numero dei capi. Vorremmo capire e ragionare con Angelo su quali sono le dinamiche che stanno dietro a questa crescita dei numeri, perché i numeri possono significare tante cose.

Vogliamo capire se oltre alla crescita dei numeri c’è anche una crescita delle aziende, se c’è una trasformazione degli allevamenti di tipo tradizionale da una gestione familiare a forme aziendali. Vorremmo anche ragionare su qualche linea d’azione e di intervento che si può cercare di mettere in piedi.

Ricordo anche che il nostro progetto è portatore del Metodo Nobile che riguarda soprattutto la parte di benessere animale e di alimentazione degli animali, però ci sono anche altre cose che vogliamo portare avanti con la ricerca con gli allevatori per cercare di individuare degli interventi da poter mettere campo, anche con una progettualità nuova, proprio per favorire questa trasformazione, questo consolidamento del settore dell’allevamento.

Angelo Forastiero (AF): Grazie Alessandro e salve a tutti. Sono Angelo Forastiero e sono il presidente provinciale di Agricoltura E Liberi Agricoltori di Salerno. Vorrei fare una breve premessa rispetto a quello che Alessandro mi ha chiesto, per chiarire il nostro obiettivo come associazione. Noi vogliamo rappresentare le aziende agricole e zootecniche e promuovere e valorizzare lo sviluppo del mondo rurale in tutti i suoi aspetti, produttivi, territoriali, sociali, culturali ed ambientali. Proprio tra queste finalità rientrano anche queste iniziative rivolte alla conservazione delle razze in via di estinzione e la loro valorizzazione in termini sociali, culturali e ambientali.

Oggi, parliamo di questo progetto Nobili Cilentani, che in una prima fase, quando sono stato interpellato dagli autori e dal presidente della Comunità Montana, l’avvocato Vincenzo Speranza, mi ha subito colpito, perché si tratta di un progetto che parte dal territorio e questo è molto importante, perché ha una ricaduta diretta sul settore della zootecnia.

Il comprensorio è quello del GAL Casacastra che comprende le valli del Lambro, Mingardo e Bussento, dove i comuni sono solo piccoli, ma diversi tra di loro sia per composizione, ma anche per orografia. Consideriamo che abbiamo un’area che parte dalla zona del mare fino ad arrivare ai quasi 1.900 metri del monte Cervati, per cui abbiamo due aree distinte il Lambro-Mingardo e il Bussento che sono effettivamente delle aree con caratteristiche diverse tra di loro. Se pensiamo alla vegetazione che incontriamo man mano che saliamo di altitudine, c’è molta biodiversità, per cui anche l’allevamento in queste aree si va a diversificare, ma il territorio è molto adatto per l’allevamento. E’ l’habitat naturale dell’allevamento bovino e ovicaprino, soprattutto in alta montagna per l’allevamento bovino e, man mano, nelle aree collinari a scendere giù verso valle e verso il mare per l’allevamento ovicaprino.

Se guardiamo le condizioni degli allevamenti presenti in queste aree, possiamo dire che sono caratterizzati da una gestione familiare, da una conduzione diretta della famiglia. Negli anni c’è stata l’emigrazione proprio per mancanza di lavoro, per cui anche l’azienda familiare ha subito questa emigrazione dei figli.

In effetti, l’allevamento era un pochettino ritornato indietro in in termini di numeri, ma negli ultimi 15-20 anni c’è stata un’attenzione maggiore, c’è stata una sorta di interesse forse un po dovuto anche ai Piani di sviluppo rurale dell’ Unione Europea che hanno finanziato diverse misure, soprattutto la compensazione al reddito agricolo. Poi, sono nate anche queste misure volte a sensibilizzare e a conservare la biodiversità animale presente sul territorio. Biodiversità che nell’ambito dell’allevamento bovino riguarda la razza podolica, che si adatta bene soprattutto in montagna dove trova il pascolo necessario per il proprio sostentamento, mentre a valle troviamo l’allevamento ovicaprino con la pecora bagnolese, una razza in via d’estinzione che si sta recuperando molto, e soprattutto abbiamo una razza autoctona che è la capra cilentana. Una capra cilentana che trova in questi habitat nell’ambito del territorio del Lambro, Mingardo e Bussento una perfetta collocazione, perché trova tutte le tipologie di biodiversità, dai cespugli della macchia mediterranea ai pascoli naturali. Per cui, durante tutto il periodo dell’anno trova da mangiare nel pascolo allo stato brado. Stanno otto-dieci ore al pascolo durante il periodo del latte. Dopo la prima mungitura della mattina partono per il pascolo e rientrano la sera per la seconda mungitura. Stanno, quindi, molto al pascolo.

