Intervista al Prof. Raffaele Sacchi, ordinario di scienze e tecnologie alimentari del Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Napoli Federico II, sul lavoro in corso per verificare le qualità sensoriali e nutritive dei prodotti ottenuti nell’ambito del progetto Nobili Cilentani. Sacchi offre anche un’analisi sulle prospettive e l’importanza del settore dell’allevamento nel territorio cilentano, identificando delle linee di intervento operativo.
Alessandro Scassellati (AS): Salve a tutti. Oggi, siamo con il professore Raffaele Sacchi, ordinario di scienze e tecnologie alimentari presso il Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Napoli Federico II, la mitica Scuola di Portici. Vogliamo parlare del ruolo del professor Sacchi e del Dipartimento di Scienze Agrarie all’interno del progetto Nobili Cilentani. Per questo do’ subito la parola a Raffaele, chiedenti di spiegarci quale è il lavoro e il percorso che state facendo. Credo che tu ti stia occupando della parte di analisi di laboratorio. Prego, Raffaele.
Raffaele Sacchi (RS): Grazie e buongiorno a tutti. Il progetto Nobili Cilentani vede una forte integrazione tra il Dipartimento di veterinaria e il Dipartimento di agraria, di cui faccio parte, e in particolare della sezione di scienze e tecnologie degli alimenti che coordino. Il nostro contributo al progetto è essenzialmente di analisi e caratterizzazione chimica e sensoriale dei prodotti lattiero caseari, della carne e delle uova che si produrranno nell’ambito del progetto e che si stanno già producendo, per misurare l’impatto dell’alimentazione animale sulle caratteristiche in particolare sensoriali e compositive del del prodotto. Qui, abbiamo una serie di laboratori attrezzati per analisi degli aromi, ad esempio, con gascromatografi accoppiati a spettrometria di massa, naso elettronico, oltre che una sala di analisi sensoriale che fu realizzata negli anni ‘90 con la Regione Campania per il panel test della dell’olio di oliva e che noi utilizziamo per con i diversi gruppi di assaggiatori addestrati per la caratterizzazione di diversi alimenti. In particolare, in questo progetto abbiamo già iniziato a lavorare sui latti caprini che stiamo caratterizzando sia dal punto di vista olfattivo che analitico, continuando una serie di ricerche che abbiamo avviato negli anni scorsi presso i nostri laboratori nel dosare le sostanze volatili che influenzano poi l’aroma del latte e anche nei prodotti trasformati, quindi anche nei nei formaggi.
Eravamo partiti dallo studiare la mozzarella e quindi l’alimentazione della bufala, come influiva sull’aroma del latte e sull’aroma del formaggio fresco della mozzarella. Poi, abbiamo studiato quello che accade nel caciocavallo, quindi nei prodotti vaccini stagionati. Quello che si evidenzia è come è noto, anche se poco studiato nel dettaglio, che l’alimentazione e quindi le essenze vegetali che contengono tutta una serie di sostanze precursori di molecole volatili o direttamente sostanze aromatiche che poi passano nel latte. Di questo ne sappiamo per esperienza anche nell’allattamento materno. Il bambino immediatamente si abitua all’alimentazione della mamma o sente qualcosa di sgradevole se la madre ha consumato cavoli, brassicacee, peperoncino ed altri prodotti.
Sappiamo che il latte, attraverso il circuito sanguigno, concentra e trasmette poi tutto quello che deriva dall’alimitazione. Per cui il nostro studio è iniziato in collaborazione col gruppo di colleghi di Veterinaria, con la professoressa Tudisco e il professor Infascelli. Abbiamo iniziato a lavorare sui latti di capre allevate con diversi regimi alimentari. Siamo partiti da un’analisi olfattiva. Il nostro panel di assaggiatori ha fatto dei test discriminanti e ha caratterizzato i latti individuali che sono stati forniti dai colleghi di veterinaria e adesso ci accingiamo a completare ed effettuare tutte quante le analisi con il naso elettronico che ci consente di avere una fotografia sintetica delle differenze di odore che ci possono essere tra diversi campioni. Questo lavoro è affiancato dall’analisi delle singole molecole dalla gascromatografia che separa tutte quante le sostanze volatili presenti e attraverso l’identificazione e la loro caratterizzazione anche odorosa. Possiamo analizzare gli alimenti di partenza e il latte per capire quali sostanze profumate sono passate e passano poi dai latti, stabilendo quindi una differenza oggettiva tra due diversi regimi alimentari che caratterizzano questi due gruppi di animali.
