Il prezzo unico delle materie prime, nel nostro caso, latte, carne e uova è esiziale per le zootecnie delle aree di collina e di montagna. Il produttore, per abbassare i costi, deve aumentare la produttività, allevare sempre più animali in giganteschi capannoni, usare prodotti chimici per non farli ammalare, gonfiarli ed ingrassarli artificialmente con i mangimi, eliminare i prati perenni a favore degli erbai, con evidenti ripercussioni sulla biodiversità vegetale e animale e sulla fertilità dei suoli. I moderni sistemi di produzione di carne possono trasformare un uovo fertile e un sacco di mangime da 4 kg in un pollo da 2 kg in cinque settimane. E poi, se il prezzo è unico, il messaggio che passa presso il consumatore è che tutta la materia prima debbia avere lo stesso livello qualitativo e che tutto il cibo sia uguale e costi poco. Invece, ci sono grandi differenze: i 12 litri di una vacca podolica che trascorre buona parte dell’anno al pascolo semi-brado in collina e montagna e i 40 litri di una Frisona rinchiusa in un allevamento intensivo portano lo stesso nome e soprattutto vengono pagati lo stesso prezzo. In un contesto del genere, riescono a sopravvivere solo le grandi aziende di pianura, mentre tutte le altre lentamente vengono emarginate ed espulse dal mercato.
Ma, gli effetti negativi di questa logica non riguardano solo le aziende, coinvolgono l’intera cultura gastronomica. Come si fa a parlare di legame con il territorio se tutto è uguale? Che senso ha decantare la Dieta Mediterranea se il cibo è identico dappertutto? Quindi, da una parte il produttore non è stimolato ad alzare il livello qualitativo delle materie prime perché tale livello non gli viene riconosciuto e comunque il prezzo è troppo basso. Dall’altra, il territorio finisce per perdere la biodiversità di razze e varietà e la specificità del paniere dei prodotti tradizionali. L’effetto più eclatante lo si vede proprio nel Cilento, dove ad un turismo che aumenta di numero e di qualità, l’offerta gastronomica fa poco riferimento alle aree immediatamente collocate a ridosso della costa e quasi tutto il cibo consumato in loco è di origine esterna (a cominciare dai prodotti ortofrutticoli coltivati nelle serre della Piana del Sele).
Ecco perché, per innescare meccanismi si sviluppo, occorre intervenire su almeno tre livelli della filiera.
Per prima cosa occorre misurare il livello qualitativo delle materie prime dell’area, avendone naturalmente acquisito i parametri e i fattori che contribuiscono a determinarlo. È anche un passaggio importante per delineare un prezzo che sia equo e remunerativo.
Poi occorre concentrarsi sulla tecnica di lavorazione del latte e della carne e sul marketing. E questo perché l’empirismo dei produttori non permette di trattare una materia prima di grande qualità con una tecnica di pari livello.
Infine, occorre far incontrare i produttori dell’interno con il mondo dell’accoglienza della costa, non solo per far conoscere a quest’ultimo le specificità di queste produzioni, ma anche per permettere ai primi di realizzare una tipologia di prodotti che risponda bene ad un mercato di consumo che dura solo pochi mesi