Oltre a questo ci sono stati anche gli incentivi per il recupero delle razze in estinzione che hanno aiutato le aziende, perché poi i terreni sono per la maggior parte sono concessi in aiuto di fida pascolo. Pochi sono i terreni in proprietà e anche quelli che ci sono non rispettano tante volte le condizioni necessarie per far sì che possano essere utilizzati per i finanziamenti comunitari. Questo però fino a 10 15 anni fa.

Negli ultimi cinque anni questa situazione è cambiata, vuoi forse per il problema di trovare un lavoro all’esterno del territorio. E’ cambiato il metodo di gestione, perché in effetti figli e nipoti hanno ripreso ad assumere un ruolo nell’ambito della gestione diretta dell’azienda. I giovani che sono sul territorio, vista l’anzianità dei padri, sono subentrati nell’azienda. Ci sono dei giovani che sono andati anche a studiare. Non hanno necessariamente fatto studi agronomici o ambientali, ci sono anche avvocati, biologi e altri di varia estrazione culturale. Hanno intrapreso questa attività non in maniera familiare, ma come attività di impresa, puntando sulla produttività e sulla produzione, e assumendo il carattere della multifunzionalità, cioè cercando di diversificare le attività e i settori di produzione. Questo ha avuto alcuni risvolti positivi sulle colture agrarie, soprattutto sugli ulivi e vigneti, ma anche sul grano con una ripresa della produzione di grano antico. C’è stata una grossa rivoluzione, a mio avviso, nel territorio del Bussento. Viceversa nel Lambro e Mingardo, che è una zona non collinare, ma soprattutto montuosa, adatta più alla pastorizia degli ovini, si sono sviluppati più gli ovini

Nella zona di Sanza, Casaletto, Caselle e Tortorella, ma anche diciamo nella parte Santa Marina Policastro, ci sono state delle iniziative veramente lodevoli di ragazzi che veramente hanno intrapreso l’impresa da reddito. Questo è stato molto positivo e ha fatto da traino anche per gli allevamenti, perché quello che si è prodotto come foraggi poi è stato rivenduto alle aziende zootecniche che nei momenti in cui c’è poco pascolo cercano di integrare anche con l’acquisto dei foraggi prodotti da queste nuove aziende.

AS: Quindi un’integrazione tra chi fa propriamente agricoltura e chi invece fa zootecnia.

AF: Esattamente. Ti do’ un dato. Nella regione Campania tre anni fa, perché sono passati tre anni, c’è  stato un bando per il primo insediamento, ancora in scorrimento graduatoria, per circa 1600-1700 aziende. Attualmente, solo 700-800 sono state finanziate, gli altri sono tutti in attesa. In termini di giovani sotto ai 40 anni, la regione Campania ha una forte incidenza di ritorno nell’ambito dell’agricoltura. Nel Bussento, almeno per quanto riguarda la nostra associazione, sono stati diversi i ragazzi/e che si sono insediati/e.

Ma, ti dico di più. Sono stati diversi anche i ragazzi che hanno deciso di dedicarsi al recupero di queste razze animali autoctone, anche perché queste razze sono quelle che si adattano bene a questo territorio. Cercare di inserire altre razze non è facile, anche dal punto di vista del controllo sanitario. Qualcuno ci ha provato, ma poi ci ha rinunciato. Tant’è che la produzione del latte è poca sul territorio, sempre facendo le differenze tra le aree di Montano Antilia, Laurito Roccagloriosa, Camerota e quelle del Bussento come Tortorella, dove c’è più produzione di carne e quindi parliamo più della razza podolica e del problema della filiera della carne. Il vitello e il capretto cilentano sono forse l’unica fonte di reddito che arriva in queste aziende, a parte i finanziamenti comunitari. Il resto va per autoconsumo.