AS: Ti volevo chiedere, anche andando oltre questi aspetti che ruotano intorno a questa bellissima parola “odorosa”, qualcosa sul lavoro che fate sugli aspetti legati alle molecole e ai polifenoli, anche in relazione a tutto il discorso che per esempio il professore Infascelli ha fatto in una precedente intervista sul tema di identificare il Metodo Nobile come un metodo di nutrizione e di allevamento degli animali con l’obiettivo di assicurare il benessere animale in modo da dimostrare che poi questi prodotti fanno bene alla salute umana. Che hanno degli effetti antitumorali e antiossidanti, per cui mangiare questi prodotti, anche se parliamo di prodotti che normalmente vengono piuttosto criminalizzati nell’opinione pubblica, come la carne, il latte e il formaggio, fa bene alla salute, oltre avere un impatto ambientale non negativo. Dimostrare che mangiare meno questi prodotti, ma mangiarli di qualità, può fare bene alla nostra salute.
RS: Assolutamente sì. Affiancato all’aspetto strettamente sensoriale, quindi legato alle sostanze volatili e agli aromi, c’è tutta la parte di studio legata alla misura dell’attività antiossidante e alla identificazione delle molecole antiossidanti presenti nel latte. Per quello che dicevi prima, il benessere animale è legato alla libertà di movimento al pascolo e c’è un effetto di queste molecole sul benessere dell’animale che si trasmette direttamente alla qualità delle carni e alla qualità dei formaggi. Parte del progetto è anche quella legata ad alimenti ancora più criminalizzati come gli insaccati, per esempio, e anche lì sappiamo che il segreto della dieta mediterranea, oltre alla stagionalità e alla simbiosi tra l’uomo e l’ambiente che gli fornisce alimenti, c’è anche il concetto della quantità e della varietà degli alimenti. Sappiamo che oggi il latte e i formaggi contengono molecole – a parte tutti il profilo degli acidi grassi, acidi grassi coniugati di cui si è già parlato, e gli acidi grassi omega 3 e omega 6 – molecole antiossidanti che passano attraverso l’alimentazione nel latte, ma anche nelle carni.
E’ noto che una maggiore ricchezza di antiossidanti nella vita da’ anche alle carni stessa una ricchezza di alfa tocoferolo e di vitamina E. Il colore delle carni e tutto il discorso della ossidazione dell’emoglobina e quindi l’imbrunimento delle carni e le caratteristiche sensoriali, la qualità del grasso sono tutte legate al benessere animale e alla sua alimentazione. Per cui dico sempre che in molti alimenti c’è una stretta correlazione tra la qualità sensoriale e la qualità nutrizionale, perché il nostro naso, il nostro gusto ci dà immediatamente dei descrittori che ci consentono anche di intuire o di stimare la salubrità dell’alimento che concentrano. I bambini sono dei piccoli animali istintivi per esempio che immediatamente si accorgono se qualcosa non va e non accettano un alimento che magari presenta odori di ossidazione, di rancidità, eccetera. Noi siamo più abituati da adulti a questi gusti e quindi abbiamo una minore selettività.
Il progetto mira anche a misurare e a stabilire se nei salumi ottenuti da suini per esempio alimentati e gestiti con diversi sistemi di allevamento e come dicevamo prima nei prodotti lattiero caseari, che sono comunque una fonte di calcio e una una fonte di proteine nobili e di acidi grassi, particolarmente utili alla nostra salute come dimostrato negli ultimi anni.
Lo studio, fatto in stretta connessione con gli allevatori e con il Dipartimento di veterinaria, ci consentirà quindi di costruire un quadro oggettivo di queste differenze che tutti noi empiricamente rileviamo già quando assaggiamo un formaggio fatto bene di capra allevata bene o un buon salume, diciamo che si sente la differenza. E’ il Cilento che parla! Quello che faremo è di dare un una base scientifica, grazie anche a queste nove aziende dove potremo avere repliche verifiche e quindi fare una serie di valutazioni specifiche.
AS: Questo è molto importante anche per il settore dell’allevamento in Cilento. A questo proposito, vorrei che tu facessi anche un po’ un ragionamento su questo settore. Hai citato il Cilento e tu sei un cilentano doc e che è molto curioso, molto attento, anche un po’ nella tradizione del grande maestro Manlio Rossi Doria fondatore della Scuola di Portici, il quale non era solo un economista agrario nel senso tecnico del termine, ma era anche un sociologo, un osservatore attento, un analista dei paesaggi e delle modalità di interazione dell’uomo con la natura, con l’ambiente. Per questo ti chiedo di dare il tuo punto di vista rispetto a questo settore dell’allevamento in Cilento. Un settore dell’allevamento molto composito che comprende l’allevamento di ovini, caprini, ovini, suini e anche avicoli, e che è un settore ancora importante per il territorio. Quale è la sua rilevanza non solo da un punto di vista socioeconomico, ma anche ambientale rispetto ad un’area che è uno dei luoghi, come dire, ormai quasi santificati della biodiversità italiana, e per questo è anche riconosciuto a livello internazionale, il Parco Nazionale, ma anche la Biosfera. Vorrei che tu facessi una riflessione su qual è il peso e quali sono le prospettive.
RS: Innanzitutto, ti ringrazio per avermi avvicinato al grande maestro e professore Manlio Rossi Doria che aveva una visione e che è stato uno di quegli innovatori che hanno poi tracciato una linea che ancora oggi fa del Centro di Portici di economia agraria uno dei centri più importanti del mondo, partendo dai suoi sul mezzogiorno. Oggi, noi abbiamo anche molti ospiti che vengono dall’Africa o dal Sudamerica a studiare.
Non ho la visione del professore Rossi Doria, però da cilentano di Caprioli, il cui nome già fa pensare ad una capra che ormai si vede poco nel territorio. ho svolto una serie di ricerche e di studi anche in passato con il GAL Casacastra e con la Regione Campania in Cilento, dove abbiamo potuto cogliere una serie di elementi che sono la straordinaria ricchezza, come dicevi tu, non solamente di biodiversità animale e vegetale, ma anche alimentare. Abbiamo una ricchezza di micro trasformazioni e di prodotti altamente locali. Passando da un comune all’altro noi troviamo differenze di produzioni vegetali e animali e di tipicità. Pertanto, sicuramente in quello che può essere un’analisi delle potenzialità e dei gap da colmare per cercare di creare si riferisce ad una parola magica che anche qui a Portici ci hanno insegnato da studenti che è quella del sistema. Occorre ragionare in un’ottica sistemica a livello zootecnico. Il mio maestro, il professor Matassino mi ha insegnato a lavorare in un’ottica sistemica dal punto di vista agro- ecologico, dal punto di vista dell’impatto. Questo è quello che ci hanno trasmesso questi grandi maestri che abbiamo avuto. Allora, secondo me una catalogazione, una ricognizione di tutte queste potenzialità ci porta ad osservare che le aziende lavorino ancora oggi come delle isole in un arcipelago che non è tanto connesso. Questo ci porta proprio a sviluppare il concetto attuale di rete che è molto importante per creare poi sviluppo.
Sicuramente, l’integrazione che ci può essere tra una filiera zootecnica, per esempio, è la gestione del bosco e dell’agricoltura è evidente, a parte dalla utilizzazione degli scarti e dei sottoprodotti, a partire dall’integrazione tra le filiere olivicola e lattiero-casearia-zootecnica. Possiamo pensare anche a sistemi arcaici, ma intelligenti di riutilizzazione, di riciclo, di compostaggio, di messa a sistema del mondo agricolo, con un’agricoltura multifunzionale che trova la sua forza proprio nella integrazione tra diverse filiere.