AS: Tu hai toccato questo tema delle filiere. Hai parlato della filiera della carne e possiamo parlare anche della filiera del latte. La domanda è se in queste filiere comincia a esserci anche qualcuno che è anche un po specializzato sulla lavorazione da un lato della carne e dall’altro del latte? A fronte di questo ritorno che negli ultimi anni c’è stato negli allevamenti e poi anche più in generale dell’agricoltura, a valle c’è qualche segnale di nuove attività oppure di consolidamento di attività esistenti? Voglio dire dei caseifici o delle attività legate alla trasformazione della carne, come salumifici, oppure siamo sempre nell’autoproduzione?

AF: Direi che negli ultimi tempi c’è stata in questa evoluzione. Se pensiamo ai salumifici sicuramente a Caselle ci sono diverse eccellenze nella produzione di salumi, ma anche per quanto riguarda la produzione del latte c’è una tendenza a produrre latte e a trasformarlo perché comunque siamo in un area parco, in un’area protetta dove ci sono grosse potenzialità di espansione dal punto di vista lavorativo. Questo territorio ha un’importanza strategica se solo pensiamo ai numeri che abbiamo nella attività stagionale con un’offerta che va dal mare alla montagna. Tutto questo sta assumendo un’importanza strategica per il territorio ed è di fondamentale importanza per il settore lavorativo, però bisogna assolutamente recuperare un consenso verso l’agricoltura e l’ambiente. Il concetto è quello di recuperare e valorizzare il ruolo degli allevatori che operano nella preservazione e difesa dell’ambiente e della sicurezza alimentare, ma è chiaro che proprio questo settore ha anche grossi problemi legati alla formazione, all’invecchiamento delle aziende e al ricambio generazionale e alla filiera, ma le aziende hanno problemi anche di logistica. Per cui i giovani che si sono avvicinati all’attività zootecnica hanno pensato subito di partire prima dalla struttura e quindi realizzare una struttura per la trasformazione del latte. Il problema è che non credo che tutti quanti gli allevatori possono realizzare tante strutture, per cui forse è importante anche la sinergia con i laboratori di trasformazione promossi da enti e istituzioni locali. Creare una sinergia con i comuni, soprattutto. Anzi ti dico di più, in qualche comune c’è stata già qualche iniziativa lodevole. Per esempio, a San Giovanni a Piro il sindaco ha dato la disponibilità di locali per conferire e trasformare il prodotto. A Celle di Bulgheria il sindaco ha valorizzato un’area a grano e ha già realizzato un forno sociale per far trasformare il tutto. Dobbiamo entrare nel concetto di fare rete tra le istituzioni e le azienda agricole. C’è questa voglia di trasformare anche perché c’è la richiesta di prodotto tipico della zona. Il problema è che il prodotto non c’è. Sono stato in ristoranti che sono un altro pezzo della filiera e che sono interessati al progetto.

AS: Tu hai parlato del tema dei caseifici e ti chiedo se si potrebbe pensare di avere delle strutture che possano essere utilizzate da più produttori di latte per trasformare e magari anche per seguire le fasi successive di affinamento. Che tipo di gestione dovrebbero avere queste strutture? Perché sappiamo che in passato sono state fatte alcune strutture, fin dai tempi della Cassa per il Mezzogiorno, e si è puntato su forme di gestione cooperativa che poi sono quasi tutte clamorosamente fallite. Come possono essere gestite in una forma che non scateni una guerra tra allevatori? Una forma condivisa di cooperazione.

AF: E’ una questione di crescita culturale dell’azienda, cioè devono capire che se stiamo insieme allora veramente possiamo realizzare qualcosa di importante, se andiamo ognuno per conto proprio, allora difficilmente raggiungeremo risultati. Ci sono anche altri modi di affrontare il problema. In genere, ci sono delle aziende che fanno da traino, che hanno già una visibilità. Possono essere di riferimento per gli altri. Non tutti vogliono trasformare. Ci sono anche degli allevatori che vogliono soltanto conferire, magari trovando l’utilità di vendere mensilmente quella quantità di latte per recuperare una remunerazione anche da quest’altra forma e non solo dagli incentivi comunitari quando arrivano, se arrivano.