Faccio un esempio. Se noi abbiamo una cantina che va a compostare le sue vinacce insieme alla sanza di un frantoio. Se abbiamo un caseificio che smaltisce il siero non solamente per la alimentazione dei suini, ma è legato anche ad un’altra filiera e abbiamo la possibilità di immaginare anche di applicare tecnologie moderne di recupero da questi sottoprodotti di molecole bioattive, potremmo immaginare un disegno complessivo. Il lavoro che le comunità montane, le aziende e la regione stanno cercando di fare con il PSR per creare una maggiore competitività da parte delle aziende e una maggiore razionalizzazione del tutto il sistema.
Quindi, sicuramente una ricognizione dei prodotti ci dà una grande forza. L’allevamento, in particolare rispetto a quello che mi chiedevi, è sicuramente un punto da rinforzare. Prima tutte le aziende agricole avevano animali al loro interno. Oggi, c’è stato un po’ una perdita di questa popolazione di allevatori. Partendo dai giovani presenti nelle aziende, il nostro obiettivo è proprio quello di ridare forza e possibilità di lavoro soprattutto in questo campo.
AS: Tu citavi le vinacce, il siero e anche altri sottoprodotti e per questi sarebbe possibile anche un utilizzo ai fini della nutraceutica, per produrre integratori. Poi, ti volevo chiedere di fare un ragionamento sulle cose che concretamente si possono fare. Penso a delle attività e degli interventi, dei progetti non necessariamente di grandi dimensioni, ma soprattutto di piccole dimensioni che potrebbero vedere insieme una partnership privato-pubblica, con il coinvolgimento dei Comuni, della Comunità Montana, del Parco, se volesse diventare una vera agenzia di sviluppo territoriale. Penso a piccoli progetti che però potrebbero fornire dei servizi agli allevatori, perché oggi gli allevatori sono sul territorio, ma sono tollerati e non invece valorizzati per le funzioni non solo di presidio del territorio, ma anche economica ed imprenditoriale. Vorrei che tu facessi qualche riflessione su questo.
RS: Certamente. La sostenibilità economica dell’allevamento nel Cilento e anche la presenza di imprenditori che puntino sull’attivita’ zootecnica è legata innanzitutto alla dimensione dell’azienda. Bisogna raggiungere delle dimensioni con un numero di capi sufficiente a poter avere un reddito che consenta di sopravvivere, di far star bene l’imprenditoriale/allevatore. Considerando questo parametro e considerando che poi i prodotti, il latte e la carne, la macellazione e la caseificazione sono delle attività che oggi che devono rispondere alle norme europee sulla sicurezza e sull’igiene e, quindi, assicurare la qualità del prodotto e assicurare il consumatore sul prodotto stesso. In questo senso, occorre costruire, parallelamente alla ricognizione e alla connessione tra le aziende zootecniche, un passo verso la trasformazione e, come dicevi tu, anche verso eventualmente l’applicazione di tecnologie per la valorizzazione dei reflui dal punto di vista nutraceutico. Tutto questo significa aggregazione, specializzazione, applicazioni di tecnologie avanzate. Partendo da quelli che sono i servizi basici come la macellazione e la trasformazione casearia, questi potrebbero essere degli elementi che la Comunità Montana e il Parco del Cilento potrebbero, al di là di una cooperazione che potrebbe anche essere stimolata da tutto questo lavoro per le aziende, mettere a disposizione questi servizi. Il micro caseificio, il micromacello per poter avere un laboratorio di trasformazione degli alimenti. Una possibilità di una macellazione che non dia stress agli animali. Gli stress sono comunque lì molto negativi per la qualità delle carni. E’ inutile avere avuto un suino che è stato allevato sotto alla idilliaca macchia dei un querceto se poi viene sottoposto ad uno stress enorme per il trasporto alla macellazione. Perdiamo tutto. Sappiamo bene che il processo di acidificazione della carne incide negativamente sulla qualità delle carni e dei salumi, compromettendole.