AS: Si possono fare dei patti in cui ci sono dei prezzi che siano remunerativi. Questo perché spesso il problema è quanto e quando mi paghi il latte.

AF: Nella zona del Vallo di Diano, ad esempio, dove seguo delle aziende, sentono meno questo fatto del contributo, perché hanno puntato molto sull’allevamento degli ovini, per cui producono abbastanza latte, ma lo conferiscono ai caseifici che ci sono. E’ vero che pagano 40-45-50 centesimi al litro, però loro possono fare delle valutazioni e comunque hanno una possibilità diversa rispetto a questo territorio.

Capisco bene che qui la produzione del latte è legata anche alla specie allevata, ma sicuramente noi dobbiamo fare anche un discorso di qualità del prodotto. Mi rendo conto che non tutti riusciranno ad avere una visione completa della filiera, però possiamo avvicinarli, possiamo formarli, possiamo fare in modo che quelle aziende che sono un pochettino più veloci facciano da traino e possano diventare degli esempi da cercare di emulare ed imitare. E’ giusto che si venga a creare una sorta di prezzario.

AS: Nel Cilento, pur essendoci tante capre in giro, quando uno va al ristorante, a parte il periodo di Pasqua, non trova mai il capretto, la capra, la pecora. Si parla tanto di gastronomia del territorio e ci si aspetterebbe un maggior interesse per questi animali. Questo è un problema, perché poi mi è stato detto che alla fine sono i grossisti napoletani che vengono in Cilento e per quattro soldi si comprano gli animali.

AF: E’ certo, se il sistema continua a girare così è normale che non è protetto, non c’è garanzia e allora i commercianti fanno il bello e il cattivo tempo come si dice. L’anno scorso, per esempio, la vendita di un capretto intorno ai 7-8 chili è andata sui 3,50-4 euro al Kg, quasi regalato. E gli dicevano quasi che gli facevano un piacere. Questo non può essere, perché poi vai nella macelleria di zona e lo trovi a 18-20 euro, oppure se vai a Napoli o Salerno lo trovi anche a 22-25 euro. Quindi, c’è qualche cosa che non funziona.

Come si potrebbe intervenire? Il capretto cilentano, proprio perché non c’è una grossa produzione, potrebbe essere protetto attraverso un disciplinare di produzione, ad esempio. Valorizzare la qualità di quella carne, spiegando che quella carne non ha bisogno di foraggi particolari. Si tratta solo di mettere in moto un meccanismo che la produzione la renda qualità certificata. Se si fanno queste azioni, gli allevatori che non sono stupidi e capiscono che quello che si fa si fa per avere un maggiore reddito per le loro aziende, per cui probabilmente in quel modo lì riusciremo a metterli insieme e fargli capire che tutte le attività e gli interventi che vengono fatti su questo settore sono orientati a cambiare in meglio la loro attività di impresa, a passare dalla gestione familiare ad una vera e propria attività di impresa da reddito. Per cui, potrebbe essere importante cercare di fare un disciplinare di produzione, certificare il capretto cilentano. Il Parco in questo potrebbe fare molto,

Questo progetto è molto importante perché arriva dal territorio, perché arriva dalla Comunità Montana, di cui già fanno parte tutti i comuni del comprensorio e i sindaci hanno anche un ruolo importante nella governance del Parco. Se la filiera istituzionale dedicasse una maggiore attenzione al settore zootecnico e al suo indotto ci potrebbero essere ricadute per tutti e per tutto il territorio. Certificare un prodotto, rendere una produzione di qualità è un ritorno in termini economici eccezionali per il territorio.

A volte mi trovo a discutere con assaggiatori di cacioricotta cilentano. In passato ci sono stati dei progetti, però non ho visto ricadute positive forse perché era un altro momento del settore, ma oggi sono certo che le aziende sono più preparate, perché ci sono più giovani che sono tutti più attenti, ma sono anche più disponibili e ascoltano di più rispetto agli anziani. Oggi, secondo me, ci sono le condizioni e il progetto ha le potenzialità per sviluppare una rete di impresa, una sorta di organizzazione di cooperazione tra i giovani. Questo progetto ha tutte le competenze necessarie per sviluppare questo settore.