Quindi, sicuramente occorre pensare a dei servizi in zona che rispondano ad assicurare la trasformazione in maniera ideale. Questo è sicuramente un elemento da tenere in considerazione.
Poi, c’è, come dicevo prima, la possibilità di integrazione tra le aziende a vario livello. La possibilità di connettersi a caseifici, a industrie che già operano, dove si possono affiancare anche giovani imprese che possono fare solo la parte dell’allevamento e la fornitura della materia prima, ovviamente con contratti che assicurino poi la ricaduta economica anche su chi alleva. C’è una rete sicuramente da costruire e da strutturare.
Ci auguriamo che questo progetto possa contribuire anche a dare una spinta per sviluppi e per progetti futuri anche interagendo con il con gli altri enti per dare una possibilità concreta alla trasformazione e alla produzione di alimenti di qualità. Sicuramente, l’elemento della sostenibilità ambientale è palese che si sposa con tutto questo: la gestione del bosco, la combinazione con l’allevamento degli ovini con l’oliveto, per la pulizia, la concimazione.
Il contributo che il nostro progetto può dare a tutto ciò è di dare una spinta a migliorare i sistemi di qualità delle aziende esistenti e rilevare i fabbisogni, le criticità e le esigenze. Già negli incontri iniziali che abbiamo avuto con gli allevatori sono venute fuori una serie di loro istanze prioritarie, tra cui quelle che citavo, come la possibilità di trasformare in condizioni a norma di legge.
Tutto questo passa secondo me attraverso anche un momento di formazione complessiva degli imprenditori e di condivisione degli obiettivi, degli strumenti e dei metodi. Abbiamo una piccola popolazione di di allevatori molto eterogenea dal punto di vista culturale e anche della provenienza dai diversi ambienti, per cui dobbiamo riuscire anche a mettere in aula per qualche ora insieme le aziende e fare modo che possano confrontarsi su dei temi di questo tipo. Non solo avere l’effetto di trasferire informazioni e di stimolare la discussione, ma anche, come ho verificato tante volte in Calabria e Basilicata o in Sicilia negli interventi e nei lavori fatti negli anni passati di trasferimento tecnologico, quello di scatenare quella che è un po’ la sindrome dei compagni di scuola. Abbattere una serie di resistenze, di rivalità, di gelosie. Crea una dimensione relazione che poi consente effettivamente a tutti di sentirsi parte di un sistema e di comprendere che anzi la forza sul mercato può derivare dalla cooperazione, dall’unione e dal presentarsi sul mercato come un sistema di imprese, come un tessuto di imprese, e non come la singola azienda, magari geniale, che fa prodotti eccezionali, ma nel deserto e che poi non riesce a soddisfare le quantità che anche un piccolo mercato può richiedere. Questo è il problema che hanno un po’ tutti quelli che hanno cominciato a fare già qualità in maniera autonoma e che potrebbero ampliare e aumentare la loro produzione per soddisfare le richieste del mercato, ma non hanno partner in questo senso. Anche il giovane che decide di allevare un certo numero di capre o di pecore sarebbe bene che si connettesse ad un caseificio o ad un’azienda agrituristica oppure ad una serie di strutture che già lavorano, questo può consentire di dare valore anche all’esperienza che già esiste, alle competenze che esistono, che già trovano riscontri sul mercato.