AS: Hai toccato un tema che mi interessa molto. Hai parlato di comunità montana e dell’assemblea dei sindaci del Parco. Tu sai che questo lavoro di ricerca che stiamo facendo con il Professor Cerrato è finalizzato ad avere un quadro conoscitivo delle problematiche legate al settore zootecnico, però ha anche l’obiettivo di fornire una proposta programmatica, di interventi operativi, di cose che si possono effettivamente fare anche senza dover fare la rivoluzione, per supportare questa sorta di Consulta degli Allevatori che il presidente Speranza vuole accompagnare.

La Consulta dovrebbe essere un’arena in cui gli allevatori hanno la possibilità di interagire direttamente tra loro e con il mondo istituzionale. Tu citavi prima tutta una serie di difficoltà anche di carattere burocratico, legate al sistema di autorizzazioni e così via. Credo che sarebbe importante che ci sia un qualcosa come la Consulta.

Anche con il supporto di associazioni come la tua, si potrebbe monitorare nel tempo l’evoluzione del settore e costruire una progettualità condivisa da condividere con le altre Comunità Montane, l’Ente Parco, i Comuni, la Regione per trovare delle risorse per la fornitura di alcuni servizi agli allevatori del territorio.

Prima citavamo il tema del caseificio, ma possiamo ragionare sulla sistemazione delle strade nelle aree dei pascoli montani. Fornire servizi per rendere più agevole l’attività di impresa degli allevatori. C’è il tema dell’acqua. Stiamo andando verso estati sempre più siccitose e quest’estate alcuni allevatori hanno dovuto portare l’acqua nei pascoli di montagna per abbeverare i propri animali. Si potrebbe ragionare sulla costruzione una rete di abbeveratoi, sistemando anche quelli che ci sono, in maniera tale che l’acqua ci sia sempre. Fare anche dei piccoli laghetti che avrebbero una doppia funzione, abbeverare gli animali e antincendio, per cui un elicottero può andare con il secchione, prendere l’acqua e cercare di spegnere rapidamente un incendio.

Insomma, una serie di interventi di questo genere. Credo che sia venuto il tempo che le istituzioni possano guardare a questo settore come un settore che non è soltanto della tradizione, ma anche dell’innovazione. Qui, c’è un’imprenditoria che fa anche presidio del territorio, fa economia, produce cibo di qualità e forse potrebbe essere anche giunto il tempo di riconoscere il ruolo di questi allevatori, di queste imprese e anche cercare di fornirgli qualche servizio.

AF: In effetti, hai ragione. L’allevatore viene visto dalle istituzioni come una persona/azienda che esiste solo prendere dei premi comunitari e buonanotte. La situazione sta cambiando, ma fino a poco tempo fa li guardavano da lontano. C’era distanza tra allevatori e istituzioni.

Credo che invece il problema sia all’interno del sistema. Le colpe non sono degli allevatori, ma certamente l’allevatore va formato nella gestione delle attività. Va educato alla gestione del territorio e dell’ambiente, va aiutato a capire e risolvere i problemi sanitari di trasformazione del latte, della produzione della carne, ma anche della lana, per cui credo che migliorare la qualità dei rapporti tra le istituzioni e gli allevatori può avere veramente un ritorno positivo.

La funzione del progetto di mettere in piedi questo collante con la Comunità Montana è sicuramente positiva. Questo processo nell’ambito del progetto Nobili Cilentani è importante.

E’ chiaro che i sindaci del territorio sono preoccupati della gestione dei pascoli, perché un pascolo che viene affrontato in modo non regolare brucia tutta la biodiversità esistente, l’origano, la lavanda e quant’altro. Bisogna stare attenti, bisogna educare gli allevatori, fargli capire che le regole ci sono e vanno rispettate.

AS: Intendi dire non bisogna sovraccaricare i pascoli. Non bisogna esagerare con il numero di animali, perché il rischio è quello di sovra sfruttare il pascolo.

AF: Il periodo di riposo è importantissimo. Capisco bene gli amministratori locali, le loro preoccupazioni. Per questo credo che sia importante la Consulta gli Allevatori. Potrebbe essere veramente un’opportunità per la gestione del territorio, per far capire agli allevatori che non è necessario avere tre-quattrocento mucche su una fida pascolo di 100 ettari e distruggere tutto. Bisogna essere più contenuti, fargli capire queste criticità e cercare di aiutarli a comprendere quello che effettivamente potrebbe essere l’utilità di questo rapporto e di questa collaborazione tra istituzione e azienda.

AS: Ti ringrazio. Se vuoi dire qualche altra cosa che ti sembra di non aver detto….

AF: Solo due cose. Credo nell’importanza della collaborazione con gli enti territoriali. Per esempio, i giovani che si insediano trovano difficoltà nel presentare i progetti, perché nell’area parco possono presentare progetti di ristrutturazione di strutture solo gli imprenditori agricoli professionali (IAP). Questa normativa va rivista. E’ una cosa da verificare e da capire bene, perché effettivamente si agevolano solo gli IAP, ma il coltivatore diretto è nelle stesse condizioni dello IAP. La burocrazia e i regolamenti all’interno del comprensorio vanno rivisti per cercare di aiutare di più le aziende. Si dovrebbe anche essere più veloci nel concedere le autorizzazioni, altrimenti si perde un sacco di tempo e, quindi, il giovane si scoraggia e dice “sono qua, ho fatto un progetto da due anni e ancora non vedo la luce”. Prende se ne va. Purtroppo di rinunce ai primi insediamenti presentati ce ne sono tante, perché sono passati già tre anni

Il secondo punto è che c’è un importante distretto rurale in quest’area del GAL dove insiste un importante presenza di aziende agricole a vocazione zootecnica, non pensi che sia necessario un presidio scolastico ad indirizzo agro-ambientale zootecnico che possa garantire la formazione necessaria per poter intraprendere un percorso lavorativo, che oltre ad essere alla base dell’economia e del sostentamento delle famiglie, può dare gambe alle potenzialità per rilanciare un territorio dalle notevoli risorse? Prima a Sapri avevamo l’istituto agrario, mentre adesso è stato soppresso. In un’area parco non abbiamo la scuola. Forse si potrebbe pensare ad una scuola-parco.

AS: E’ un tema interessante. So che è stato soppresso l’Istituto di Sapri e che a Castelnuovo Cilento c’era la possibilità di creare una sezione legata all’agricoltura. Mi ricordo che il sindaco di Piaggine per un po’ di anni ha cercato di convincere l’istituto ad attivare una sede distaccata, perché su Piaggine è un tema importante anche l’allevamento che ruota intorno al monte Cervati. Però non è riuscito, da quello che capisco. Questo della formazione dei giovani è un problema. La mancanza di una struttura scolastica che sia legata a delle attività economiche presenti sul territorio, dove tra l’altro si potrebbero fare degli stage nelle aziende. Le aziende ci sono e si potrebbe costruire veramente un legame. Poi, anche chi insegna potrebbe fornire consulenza alle aziende. Insomma, si potrebbe creare tutto un circolo virtuoso come c’è in altri territori italiani a vocazione alimentare. Questo è un tema su cui riflettere riflettere anche da parte delle istituzioni. Ti ringrazio di aver segnalato questo tema perché in quel discorso che facevo di piattaforma programmatica su questo faremo una riflessione per cercare di capire a quali condizioni si possa fare qualcosa. Ragionare con i sindaci, con la Comunità Montana, il parco se un’iniziativa in questo senso andrebbe presa

AF: Perché non possiamo avere tutti laureati in agricoltura, ci sono anche i diplomati che poi possono sempre andarsi a prendere una laurea nel tempo. Parliamo di ragazzi che restano sul territorio, che si insediano, rilevando le aziende familiari, che possono avere la possibilità di fare attività di impresa.

AS: Mi sembra un punto importantissimo. Ti ringrazio per averlo fatto emergere.

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