AS: Ricordo che all’interno di questo percorso progettuale c’è anche questo obiettivo. Vogliamo non solo sensibilizzare e poi diffondere le risultanze che emergono da un punto di vista scientifico rispetto al Metodo Nobile come sistema di nutrizione e di allevamento, ma anche di fare una ricerca con gli allevatori su questi temi, per far emergere quali sono i bisogni, le cose che si possono fare e costituire una sorta di Consulta degli Allevatori del territorio, dove il presidente della Comunità Montana possa assumersi la responsabilità di essere il catalizzatore, l’accompagnatore di questo percorso che, come dicevi tu è quello poi di mettere in rete questi allevatori, di farli dialogare tra loro e anche di identificare alcune linee intervento concreto che possono consentire di dare a loro dei servizi e di fargli fare anche di fare un salto di qualità dal punto di vista imprenditoriale non soltanto da quello della qualità dei prodotti. Si tratta di organizzarsi in forme orizzontali e magari anche verticali, in termini di filiera, di integrazione in maniera tale da poter fare massa critica per poter poi affrontare anche soltanto il mercato del Cilento. Ricordiamo che sulla costa ogni anno ci sono milioni di persone che vengono e ci sono tanti alberghi, ristoranti e altre strutture ricettive che se utilizzassero questi prodotti, credo che gli allevatori cilentani risolverebbero il problema del mercato. Non c’è bisogno di andare a New York! Basterebbe riuscire a intercettare la domanda alimentare di chi viene in Cilento nel periodo estivo o anche durante tutto l’anno, compresi i cittadini cilentani. Il problema del mercato è spesso un problema per gli allevatori e questo frena il loro investimento, l’aumento dei capi e così via. Frena anche l’interesse da parte dei giovani di vedere questo settore come un settore che può dare anche un reddito, può consentire uno stile di vita adeguato ai tempi, perché non siamo più nell’Ottocento, ma nel XXI secolo. L’allevamento si può ancora fare, però deve garantire un reddito adeguato.
RS: Penso ad un’esperienza che ho fatto molti anni fa in provincia di Pescara, dove abbiamo costruito una specie di piccola borsa di offerta dei piccoli produttori delle colline. Prodotti oleari, lattiero, caseari e salumi per la ristorazione della costa.
In un mio precedente progetti, il progetto Iteo, finanziato anche questo dal PSR Campania con il GAL Casacastra, abbiamo lavorato sullo sviluppo sostenibile dell’olivicoltura, sul controllo della mosca, sulla qualità dei prodotti, sulle olive da mensa, eccetera. Abbiamo fatto degli incontri con la ristorazione, cercando di mettere in connessione il piccolo produttore e il ristoratore interessato ai prodotti tipici che danno poi valore aggiunto alla ristorazione stessa. Superando il problema della certificazione del prodotto della piccola azienda artigianale, la ristorazione non ha più l’alibi di dire: “ma, io non posso acquistare il prodotto tipico perché poi…”. Partendo dalla qualità e lavorare nel produrre prodotti a norma si può creare molto facilmente una connessione tra una domanda e un’offerta che paradossalmente sono vicine pochi chilometri, ma che non sono connesse. Tra l’altro, sulla costa negli ultimi anni hanno aperto nei comuni di Pisciotta, Ascea, Camerota, Centola dei nuovi ristoratori che si affacciano sul mercato con questa idea di valorizzare i prodotti locali. Abbiamo tante esperienze a Caselle in Pittari, a Morigerati, con tantissime realtà che già hanno sperimentato una agro-ristorazione tipica e con risultati inaspettati e non sostenibili dal punto di vista delle quantità dei prodotti.
Dobbiamo fare un lavoro in parallelo con l’azienda della ristorazione e con il consumatore, con la comunicazione di questa qualità. Un lavoro che può anche andare a sfatare una serie di luoghi comuni anche riferiti allo stesso consumatore cilentano che normalmente va a fare la spesa al supermercato di come tutti i consumatori del mondo. Non dobbiamo pensare di esportare a Tokyo i nostri prodotti, ma una volta garantita la produzione di qualità, possiamo soddisfare l’esigenza di tantissime famiglie e di tanti punti di ristoro.
AS: La cosa importante sarebbe proprio, anche per questa vocazione turistica che il Cilento ha, soprattutto chiaramente sulla costa, sarebbe importante fare questa connessione. Fare in modo che il turista venga qui non solo per il mare, ma anche per consumare i prodotti del territorio. Questo significherebbe anche forti ricadute economiche per l’intero territorio.